I Introduzione
Il lavoro è l’esercizio di alcune facoltà (logiche, creative, manuali, relazionali…) indirizzato alla produzione di beni o servizi. La produzione che deriva dal lavoro può soddisfare direttamente alcuni bisogni o diventare oggetto di scambio con altri beni o servizi. Nei paesi capitalisti la produzione è compensata per lo più in DENARO nonostante esistano ancora ampi settori di lavoro non riconosciuto economicamente e in particolare una diffusa sottovalutazione del lavoro domestico.
II La prospettiva degli studi di genere
La prospettiva degli studi di GENERE sul lavoro è incentrata sulla critica della matrice maschilista del sistema capitalista. Il tema non è solo quello di garantire PARI OPPORTUNITÀ di accesso al mercato del lavoro, e conseguentemente parità formativa, retributiva e di carriera, ma anche quello dell’ampliamento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro come motore economico, e non solo in ruoli subalterni.
Le donne, infatti, rappresentano un tassello interscambiabile dell’economia, come dimostra l’aumento della disoccupazione femminile in periodi di crisi. Il passaggio dal lavoro retribuito sul mercato a quello non retribuito domestico continua a essere in molti paesi, e in particolare in Italia, un valore di scambio tra economia produttiva ed economia riproduttiva nel momento in cui la contrazione dell’offerta di lavoro si accompagna, in modo apparentemente inevitabile, all’insolvibilità della spesa sociale e quindi alla necessità di assolvere gratuitamente i compiti di cura. La relativa professionalizzazione delle donne, determinata da un minor investimento sul loro capitale umano, le rende succubi di un sistema lavorativo usa e getta, rafforzato, per altro, dalle trasformazioni del mercato globale e dalla diffusa flessibilità/precarietà imposta dall’economia finanziaria.
Su questo filone critico si innestano le riflessioni e gli interventi nel campo della conciliazione tra vita e lavoro, cioè sulle PARI OPPORTUNITÀ di scelta e di combinazione, per donne e uomini, tra percorsi personali e percorsi professionali. Le politiche di conciliazione trasferiscono l’incentivazione del lavoro delle donne da strumenti di politica sociale, quali asili nido o strutture protette per persone anziane, al riconoscimento e alla valorizzazione del tempo di cura. Sebbene molto criticate dal movimento femminista (FEMMINISMO), perché ritenute inadeguate alla soluzione del problema, prevalentemente femminile, della “doppia presenza”, queste politiche rappresentano il contributo istituzionale al processo di trasformazione dei ruoli (RUOLO) di GENERE, dai modelli dicotomici della produzione-riproduzione alla interscambiabilità dei compiti di cura, e conseguentemente del lavoro retribuito, tra donne e uomini.
Un altro filone degli studi di GENERE applicati al campo del lavoro è quello della riflessione sulla precarietà/precarizzazione: sia rispetto al progressivo aumento dell’incongruenza tra regole del mercato lavorativo e modello familiare eteronormativo; sia rispetto allo sfruttamento, da parte del sistema capitalistico, delle disponibilità alla precarietà dei soggetti che si collocano al di fuori di tale modello.
Un ulteriore ambito di riflessione riguarda infine l’efficientismo e la sua critica. L’efficientismo è certamente oggi una delle più esplicite forme di oppressione. L’imposizione di modelli, rappresentazioni (RAPPRESENTAZIONE), ritmi e tempi di vita non rispettosi della sostenibilità umana rappresenta, secondo questa lettura, una forma di disumanizzazione, anche per il diffondersi di un immaginario che sempre più subdolamente appanna il confine tra reale e virtuale fino all’imposizione di culti del sé incorporei e alienanti.
III La violenza maschile contro le donne
Secondo i dati UNICEF relativi all’anno 2000 le donne, che svolgono nel mondo i 3/4 del lavoro complessivo, godono solo di 1/4 del reddito (DENARO) prodotto.
La maggiore precarietà lavorativa delle donne è legata in buona parte all’assolvimento degli obblighi connessi alla maternità (GENITORIALITÀ), ma anche al doppio filo che le lega alla cura dell’economia domestica, cui consegue la difficoltà di investimento nel lavoro extradomestico. Tutto questo contribuisce a renderle, rispetto agli uomini, un soggetto economicamente debole. La difficoltà a raggiungere posizioni lavorative economicamente soddisfacenti vincola spesso a situazioni relazionali – familiari non gratificanti o addirittura drammatiche che vengono perpetuate nell’impossibilità di poter fare totale affidamento sul proprio reddito.
I luoghi di lavoro sono spesso un ambito a rischio per le donne. Molti casi di molestia sessuale si verificano sul luogo di lavoro, laddove la posizione spesso subalterna delle donne rispetto agli uomini, induce in questi licenze gravissime nei confronti della loro dignità. Non di rado accade che alle donne vengano richieste prestazioni sessuali in cambio della possibilità di “guadagnarsi” il lavoro, di mantenerlo o di avanzare nella carriera.
Negli ultimi anni è stato fatto molto lavoro anche da parte delle donne dei Sindacati attorno al problema delle molestie e dei ricatti sessuali nei luoghi di lavoro. Grazie a questo lavoro sono state introdotte misure specifiche nei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro a tutela delle lavoratrici e sono stati definiti numerosi codici di comportamento soprattutto nell’ambito del pubblico impiego e della sanità. Il fenomeno dei ricatti sessuali sul luogo di lavoro è molto esteso e oggi colpisce anche molte lavoratrici autonome.
La VIOLENZA subita dalle donne in relazioni di intimità produce inevitabili conseguenze anche in ambito lavorativo:
- se il lavoro esiste già nella vita delle donne, laddove non sia stato intaccato dalle conseguenze della VIOLENZA (per esempio dall’assenteismo imposto da “lui” e/o dalla precaria condizione di salute della donna), questo diventa una vera e propria ancora di salvezza, sia sul piano materiale che psicologico;
- per chi il lavoro non ce l’ha più, vuoi perché ha scelto di lasciarlo per dedicarsi alla famiglia, vuoi perché l’ha perso a causa della VIOLENZA, il lavoro diventa un medium attraverso cui riappropriarsi di un pezzo della propria storia, ma innanzitutto della propria identità, uno strumento di riscatto;
- le donne che non hanno mai lavorato, a seconda delle esperienze personali e del contesto culturale da cui provengono, pensano al lavoro con un certo timore, ma anche con curiosità, desiderio e voglia di misurarsi. Per molte donne migranti (MIGRAZIONE), anche quelle approdate in Italia per ricongiungersi al marito, il lavoro sintetizza simbolicamente il mito di un proprio guadagno, di uno “stipendio tutto per sé”, di una modificazione di status, sia all’interno che all’esterno della propria famiglia di origine.