LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Nessuno vive ovunque: tutti vivono da qualche parte. Niente è connesso a tutto, tutto è connesso a qualcosa”.
Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2016)

 

“Per potere elaborare una qualsiasi teoria, bisogna poter partire dalla lucida consapevolezza di essere situate in un punto preciso. Questa situazione è tessuta di assi variabili; il posizionamento implica una rete di rapporti: di classe, razza, cultura, censo ecc. – che ci strutturano”.
Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto “femminile e femminista”. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender teorie (1991)

 

“La teoria dei ‘saperi situati’, così come formulata nei gender studies, pone al centro della conoscenza l’esperienza soggettiva, riconoscendo valore e dignità ai percorsi individuali, contro le pretese di validazione dei sistemi cosiddetti oggettivi e universali. Questa teoria configura uno spazio libero di espressione, nel quale ogni soggetto ha diritto di cittadinanza e infinite possibilità di ridefinizione. […] Essi delineano un campo di azione che contempla il dialogo e la contaminazione delle esperienze e che guarda con rispetto e attenzione alle indefinibili combinazioni provocate dal superamento, reale e simbolico, delle frontiere geografiche e culturali”.
Letizia Lambertini, Donne in movimento. Una riflessione sul rapporto tra gender studies e migrazione (2013)

 

“L’obiettivo d’oggi per il pensiero femminista è di elaborare un progetto di saperi situated, cioè situati, dove la questione della soggettività femminile si lascerà attraversare da altri assi di interrogazione, provenienti da altre regioni di frontiera […]. Ed allora si potrà parlare di momento politico nuovo, all’interno della vecchia differenza che le donne rappresentano”.
Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto “femminile e femminista”. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender theories (1991)

 

“Il femminismo ama un’altra scienza: le scienze e politiche dell’interpretazione, traduzione, del balbettio e della comprensione parziale. Il femminismo ha a che fare con le scienze del soggetto multiplo che possiede una visione (almeno) doppia. Il femminismo ha a che fare con la visione critica che segue un posizionamento critico in uno spazio sociale non-omogeneo e sessuato”.
Donna Haraway, Manifesto cyborg (1985)

 

“L’esperienza creatrice delle origini non è riferibile a un soggetto in senso ordinario. È l’esperienza di un soggetto in relazione con la matrice della vita, soggetto distinguibile dalla matrice ma non dalla sua relazione con essa. Non si tratta dunque, propriamente, di una relazione fra due. È una relazione dell’essere con l’essere, così propongo di pensarla. Ma è relazione dinamica, non tautologica né autoriflessiva, che mi pare di poter correttamente concepire secondo la relazione dell’essere parte. L’essere-parte può, a certe condizioni, mettersi in relazione creativa con l’essere-essere”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1992)

 

“È evidente quanto ci riguardino le considerazioni di queste autrici e quanto possiamo ricavarne in termini di strategie e metodi di contrasto dei modelli dominanti globalizzati. Ancora di più, è evidente quanto l’ascoltarle ci obblighi a un ‘posizionamento’ più consapevole della nostra ‘parzialità’ e quindi della necessità di costruire alleanze transculturali e transnazionali che ci salvaguardino dal divenire complici del sistema che di volta in volta reitera la violenta dicotomia Sé/Altro-da Sé”.
Letizia Lambertini, Donne in movimento. Una riflessione sul rapporto tra gender studies e migrazione (2013)

 

“Chiamo libertà femminile quella libertà non-tutta e quella libertà del non-tutto che è possibile significare a partire dalla posizione soggettiva femminile, dal suo non-luogo. Che una tale declinazione sia possibile, concretamente pensabile/agibile al livello delle rappresentazioni politiche che inevitabilmente scontano il tutto dell’omos, è certo da prevedere. Ma è da qui che partirebbe la messa in gioco di una nuova disposizione plastica della soggettività”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

“Pensare “a partire da sé” è il primo connotato originale del pensiero di donna, generato dal femminismo. In tutta evidenza la soggettività è in primo piano nella presa di distanza dal pensiero oggettivo”.
Maria Luisa Boccia, La differenza politica (2002)

 

“Non sarebbe possibile quel discorso neutro sul mondo senza un silenzio su di sé; quell’ostentazione di parola su tutto è condizione per non vedere e non mostrare la propria parzialità”.
Stefano Ciccone, Essere maschi tra potere e libertà (2009)

 

“Possiamo definire meglio questo silenzio: non è un’assenza di sapere maschile su di sé, ma una modalità del suo stesso sapere”.
Claudio Vedovati, Tra qualcosa che ci manca e qualcosa che ci assomiglia. La riflessione sui men’s studies in Italia (2007)

 

“La forza dirompente dell’invito ‘a partire da sé’, si dice quando si guarda alla storia del femminismo, veniva dall’urgenza di rovesciare la tenace abitudine femminile a pensarsi a partire da altro da sé, o meglio ad accogliere un’immagine del soggetto femminile tracciata all’interno di uno schema di ‘secondarietà’ [...] Partire da sé aveva dunque molti sensi: quello di un atto di rottura con i ruoli stabiliti, quello di affermazione della propria soggettività e libertà, quello di assunzione di autorità e legittimità di sé, della propria esperienza, della propria parola non deformata dal linguaggio dell’altro, quello dell’indicazione di un metodo, di una disciplina e di una pratica politica”.
Diana Sartori, Nessuno è l’autore della propria storia: identità e azione (1996)

 

“Nell’idea e nella pratica di partire da sé, c’è la prospettiva di uno stare al mondo nella fedeltà a sé. Questa pratica è stata inventata per lottare contro l’imposizione, fatta a uomini e donne, più donne che uomini, di partire da quello che altri avevano stabilito essere il principio vero e giusto. […] Il partire da sé non è un basarsi sul ruolo né sulla situazione, con quello che fanno vedere o credere, essere giusto e valido, ma risalire a, muovere da un’esperienza, ossia da un vissuto vissuto, con tutto quello che ha di determinato, e da un vissuto ancora da vivere (il desiderio), mai l’uno senza l’altro. La pratica di partire da sé [...] è la scommessa di poter prendere le mosse dal luogo della nascita, con tutto quello che esso ha di dipendente, di pregiudicato ma anche di promettente, di nuovo, luogo di una divisione, di uno squilibrio, di una partizione che è una partenza”.
Luisa Muraro, Partire da sé e non farsi trovare… (1996)

 

“La strada di partire da sé può essere seguita sia da uomini che da donne, tuttavia è una pratica che ha un sapere femminile alle spalle. È infatti una delle fatiche più interessanti che le donne hanno espresso nel fare politica. È nei gruppi di autocoscienza che molte parlavano della propria storia partendo da sé, evitando cioè le parole e le interpretazioni di un sapere precostituito. Più avanti, è nei gruppi della ‘pratica dell’inconscio’ che il partire da sé è stato ripreso, facendo attenzione al piano profondo di desideri, sogni, immagini, sentimenti, che andavano interpretati non tanto come segno di una storia personale cancellata quanto come segnale di una storia delle donne fino a quel momento azzerata, che così, attraverso questa via, trovava il suo modo di articolarsi”.
Chiara Zamboni, Il materialismo dell’anima (1996)

 

“[Il] partire da sé come filosofia pratica [...] non ti fa trovare dove gli altri ti aspettano, senza che, per questo, tu debba isolarti in solitudine. Non è strano perché gli altri si aspettano di trovarti nel posto ovvio, quello cioè che ti è stato assegnato o che loro prevedono in base a certo segni prevedibili, mentre il ‘partire da sé’ ti situa, di volta in volta, nella traiettoria del tuo essere che cambia, si muove, cerca”.
Luisa Muraro, Partire da sé e non farsi trovare… (1996)

 

“La questione della scienza nel femminismo è connessa all’oggettività in quanto razionalità posizionata. Le sue immagini non sono il prodotto della fuga e della trascendenza dai limiti, cioè la visione dall’alto, ma il congiungersi di viste parziali e voci esitanti nella posizione di un soggetto collettivo che promette una visione di come radicarsi in modo continuo e limitato nel corpo, del vivere dentro limiti e contraddizioni, cioè la vista da un certo qual luogo”.
Donna Haraway, Manifesto cyborg (1985)

 

“Con il concetto di politics of location [si intende] che il punto di partenza deve essere il vissuto sessuato femminile di ognuna di noi e che questo non è identico per noi tutte. La nostra somiglianza è invece tessuta di differenze: siamo le stesse nella nostra corporalità femminile, ma il corpo non è pura natura (sex), ma specialmente cultura, cioè punto di intersezione tra il biologico, il sociale e il simbolico (gender)”.
Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto “femminile e femminista”. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender teorie (1991)

 

“Il sé soggetto di conoscenza è parziale in tutte le sue forme, non è mai finito né integro, né semplicemente c’è, né è originale; è sempre costruito e ricucito imperfettamente, e perciò capace di unirsi a un altro, per vedere insieme senza pretendere di essere un altro. […] La parzialità, e non l’universalità, è la condizione perché siano ascoltate le nostre proposte. Sono proposte che coinvolgono la vita delle persone. Scrivo per sostenere la visuale che proviene da un corpo, un corpo sempre complesso, contraddittorio, strutturante e strutturato, scrivo contro la visuale dall’alto, da nessun luogo, dalla semplicità”.
Donna Haraway, Manifesto cyborg (1985)

 

“La posizione d’indifferenza è quella che è fuori dal punto di vista”.
Simone Weil, Quaderni (1941-42)

 

“La revisione delle categorie critiche è indispensabile quindi a ‘decentrare il centro’ e a realizzare la parzialità della posizione di ciascuna attraverso l’ammissione dell’esistenza di migliaia di centri di produzione di sapere”.
Elisabetta Pesole, Femminismo transnazionale (2012)

 

“La marginalità è un luogo di radicale possibilità, uno spazio di resistenza. Questa marginalità, che ho definito specialmente strategica per la produzione di un discorso contro-egemonico, è presente non solo nelle parole, ma anche nei modi di essere e di vivere. Non mi riferivo quindi a una marginalità che si spera di perdere – lasciare o abbandonare – via via che ci si avvicina al centro, ma piuttosto a un luogo in cui abitare, a cui restare attaccati e fedeli, perché di esso si nutre la nostra capacità di resistenza. Un luogo capace di offrirci la possibilità di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi”.
bell hooks, Riflessioni su razza e sesso (1998)

 

“Per alcune donne e uomini la Precarietà e la Crisi [hanno] costituito anche occasioni materiali per mettere in discussione le regole del gioco e sfuggire ai ruoli che normalmente avrebbero l’obbligo di adempiere: nelle scelte di lavoro e abitative, nelle abitudini amorose, nelle pratiche affettive, nelle tipologie di consumo. […] Agire soggettivamente la precarietà significa assumersi il rischio e la libertà di prendere parte a un sistema di innovazione capace di sfruttare incertezza, moltitudini centriche e complessità per estrarne fuori nuove forme di valore. […] Il principio dell’aderenza a me stessa resta per me il criterio che ho deciso di seguire come orientamento per l’azione, per non essere fagocitata dal turbo capitalismo che colonizza i corpi e le menti di chi mi circonda”.
Chiara Martucci e Gaia Giuliani, The Love Word. Autonarrazioni a confronto (1993-2013) (2014)

 

“La posizione è il gioco dell’indagine critica, sempre parziale, definito e denso di pericoli tra primo piano e sfondo, tra testo e contesto. Soprattutto la posizione non è né evidente né trasparente. La posizione è parziale anche nel senso di valere per alcuni mondi e non per altri”.
Donna Haraway, Testimone_Modesta@ FemaleMan_incontra OncoTopo. Femminismo e tecnoscienza (1997)

 

“Se il femminismo e il poststrutturalismo – ognuno nel suo modo specifico – ci hanno insegnato qualcosa è proprio la necessità di riconoscere la complessità; ossia la presenza simultanea eppure discontinua di aspetti potenzialmente contraddittori di tragitti diversi di soggettività, […] punto fondamentale per resistere alla fede nella onnipotenza di un luogo di potere; non siamo mai pienamente contenuti/e da nessuna delle matrici di potere, tranne in condizioni di totalitarismo che è la negazione definitiva della complessità”.
Rosi Braidotti, Femminismo, anche con altro nome… (2000)

 

“Se la complessità è percepita anzitutto internamente, e se il lavoro educativo ne sollecita l’elaborazione in quanto punto di forza, la persona che la sperimenta, la riconosce e la nomina diventa anche consapevole di avere in sé gli strumenti che le consentono di rapportarsi all’altro, all’altra; di sostenere la sua presenza senza tradire la propria”.
Letizia Lambertini, Il confronto femminile - maschile nell’educazione alla reciprocità (1999)

 

“Quanto al sessuato, nella struttura di linguaggio, i posizionamenti sono numerabili, e fanno quattro. Sì, no, né sì né no, sì e no. Il ‘sì’ designa il posizionamento eterosessuale, come sì all’ordine simbolico. Il ‘no’ designa il posizionamento omosessuale, in posizione di dipendenza reattiva (e di forclusione) dall’ordine simbolico stesso. Il ‘né sì né no’ indica il discorso della castità, che è un discorso affermativo e che a torto si riporta tout court alla spiritualità da un lato o dall’altro all’afanisi contemporanea del desiderio o alla desessualizzazione delle relazioni. Il ‘sì e no’, infine, corrisponde al posizionamento bisessuale. Questi quattro posizionamenti corrispondono alla deriva numerabile della struttura binario-eterosessuata. Gli ultimi tre posizionamenti sono cioè disposti in forma di dipendenza dal ‘sì’ simbolico. In queste condizioni lo ‘spirituale queer’ sarebbe quello di un quinto posizionamento. Esso dispiegherebbe una serie non calcolabile e non anticipabile, sempre al singolare e non derivabile, di sì e di no”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)