LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Che tutti gli uomini siano creati uguali non è né evidente in sé né dimostrabile”.
Hannah Arendt, Vérité et politique (1961)

 

“Gli uomini e le donne sono, è ovvio, diversi. Ma non sono così diversi come il giorno e la notte, la terra e il cielo, lo yin e lo yang, la vita e la morte. Dal punto di vista della natura gli uomini e le donne sono più simili gli uni alle altre che a qualsiasi altra cosa – alle montagne, ai canguri o alle palme da cocco. L’idea che siano diversi tra loro più di quanto ciascuno di essi lo è da qualsiasi altra cosa deve derivare da un motivo che non ha niente a che fare con la natura”.
Gayle Rubin, The Traffic in Women. Notes on the “Political Economy” of Sex (1975)

 

“Le persone sono diverse le une dalle altre. È incredibile notare quanto siano pochi i validi strumenti concettuali che consentono di tenere in debita considerazione questo fatto così ovvio. Nel pensiero critico e politico contemporaneo è stato inscritto meticolosamente solo un piccolo numero di assi categoriali, e per di più alquanto grossolani: il genere, la razza, la classe, la nazionalità e l’orientamento sessuale sono pressappoco le uniche distinzioni di cui disponiamo. Queste distinzioni – così come le descrizioni dei meccanismi in base ai quali si producono e riproducono – vengono ritenute indispensabili e si accorda loro la presunzione di passare sopra a tutte (o quasi) le altre forme della differenza e della somiglianza. Ma il fratello o la sorella, il migliore amico o la migliore amica, il/la collega, la madre o il padre, il figlio o la figlia, l’amante o l’ex, ovvero le nostre famiglie, i nostri amori o i nostri nemici, per non parlare dei nostri strani rapporti sui luoghi di lavoro, di svago e di attivismo politico, ci rivelano che anche coloro con i quali si condividono tutti o parte dei nostri posizionamenti su questi assi alquanto sterili possono comunque essere sufficientemente diversi da noi, e tra loro, da sembrare specie diverse”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

 

“Incoraggiare un bambino a codificare secondo i sessi l’intero comportamento […] dissangua lo schema umano e, di conseguenza egli diventerà una di quelle persone che, eccessivamente consce delle differenze sessuali, sono incapaci di notare le affinità umane tra uomini e donne”.
John Money e Patricia Tucker, Essere uomo, essere donna (1975)

 

“Considerata nella sua dimensione collettiva la pratica ripetuta di dare un nome alla differenza sessuale ha creato l’apparenza di una divisione naturale. ‘Dare un nome al sesso’ è un atto compulsivo di dominio, un performativo istituzionalizzato che crea e insieme regola la realtà sociale, esigendo la costruzione discorsiva/percettiva dei corpi secondo i principi della differenza sessuale”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“Penso che la memoria, specialmente quella collettiva, per motivi che oggi mi appaiono più chiari, operi un filtro attraverso il quale passa solo quanto è culturalmente accettato, mentre lo scarto resta onirico. È una memoria culturale che tende a scartare, dimenticare, quindi rimuovere quanto non è elaborabile; non va oltre, si ferma incorporando solo immagini di modelli accettati e condivisi. La memoria o il pensiero comune a quei tempi erano abituati a collegare automaticamente il maschio all’essere uomo e la femmina a l’essere donna. Assolutamente inconsapevoli della grande rimozione storica e culturale, operata e agita rispetto alle numerose varianti della categoria del genere. Si era rimosso e fatto sparire completamente lo spurio, lo scarto, tutto quello che risultava essere non funzionale, cancellando vite, percorsi, esperienze, talenti. Erano state rimosse dalla scena esperienze ritenute degenerate, bistrattate perché frivole, annullate in quanto ibride, bastarde, pericolose. La storia è stata testimone dell’assurdo annullamento metodico, spesso cruento, di vite o percorsi non assimilabili, di persone non censibili. Lo ha fatto tranquillamente con l’incoscienza, l’inconsapevolezza e soprattutto con l’indifferenza della massa che nulla immaginava”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

“Costruire l’oggetto ‘differenza tra i sessi’ non è possibile se non attraverso una lettura della tradizione e una verifica dei suoi concetti”.
Geneviève Fraisse, La differenza tra i sessi (1996)

 

“La verità dei sessi ha cessato di essere identificabile. Essa non riguarda né il fatto storico né la rappresentazione che se ne vorrebbe dare a priori, in nome della teoria o dell’utopia: la verità dei sessi non è rappresentabile. Ma essa è ormai in movimento: essa è in azione. La differenza dei sessi è diventata una prassi. Una prassi dell’irrapresentabile. Nulla è già detto di ciò che sarà. È qualcosa che si dice, frase per frase, come quando si parla”.
Françoise Collin, Le différend des sexes (1999)

 

“Le ‘differenze’ sono il prodotto astratto, deformante, di un processo di differenziazione che passa all’interno dell’individuo, separando parti tra loro indisgiungibili, come il corpo e il pensiero, i sensi e la ragione. Ne conseguono polarità che non solo sono opposte, ma complementari, disposte secondo un ordine gerarchico da superiore a inferiore, per cui anche la riunificazione prende una direzione obbligata. Diventava chiaro perciò che le ‘differenze di genere’, così come sono state concepite, sono il fondamento simbolico di un rapporto di potere che attraversa tutte le dualità: donna/uomo, biologia/storia, individuo/società”.
Lea Melandri, Lo spazio pubblico si femminilizza ma scompare il conflitto tra i sessi (2010)

 

Il problema che la differenza sessuale sottopone alla nostra attenzione [è] l’inestinguibile impossibilità di stabilire confini certi tra il ‘biologico’ e lo ‘psichico’, il ‘discorsivo’ e il ‘sociale’”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

Femminile e maschile

“La maggior parte delle tribù australiane si suddivide in due metà o classi, sono cioè dicotomiche. Quelli che appartengono ad una delle due classi, si considerano prevalentemente di sesso femminile-maschile; quelli che appartengono all’altra, di sesso prevalentemente maschile-femminile: in maniera tale che i primi valgono come uomini anche quando siano effettivamente donne; i secondi come donne anche quando siano uomini”.
Ernesto Buonaiuti, I rapporti sessuali nell’esperienza religiosa (1949)

 

Coloro che si sanno transessuali, oggi manifestano la (bisessualità)-transessualità latente in tutti. La loro condizione li avvicina o li conduce alla coscienza, potenzialmente rivoluzionaria, del fatto che ogni essere umano, embriologicamente bisessuale, conserva in sé per tutta la vita, dal punto di vista biologico e psicologico, la presenza dell’altro sesso. Io credo che il superamento delle attuali categorie separate e antitetiche della sessualità sarà transessuale e che nella transessualità si coglierà la sintesi una e molteplice delle espressioni dell’Eros liberato”.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale (1977)

 

“Ho designato con il termine Anima il femminile che fa parte dell’uomo come sua femminilità inconscia”.
Carl Gustav Jung, La libido. Simboli e trasformazioni (1912)

 

“Secondo la raffigurazione [delle] tribù [australiane dei Guanantuna], che possono benissimo essere segno di quello che ha pensato ogni gruppo umano agli albori della sua vita associata, ogni uomo ha in sé qualche cosa di femminile, come ogni donna ha in sé qualcosa di maschile. Valgono pertanto come caratteristiche diciamo così simboliche di sesso maschile, la braccia, le dita delle mani, quelle dei piedi, il naso, il collo, la lingua e i denti. E viceversa simboleggiano in qualche modo il sesso femminile la testa, la bocca, l’occhio, l’orecchio, le narici. Ma poiché l’uomo è formato anch’egli con una bocca, con orecchie e simili e la donna da canto suo ha  braccia, piedi, mani e dita è chiaro che, per il Guanantuna, l’uomo è anche donna, e la donna è anche uomo. Come sempre il mito viene a dare la spiegazione ragionata di questo atteggiamento primordiale. La mitologia degli Aranda racconta così che ci fu un tempo in cui ogni vivente di tipo umano non era che un’informe massa di carne, maschio e femmina insieme, finché Altjira, il primo padre divise l’uomo in due parti, in modo che uomo e donna restarono separati l’uno dall’altra. Da allora in poi essi si desiderarono ardentemente l’un l’altra, allo scopo di risultare di nuovo congiunti in un essere androgino e di divenire simili al primo padre, che era, fin dal principio del mondo bisessuale. E per tale motivo fu istituita la festa della virilità o consacrazione o iniziazione, che ha un valore grandissimo nella vita degli indigeni. I giovinetti che debbono sottoporsi ad una simile consacrazione, sono, è vero, fin dalla nascita costituiti così con le caratteristiche primarie del sesso maschile come con quelle secondarie del sesso femminile, ma per femminilizzare le caratteristiche maschili si procede alla circoncisione così nella forma della ‘circumcisio’, come in quella della ‘subincisio’. Nel modo di considerare le cose di questi primitivi, l’elemento maschile si presenta unilateralmente anche nelle cavità orali: perché la lingua e i denti sono altrettanti elementi maschili e per valorizzare anche qui l’elemento femminile, presso gli Aranda si rompe un dente al ‘mista’ [...]. Anche il naso, secondo gli indigeni, porta a troppo forte espressione l’elemento virile; esso è femminilizzato per mezzo dell’anello nasale che è portato da molte tribù. Ma d’altra parte l’elemento femminile prevale talvolta eccessivamente nelle narici, epperò esso è mascolinizzato mediante un piolo di legno o di osso che è introdotto nelle narici. Il carattere maschile aderisce troppo fortemente anche al collo, ai piedi, alle braccia, alle dita delle mani; per tal motivo queste parti sono integrate mediante un anello, il che in senso primitivo significa che l’elemento maschile, il dito, si congiunge con l’elemento femminile, l’anello [...]. E per elevare a vivente coscienza nel ‘mista’ la sua nuova femminilità, prodotta mediante queste cerimonie, gli si aggiunge sempre un nome femminile”.
Ernesto Buonaiuti, I rapporti sessuali nell’esperienza religiosa (1949)

 

“Se per l’uomo parliamo di un'Anima, così per la donna dovremmo parlare di un Animus”.
Carl Gustav Jung, Tipi psicologici (1948)

 

“È rischioso prestare il fianco a ideologie totalizzanti del soggetto per le quali, poiché la persona è una compresenza di aspetti femminili e maschili, il confronto con l’altro/a reale e non ‘semplicemente’ autorappresentato/a risulta alfine improntato a modelli relazionali scontati e ripetitivi”.
Emma Marie Rauschenbach (Jung), Animus e anima (1957)

 

“Troppo spesso si dimentica che le figure della differenza di genere, nella loro complementarietà e gerarchia, strutturano rapporti di potere ma conservano dall’enigma delle origini la seduzione del sogno d’amore: fare di due nature diverse un solo essere armonioso. La spinta alla riunificazione su un polo o sull’altro è la molla che spiega la tentazione del ribaltamento, ma è anche il segno più evidente che a dar forma al dualismo sessuale è una scissione interna all’individuo umano maschile: tra corpo e pensiero, natura e cultura, infanzia e storia”.
Lea Melandri, Differenza. E le sue aporie (2012)

 

“La nostra sventura è di essere in stato di dualità [...]. La separazione dei sessi non è che un’immagine sensibile di questo stato di dualità [...] che è la nostra sventura è il taglio, la frattura per cui colui che ama è altro da ciò che è amato, colui che conosce è altro da ciò che è conosciuto, la materia dell’azione è altra da colui che agisce; è la separazione tra soggetto e oggetto. L’unione è lo stato nel quale soggetto e oggetto sono una sola e medesima cosa, è lo stato di colui che conosce se stesso e ama se stesso”.
Simone Weil, Intuizioni precristiane (1936-1942)

 

Il pensiero binario

“Lo speculum non è necessariamente uno specchio. Potrebbe essere molto semplicemente… - uno strumento che serve a scostare le labbra, i bordi, le pareti, affinché l’occhio possa penetrare all’interno. Affinché possa andare a vedere, specificamente a fini speculativi. La donna dopo essere stata variamente verniciata a fini spettacolari, avvolta in metafore, sepolta sotto una massa di figure stilistiche, innalzata a livelli ideali, adesso potrebbe diventare l’‘oggetto’ da indagare, al quale dare un’attenzione esplicita, e da immettere, a questo titolo, nella teoria”.
Luce Irigaray, Speculum (1974)

 

“Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica e deliziosa proprietà di riflettere la figura dell’uomo a grandezza doppia del naturale”.
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé (1929)

 

“Il dilemma della cittadinanza – uguaglianza/differenza – si va a collocare sostanzialmente dentro la dualità che l’uomo ha creato, ponendo se stesso come misura neutra, universale e la donna come ‘differente’”.
Lea Melandri, Differenza. E le sue aporie (2012)

 

“Pensare la differenza sessuale a partire dall’universale uomo significa pensarla come già pensata, ossia pensata attraverso le categorie di un pensiero che si regge sul non pensamento della differenza stessa. […] La donna vive, quindi, nell’autoestraneazione prodotta dalla tradizione di pensiero dell’Occidente, e il pensiero della differenza sessuale ha pertanto il compito di costruire un’alternativa radicale”.
Franco Restaino, Il pensiero femminista, Una storia possibile (1999)

 

“Ho scelto di rendere me stessa responsabile per questo aspetto della mia cultura e della mia storia. Voglio quindi pensare fino in fondo la differenza, fino in fondo ai nodi del potere e della violenza che ne hanno accompagnato l’insorgenza fino a diventare supremazia nella mentalità europea. […] Quel che spero di fare con la mia assunzione di responsabilità è recuperare e reimpadronirmi di questa nozione, in modo da pulirla, mediante una strategia di ripetizione mimetica creativa, dai suoi nessi con il potere, con il dominio e con l’esclusione. La differenza diventa un progetto, un processo”.
Rosi Braidotti, Femminismo, anche con altro nome… (2000)

 

“In passato al segno femminile è stato associato il valore meno. Ma perché dovrebbe spaventarci l’appartenenza al sesso più debole? Non sempre i forti sono invidiabili. Né far parte dell’esercito dei vincitori significa aver davvero ‘vinto’. Vinto che cosa? L’entrata nella storia attraverso la porta stretta della sagoma del Padre, sul cui profilo dovremmo modellarci? Non v’è dubbio che l’emancipazione abbia liberato una massa di energia straordinaria che ha rivoluzionato la storia e la politica di questo secolo. Ma è anche certo che nella sua carica ideale di fratellanza, nella sua volontà di neutralizzare gli effetti della disparità, quel movimento fallisce in pratica e in teoria. La differenza infatti non solo resta; ma è bene che resti, diciamo noi ex-Amazzoni, post-emancipate. Non vogliamo affatto diventare uguali agli uomini. Vogliamo la differenza, che agisca libera, non costretta in immagini coatte”.
Nadia Fusini, Uomini e donne. Una fratellanza inquieta (1995)

 

“Andare semplicemente nel mondo, senza radicarsi e custodire la propria appartenenza, sarebbe stare nel mondo così come è voluto dagli uomini”.
Adriana Cavarero, Nonostante Platone (1990)

 

“Le donne sono altresì una ‘differenza’ che non può essere intesa come semplice negazione o come ‘Altro’ del soggetto perché è sempre già al maschile. […] esse non sono né il soggetto né il suo Altro, ma una differenza rispetto all’economia dell’opposizione binaria, che è essa stessa uno stratagemma per un’elaborazione monologica della mascolinità”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

Uno, due, molteplice

“La differenza non si numera nei molti ma nel due”.
Diotima, Il pensiero della differenza sessuale (1987)

 

“Non sembra esserci un’etica possibile senza lavoro sull’origine (dico proprio lavoro su e non ritorno a). Sarebbe così possibile, se non un’uscita dal simbolico (nella misura in cui il simbolico implica il due, quest’uscita non sarebbe necessaria), almeno una rifondazione del simbolico che si apre e si articola, intorno al campo semantico della gestazione su/alla realtà: ci sono due sessi”.
Antoinette Fouque, I sessi sono due (1995)

 

“Come strumento di controllo sociale, le donne sono state incoraggiate a riconoscere come legittima una sola area di umana differenza, ovvero le differenze che esistono tra donne e uomini. E noi abbiamo imparato a muoverci attraverso queste differenze con lo zelo di tutti i subordinati oppressi. Tutte noi abbiamo dovuto imparare a vivere o lavorare o coesistere con gli uomini. Dai nostri padri in avanti. Abbiamo riconosciuto e negoziato queste differenze, anche quando questo riconoscimento non faceva altro che perpetuare la vecchia modalità di rapporti umani tra dominante e subordinato, in cui l’oppresso deve riconoscere la differenza del padrone per poter sopravvivere. Ma la nostra sopravvivenza futura si baserà sulla nostra abilità di rapportarci all’uguaglianza. Noi donne dobbiamo sradicare da noi gli schemi di oppressione interiorizzati, se vogliamo andare oltre gli aspetti più superficiali del cambiamento sociale. Ora dobbiamo riconoscere le differenze tra donne che sono nostre uguali, né inferiori, né superiori, e individuare modi di usare le reciproche differenze per arricchire le nostre visioni e la nostra lotta comune”.
Audre Lorde, Età, razza, classe e sesso: le donne ridefiniscono la differenza (1980)

 

“Perché ci sia mondo occorre in effetti passare dall’uno al due e ‘due’ è la via che apre al multiplo, alle migliaia, ai milioni. Due è per così dire l’uno del multiplo, l’apertura, la nascita”.
Jean Christophe Bailly, Le propre du langage (1997)

 

“La differenza può essere definita tale solo mediante il confronto ed è in questo senso principio della relazione, inizio del processo conoscitivo che porta, attraverso la percezione di una mancanza, dall’elemento noto o assimilato all’elemento ignoto cioè estraneo, diverso”.
Letizia Lambertini, Il confronto femminile maschile nell’educazione alla reciprocità (1999)

 

“Sono diversi i modi in cui l’erotico funziona per me, e il primo consiste nel fornire il potere che viene dalla condivisione profonda di qualunque attività con un’altra persona. La condivisione della gioia, sia essa fisica, emotiva, psichica o intellettuale, getta un ponte fra chi la condivide, e questo ponte può essere la base per comprendere molte altre cose che fra quelle persone non sono condivise, e rendere così meno minacciosa la loro differenza”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)

 

“Il corpo è una relazione con ciò che non è se stesso, un movimento, un’attività da un punto di differenza verso altri punti di differenza. E in questo modo la differenza non è né uno schema imposto, né una sostanza uniforme, e nemmeno è la relazione tra entità già differenziate identiche a se stesse. Che cos’è quel qualcosa deriva dall’attività della differenziazione”.
Claire Colebrook, From Radical Representation to Corporeal Becomings: the Feminist Philosopies of Lloyd, Grosz and Gatens (2000)

 

“Tra il corpo che supporta il soggetto e l’altro cui questo corpo si espone nella molteplicità delle sue linee espressive è possibile pensare uno spazio, logico prima che espressivo, che definisca la topica di una relazione. Questa spaziatura, questo intervallo tra i corpi che li definisce come separati, irriducibilmente singolari, è il non-luogo della loro relazione”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

“I risultati delle mie ricerche indicano che uomini e donne parlano linguaggi diversi, credendoli uguali, usano parole simili per codificare esperienze di sé e dei rapporti sociali che sono in realtà dissimili. Poiché i due diversi linguaggi posseggono un vocabolario morale che in parte si sovrappone, inducono facilmente a una traduzione sistematicamente scorretta, dando luogo a incomprensioni che impediscono la comunicazione e limitano la possibilità di collaborazione e di cura responsabile dei rapporti”.
Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità (1982)

 

“La difficoltà o addirittura l’impossibilità di riuscire a capirsi e a comunicare, che sempre più spesso, in separate sedi, donne e uomini attualmente lamentano, deriva probabilmente anche dall’ignoranza maschile di ciò che le donne, un tempo, sono state davvero e di ciò che le donne, oggi, non sono più disposte ad essere nonché dell’ignoranza femminile di ciò che gli uomini, in forza della propria ignoranza e a dispetto del cambiamento femminile, continuano invece ad aspettarsi da loro”.
Luciano Ballabio, Donne che cambiano. Ambivalenza e nuova femminilità (1995)

 

Differenza/indifferenza, eguaglianza/diseguaglianza

“Il rifiuto istituzionalizzato della differenza è una necessità assoluta in un’economia basata sul profitto che ha bisogno di outsider come riserva umana. Noi, che facciamo parte di un’economia di questo tipo, siamo stati tutti programmati a rispondere alle differenze umane tra di noi con la paura e l’odio e ad affrontare ognuna di esse in uno di questi tre modi: ignorarla, e quando non è possibile, copiarla se pensiamo che sia dominante, o distruggerla se pensiamo che sia subordinata. Ma non abbiamo schemi di comportamento per relazionarci da uguali attraverso le nostre differenze umane. Ne consegue che queste differenze sono state mal definite e mal usate al servizio della separazione e della confusione. Ci sono certamente tra noi differenze reali di razza, età e sesso. Ma non sono queste differenze tra noi che ci separano. È invece il nostro rifiuto di riconoscerle, e di prendere in esame le distorsioni che derivano dal nostro definire male queste differenze e i lori effetti sul comportamento e sulle aspettative umane”.
Audre Lorde, Età, razza, classe e sesso: le donne ridefiniscono la differenza (1980)

 

“La differenza non è dunque il contrario dell’uguaglianza ma dell’identità... Quanto all’uguaglianza essa si oppone alla disuguaglianza e non alla differenza”.
Sylviane Agacinski, La politica dei sessi (1998)

 

“Soltanto i rapporti di differenza creano interdipendenza, ma ‘abbiamo difficoltà ad apprezzarla per via della rapidità con cui la trasformiamo in disuguaglianza’. Accade così che il valore della differenza sia azzerato due volte: dalla disuguaglianza, prima, e dall’egualitarismo opposto a quest’ultima, poi”.
Luisa Muraro, Oltre l’ugualianza (1995)

 

“La relazione distorta basata sul principio: ‘se non sono d’accordo con te devo distruggerti’ fa sì che le vittorie di noi Neri non siano creative e che veniamo sconfitti in ogni battaglia comune. Questa psicologia dell’aggressione è basata sulla falsa credenza che la tua asserzione o affermazione di te sia un attacco a me - o che il mio definire me stessa possa in qualche modo impedire o ritardare la tua auto-definizione. Il presupposto che un sesso abbia bisogno del permesso dell’altro per esistere impedisce a entrambi di muoversi insieme come persone auto-definite verso un obiettivo comune”.
Audre Lorde, Graffiare la superficie: appunti sulle barriere tra le donne e l’amore (1978)

 

“Il rivendicare l’uguaglianza dei sessi fa spesso parte del progetto di neutralizzazione della singolarità familiare, sessuale a vantaggio dello Stato e delle sue leggi, anche, in maniera ancora più oscura, nei capovolgimenti materialistici della nostra epoca tutta dedita alla tecnica. Eppure queste leggi hanno apertamente sacrificato la donna e ciecamente sacrificato l’uomo”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“La pluralità umana, condizione fondamentale sia del discorso sia dell’azione, ha il duplice carattere dell’eguaglianza e della distinzione. Se gli uomini non fossero uguali, non potrebbero né comprendersi fra loro, né comprendere i propri predecessori, né fare progetti per il futuro e prevedere le necessità dei loro successori. Se gli uomini non fossero diversi – e ogni essere umano distinto da ogni altro che è, fu o mai sarà – non avrebbero bisogno né del discorso né dell’azione per comprendersi a vicenda. Sarebbero soltanto sufficienti segni e suoni per comunicare desideri e necessità immediati e identici”.
Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana (1964)

 

“Fra donna e donna è un differire inessenziale all’interno di una uguaglianza essenziale, cosicché esso assume il significato di un dispiegarsi di differenze determinate poggiantesi su una comune essenza che fa delle due donne, appunto delle simili. […] L’essere uguali per essenza si riferisce infatti al nostro comune esser donne. […] Tale fondamento, definendo l’esser donna di ogni donna, è per ogni donna uguale, ma poiché ogni donna è questa singola donna, l’uguale fondamento si rivela sempre e necessariamente incarnato in infinite esistenti singolari le quali per esso si simigliano, ma non in esso coincidono: […] Il simigliarsi segna infatti una tensione fra un uguale e un differire”.
Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale (1987)

 

“Considerando l’identità sessuata come una delle posizioni possibili, ma non determinanti che una donna può assumere, le teoriche postmoderne rimettono al centro il nesso tra un ordine globale, indifferenziato, e lo specifico del sesso; in altra forma si ripresenta qui l’oscillazione tra il progetto universale dell’uguaglianza e la valorizzazione del femminile che ha caratterizzato l’emancipazione. L’accanimento a sottrarsi a qualsiasi appartenenza rivela un bisogno persino ossessivo di far coincidere ciò che si è con l’identità desiderata o progettata. Dietro le immagini di identità mutanti riemerge il profilo, già definito alle origini della modernità del soggetto che si pone come artefice di se stesso e delle proprie condizioni di vita, dell’individuo protagonista del contratto sociale in quanto sovrano di se stesso nel corpo e nella mente. Mutano confini e forme di questa padronanza ma non la dinamica essenziale, dal momento che la soggettività si scompone in identità sempre variabili, tutte ugualmente riferite alla volontà razionale”.
Maria Luisa Boccia, La differenza politica (2002)

 

Il pensiero della differenza sessuale

“Nell’Universalismo, si può considerare l’esistenza di un due soltanto nella logica dell’Uno, senza altro, o con un altro che sarebbe lo stesso, per non alterare la potenza narcisistica del Tutto. L’economia di questo Tutto-Uno necessita l’esclusione della differenza o, costretta, tollera il suo corollario: l’inclusione calcolata, quantificata, controllata, omeopatica o vaccinatoria, l’internamento forcluso di questa differenza”.
Antoinette Fouque, I sessi sono due (1995)

 

“Perché regni l’assopimento occorre evitare tutto ciò che costituisce una differenza”.
Viviane Forrester, La violenza della calma (1981)

 

“La storia della filosofia […] è straordinariamente cieca rispetto alla finitezza della differenza sessuale. Tale differenza rimane, per la filosofia, qualcosa di impensato, un superfluo determinarsi dell’uomo in uomo e donna, come se il trovarsi sessuato che ognuno di noi necessariamente esperisce, l’essere altro così e non altrimenti, fosse un accadimento banale per la fatica del concetto, un accadimento buono tutt’al più per le discipline biologiche. […] Per la filosofia […] la differenza sessuale non viene pensata, perché uno dei due sessi viene assunto ad universale, senza che mai diventi tema dell’indagine intorno al vero l’originario differire nel sesso che ciascuno si porta nella carne come il vivere e il morire”.
Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale (1987)

 

“Pensare la differenza sessuale […] ha voluto dire innanzitutto assumere la posizione di soggetto per pensare differentemente, non solo il significato di maschile e femminile, ma più in radice la rilevanza della corporeità per il pensiero stesso. In questo senso il termine differenza sessuale non si propone di definire in primo luogo l’identità femminile nel suo differire da quella maschile. La sfida tra patriarcato e femminismo della differenza sessuale si gioca piuttosto sul terreno dell’‘universalismo indebito’ e si propone di mettere in questione l’astrazione dalle differenze, basata sull’assolutizzazione di una di esse, quella maschile”.
Maria Luisa Boccia, La differenza politica (2002)

 

“Con essenziale e originario differire intendo dire che per le donne l’essere sessuate nella differenza è qualche cosa di imprescindibile, è , per ciascuna donna che si trova a nascere donna un ‘da sempre già dato così e non altrimenti’, che si radica nel suo essere non come un che di superfluo o un di più ma come ciò che essa necessariamente è: appunto donna”.
Adriana Cavarero, L’elaborazione filosofica della differenza sessuale (1987)

 

“La differenza sessuale è […] presente dalle origini nella relazione con la madre. Perciò non si lascia ridurre né al dimorfismo sessuale, da una parte, né a un effetto culturale, dall’altra, come invece lascia erroneamente intendere l’opposizione sesso/genere, ripresa anche da una parte del pensiero femminista, ma di suo tributaria del progetto maschile di rifare e soppiantare l’opera della madre”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1992)

 

“La madre è il rimosso della nostra cultura. E in questo rimosso, sui cui l’uomo ha fondato le sue costruzioni simboliche, i suoi sistemi di orientamento nel mondo e il suo potere, le donne hanno perduto la possibilità di un proprio divenire umano, di una propria trascendenza. Un progetto di educazione che tenga conto della dualità originaria, maschile e femminile, dell’essere umano come suo principio fondante e dunque voglia essere educazione dei due generi, non può eludere questa rimozione”.
Anna Maria Piussi (a cura di), Educare alla differenza (1989)

 

“Per poter valorizzare socialmente e simbolicamente il femminile è necessario un percorso, ancora agli inizi, che colleghi le donne nell’appartenenza al loro sesso attraverso l’inscrizione nella genealogia a loro propria, quella materna. Il senso di sé accresciuto, un’identità salda permettono alle donne di uscire dall’indistinto della confusione e dalla neutralità impoverente dell’emancipazione quando questa ha significato cancellazione della differenza sessuale”.
Anna Maria Piussi e Letizia Bianchi, Sapere di sapere. Donne in educazione (1995)

 

“Quanto alla nostra storia, bisogna tornare a interrogarla da parte a parte per comprendere perché la differenza sessuale non abbia avuto modo di essere ciò che le toccava essere. Né empirica né trascendentale. Perché essa abbia mancato la sua etica, la sua estetica, la sua logica, la sua religione, la realizzazione micro e macrocosmica della sua comparsa o del suo destino”.
Luce Irigaray, Etica della differenza sessuale (1985)

 

“Fare i conti con la differenza senza creare un’opposizione è forse il problema centrale del femminismo […]. La differenza produce una grande ansia. La polarizzazione, che è la rappresentazione teatrale della differenza, addomestica quell'ansia imbrigliandola”.
Jane Gallop, The Daughter's Seduction: Feminism and Psychoanalysis (1982)

 

“Il primo limite del concetto di ‘differenza sessuale’ è dunque quello di relegare il pensiero critico femminista all’interno del quadro concettuale di un’universale opposizione di sesso (la donna come differenza dall’uomo, entrambi universalizzati; oppure la donna come differenza tout court, e quindi egualmente universalizzata), rendendo molto difficile, se non impossibile, articolare le differenze delle donne dalla Donna e cioè le differenze tra le donne, e, a maggior ragione, le differenze interne alle donne. […] Un secondo limite del concetto di differenza sessuale è che esso tende a ricondurre o recuperare il potenziale epistemologico radicale del pensiero femminista entro le pareti della casa del padrone. […] Per potenziale epistemologico radicale intendo la possibilità […] di concepire il soggetto sociale e le relazioni tra soggettività e socialità in modo diverso: un soggetto sì costituito nel genere, però non dalla sola differenza sessuale, ma mediante i linguaggi e le rappresentazioni culturali; un soggetto in-generato nel vissuto delle relazioni di razza e di classe, oltreché di sesso, un soggetto quindi non unificato ma multiplo, non solo diviso ma anche contraddetto”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

La pedagogia della differenza

“Per poter valorizzare socialmente e simbolicamente il femminile è necessario un percorso, ancora agli inizi, che colleghi le donne nell’appartenenza al loro sesso attraverso l’inscrizione nella genealogia a loro propria, quella materna. Il senso di sé accresciuto, un’identità salda permettono alle donne di uscire dall’indistinto della confusione e dalla neutralità impoverente dell’emancipazione quando questa ha significato cancellazione della differenza sessuale”.
Anna Maria Piussi e Letizia Bianchi, Sapere di sapere. Donne in educazione (1995)

 

“La madre simbolica non funziona dunque né come modello di virtù femminile, né come paradigma obbligatorio di identificazione. Essa assurge piuttosto a principio costitutivo di una relazione fra donne che prevede una disparità e un debito. Invece che nel principio della sorellanza come garanzia di una indistinta uguaglianza, la relazione madre-figlia trova infatti la sua misura nella naturale verticalità del loro rapporto, riferito allo scambio fra riconoscimento di autorità e facoltà di linguaggio, fra debito e dono”.
Adriana Cavarero, Il pensiero femminista. Un approccio teoretico (1999)

 

“La sostanza della politica della differenza, è mettersi in relazione con un'altra donna per realizzare il proprio desiderio nel mondo e modificare l'ordine maschile esistente. Come sapete, ab­biamo chiamato questa relazione ‘affidamento’, per sotto­lineare il riconoscimento di autorità e il rapporto di fiducia con l'altra, che più di un uomo può aiutarmi nella realizza­zione dei miei desideri. Vale a dire una pratica della dispa­rità tra donne. Le donne erano e sono uguali nella discriminazione, nella miseria simbolica. Ma nel momento in cui ci sono desideri femminili e sapere, riflessioni, riconosciamo che le donne sono differenti tra loro. Inoltre, attraverso la pratica della disparità diciamo che la misura, la regola e la disciplina di queste differenze, non possono essere lasciate al mondo maschile [...], il rapporto di affidamento è anche un rapporto di scambio. L'affidamento è un rapporto in cui il desiderio parte da colei che si affida [...], il desiderio è della donna che si affida, non dell’affidataria. Cerchi chi può rafforzare il tuo deside­rio, quindi ti dirigi verso quella che ha una forza, un sapere”.
Lia Cigarini, La politica del desiderio (1995)

 

“L’affidarsi di una donna alla sua simile [...] noi lo abbiamo visto e pensato, primariamente, come forma di rapporto fra donne adulte. [...] Fin dai tempi più antichi sono esistite donne che hanno lavorato a stabilire rapporti sociali favorevoli a sé e alle proprie simili. E che la grandezza femminile si è nutrita spesso (forse sempre?) di pensiero e di energie circolanti fra donne. [...] Affidarsi non è uno specchiarsi pari pari nell’altra per confermarsi in quello che si è, ma chiederle e offrirle il mezzo di avere nel mondo esistenza vera e grande”.
Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti (1987)