LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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I Introduzione

Nei Centri Antiviolenza la costruzione e l’esperienza della RELAZIONE tra donne è il punto centrale del lavoro che vi si svolge. La RELAZIONE fra donne che si agisce nella quasi totalità delle Case non è, infatti, - né potrebbe essere - un rapporto di “sorellanza” - ma una RELAZIONE di­spari: essa infatti non è liberamente scelta ma stabilita dalla necessità, dal bi­sogno, e solo successivamente scelta consapevolmente, perché riconosciuta come piacevole e fondante. RELAZIONE, dunque, di di­sparità, tra la donna che accoglie, che si pone come tramite e stimolo, e la donna che le si rivolge: una diversità (DIFFERENZA) reale, inevitabile, da riconoscere e non da negare, su cui costruire la RELAZIONE stessa.

La RELAZIONE tra donne è uno strumento di uscita dalla VIOLENZA poiché viverla e sperimentarla è passaggio fondamentale per riconoscere, valorizzare e rafforzare il proprio essere donna. In una condizione di VIOLENZA, prevaricazione e svalorizzazione da parte di un uomo (marito, fidanzato, convivente, sconosciuto...), solo la RELAZIONE con un’altra donna può aiutare a ridare valore a se stesse e a recuperare le proprie risorse, i propri desideri e i propri bisogni, attraverso strategie d’intervento flessibili, definite ma ridefinibili.

I Centri Antiviolenza sono luoghi di accoglienza gestiti da Associazioni di donne rivolti a donne che hanno subito VIOLENZA. Le attività che vengono svolte, dal punto di vista dell’accoglienza si suddividono in:

- Linee telefoniche, quando le donne vengono accolte soltanto attraverso un colloquio telefonico;
- Centri di accoglienza, quando l’ascolto telefonico si accompagna alla possibilità di sostenere colloqui individuali con le donne;
- Case Rifugio, quando oltre all’ascolto telefonico e ai colloqui viene offerta, alle donne, che si trovano in situazioni di pericolo, ospitalità temporanea in residenze a indirizzo segreto.

Oltre all’attività di sostegno alle singole donne, nei Centri Antiviolenza si organizzano gruppi di sostegno e auto-aiuto, si fa formazione, si progettano e si promuovono ricerche. I Centri Antiviolenza, infatti, non sono solo luoghi dell’accoglienza, in cui la RELAZIONE tra donne nutre la metodologia utilizzata per fare emergere e riconoscere la dimensione della VIOLENZA, sono spazi della politica delle donne. Sono luoghi in cui si costruiscono saperi, progettualità, competenze. Sono “laboratori sociali” nei quali si sperimentano relazioni virtuose e azioni di prevenzione e formazione attraverso interventi locali e territoriali. Sono il motore di cambiamento di una cultura che ancora genera e giustifica la VIOLENZA maschile contro le donne.

 

II La prospettiva degli studi di genere

La nascita dei Centri Antiviolenza si intreccia, per alcuni aspetti, con gli anni di lotta del movimento delle donne (FEMMINISMO) per la Legge di iniziativa popolare contro la VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ): “Norme penali relative ai crimini perpetuati attraverso la VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) e fisica contro la persona”. Proprio per questo è importante porre in evidenza alcuni passaggi significativi.

1970 - A Roma, durante il Congresso del Partito Radi­cale, si svolge un seminario sulla donna nel corso del quale si forma un gruppo che si dà l’obiettivo di stendere una piattaforma di principi e diritti per la liberazione della donna. Nasce il Movimento di Liberazione della Donna (MLD). Nello stesso anno a Milano nasce Rivolta Femminile.

1975 - Delitto del Circeo. Due ragazze romane accettano di recarsi con alcuni giovani in una villa del Circeo dove verranno sottoposte a violenze tali che una di loro resterà uccisa. Entrambi i corpi sono rinchiusi nel portabagagli di un’auto e ritrovati in una strada di Roma. Una delle due è viva. Questo episodio di efferata VIOLENZA contro le donne segna un momento fon­damentale per la mobilitazione femminista contro la VIOLENZA. Le femministe saranno presenti in aula durante tutto il processo, che inizierà un anno dopo, il 30 settembre 1976, e terminerà con la condanna all’ergastolo per i tre criminali. Già in questa occasione si rivelerà fondamentale la presenza delle donne durante il processo.

1976 - In molti Paesi europei nascono i Centri Antiviolenza. Anche a Roma, a opera dell’MLD, nasce il primo Collettivo contro la VIOLENZA sulle donne. Contemporaneamente erano sorti, sempre ad opera dell’MLD, altri Centri Antiviolenza (Milano, Varese, Ancona, Bologna e Catania). L’intenzione è quella di offrire alle donne che hanno subito qualunque tipo di VIOLENZA un punto di riferimento dove poter trovare solidarietà psicologica e concreta. Tutto questo avviene non senza difficoltà, con il rischio, non lontano, di ricadere nell’ottica del Servizio Sociale. L’esperienza dei Centri Antiviolenza diventa importantissima nel far emergere un dato fondamentale per l’elaborazione della Legge sulla VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) e cioè un continente sommerso di violenze sessuali e fisiche fino a quel momento taciute: quelle consumate in fa­miglia. Con il tempo i Centri Antiviolenza sono andati trasformandosi soprattutto in luoghi di incontro, di comunicazione, e di scambio delle esperienze comuni, luoghi di crescita collettiva.

26 aprile 1978 - RAI 2 trasmette Processo per stupro. È un filmato, realizzato da alcu­ne registe, del processo seguito alla denuncia di Fiorella, violentata da quattro uomini. Que­sto processo, trasmesso e seguito in tutta Italia, fa entrare in tutte le case la realtà vergognosa dei pro­cessi per stupro (fino a quel momento celata nelle aule dei tribunali).

A questo punto i tempi sono maturi: l’MLD decide di interpellare gli altri collettivi fem­ministi per la formulazione di una Legge delle donne contro la VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ). Il 13 ottobre si costituisce il Comitato Promotore formato da: MLD, MFR, EFFE, Noi Donne, UDI, Radio Lilith, Quotidiano Donna, Collettivo Donne e Madri Antifasciste del Leoncavallo di Mi­lano, Collettivo Donne di Radio Canale 96, Metà del cielo, Zona 14 di Milano, vari Col­lettivi Femministi di Catania e di Grossetto, e a cui aderisce il Coordinamento Nazionale donne FML (Federazione Lavoratori Metalmeccanici). Il neonato Comitato Promotore decide di utilizzare lo strumento della Legge di inizia­tiva popolare. In questo modo tutte le donne possono essere interpellate e possono dare, con la loro firma, un contributo a questa battaglia. […]. Per la prima volta, quindi, il movimento femminista decide di utilizzare uno strumento istituzionale per cercare di far passare i propri contenuti. E per la prima volta su questi contenuti e con questo strumento, il movimento trova un mo­mento di aggregazione e di lotta comune, di grande forza.

Il grosso significato politico della proposta di Legge di iniziativa popolare sta nel fatto che, in occasione della raccolta delle firme, si viene a creare un importante momento di dibattito e di sensibi­lizzazione dell’opinione pubblica su argomenti e problemi mai affrontati prima o affrontati in modo preconcetto e superficiale (ci riferiamo ovviamente non tanto al movimento delle donne quanto a stampa e mass-media in generale), che conduce a un significativo processo di trasformazione culturale e politica all’interno del nostro Paese. È grazie al dibattito scaturito intorno alla Legge che ormai tutti sanno che, per esempio, lo stupro non è un atto eccezionale e deviante ma, al contrario, un fenomeno diffusissimo, la logica conseguenza di una cultura violenta, e che, dove non c’é consenso all’atto sessuale c’è sempre VIOLENZA, anche all’interno del matrimonio. È in questo clima che comincia la raccolta di firme a favore della Legge.

14 dicembre 1979 - Il Comitato Promotore annuncia che sono state raccolte 50.000 firme (il minimo necessario) e che intende continuare la raccolta perché necessaria a mantenere vivo il dibattito.

29 marzo 1980 - Si conclude la raccolta delle firme. Il movimento femminista dà vita a una grande manifestazione nazionale, a Roma, al termine della quale avviene la storica con­segna al Parlamento delle firme raccolte: sono 300.000 di cui 50.000 di minorenni.

1980-1983 - I partiti si mettono all’erta e tutti presentano (chi prima, chi dopo) una pro­pria Legge. Siamo all’VIII legislatura. La Commissione Giustizia della Ca­mera esamina i progetti di Legge. Concorda un testo unificato che rappresenta una mediazio­ne tra le varie proposte e che titola: “dei delitti contro la libertà sessuale”. In questo testo unificato, tra le altre cose, a differenza della Legge di iniziativa popolare, si stabilisce che, in caso di VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) si procederà a querela di parte “quando tra la persona offesa e il colpevole intercorre, al momento del fatto, un rapporto di coniugio di con­vivenza”.

26 giugno 1983 - Nuova legislatura. È la IX. Tutte le propo­ste di Legge sono decadute, tranne quella di iniziativa popolare. Dopo le elezioni politiche del 1983 i partiti presentano ancora una volta i loro progetti di Legge che ritornano così in Commissione Giustizia. Sono passati più di quattro anni dalla presentazione della Legge di iniziativa popolare.

Il Parlamento non ha mai voluto discuterla. Per denunciare queste gravi inadempienze, per cui gli stupratori restano impuniti in una situazione di vertiginoso aumento delle violen­ze contro le donne, il Comitato Promotore presenta una petizione popolare (nel corso di una animata conferenza stampa), “per la libera deambulazione notturna delle donne”, in cui, dopo aver denunciato la carenza legislativa in una situazione di emergenza, quale quella italiana, al fine di garantire la sicurezza della circolazione notturna delle donne, chiede, provocatoriamen­te e ironicamente, di porre un divieto alla circolazione notturna dei maschi dopo le nove di sera. Contemporaneamente si raccolgono le firme su un esposto indirizzato al Presidente della Repubblica e al Presidente della Corte Costituzionale (i massimi garanti delle libertà indivi­duali e collettive) in cui si fa precisa denuncia delle inadempienze e delle lentezze del Parla­mento.

L’iter di costruzione della Legge si interrompe e non viene più ripreso. La legge avrà un percorso difficile anche nelle legislature successive. È infatti solo nel corso della XII legislatura che viene approvato l’attuale testo di Legge, 66 del 15 febbraio 1996 dal titolo: “Norme contro la violenza sessuale”.

Ripercorrendo la storia dei Centri Antiviolenza in Italia emerge, tuttavia, uno stacco dialettico fra la pratica di alcune componenti del movimento femminista e femminile che si sono occupate dei diritti delle donne e della proposta di Legge contro la VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ), da un lato, e la pratica introdotta dai Centri Antiviolenza, dall’altro, anche se queste ultime sono in un certo modo figlie di quel movimento e molte delle donne che hanno realizzato i Centri Antiviolenza provenivano da quelle esperienze. Rispetto ai Gruppi Giustizia dell’UDI o al Telefono Rosa, che si sono mossi maggiormente nell’ambito generale dei diritti giuridici e della denuncia, i Centri Antiviolenza hanno iniziato a mettere direttamente mano alle contraddizioni sociali che connotano le storie di VIOLENZA, lavorando a fianco e con le donne a trecentosessanta gradi e non più solo sul piano giuridico.

Con i progetti dei Centri Antiviolenza i nuovi gruppi, costituiti quasi sempre in Associazioni di donne, si sono proiettati nell’attività diretta di accoglienza, confrontandosi con pratiche femministe d’oltralpe che, adattate al contesto italiano, sono diventate metodo di sperimentazione, conoscenza e politica insieme.

Mentre nel resto dell’Europa l’esperienza dei Centri Antiviolenza risale agli anni Settanta, in Italia la fase preparatoria inizia alla fine degli anni Ottanta e le prime quattro Case per donne che subiscono VIOLENZA e maltrattamento sorgono fra il 1990 e il 1991 a Bologna, Milano, Modena e Roma da rispettive Associazioni di donne piuttosto diverse tra loro, ma con un punto in comune: il progetto di costituire un nucleo di operatrici con formazione propria e di lavorare direttamente con le donne maltrattate e violentate. La pratica di questi gruppi di lavoro si indirizzerà a individuare una metodologia di accoglienza caratterizzata dalla RELAZIONE di GENERE fra le operatrici e le donne accolte.

Pur essendo realtà tra loro molto diverse, tutti i Centri Antiviolenza hanno fatto una scelta di non neutralità rispetto al riconoscimento che la responsabilità della VIOLENZA è di chi la agisce e che la VIOLENZA contro le donne è un problema della relazione la cui responsabilità è innanzitutto maschile.

La scelta di fondo è quella di mettere al centro la donna, privilegiando la RELAZIONE, in uno spazio di attenzione, di ascolto e riprogettazione della propria vita a partire dai suoi vissuti, dai suoi bisogni e dal suo desiderio di trasformazione, finalizzato ad aumentare il POTERE contrattuale delle donne rispetto all’aggressore o alle istituzioni sociali coinvolte o coinvolgibili (Tribunali, Forze dell’Ordine, Servizi Sociali...). Gli apparati istituzionali: Servizi Sociali, Forze dell’Ordine, Tribunali, lo stato sociale nel suo insieme, sono ancora troppo improntati su una cultura “neutralista” che tende a giudicare la VIOLENZA sulle donne come “patologia della coppia”. Ne consegue che gli strumenti legali e sociali di contrasto alla VIOLENZA sulle donne sono spesso frammentati e risultano ancora troppo spesso inefficaci anche se vi è una sempre maggiore consapevolezza del problema.

L’Associazione nazionale “D.i.Re - Donne in rete contro la violenza” (http://www.direcontrolaviolenza.it/) rappresenta a oggi ottanta Associazioni di donne operanti a livello locale in tutta Italia.

I Centri Antiviolenza e le Case Rifugio dell’Associazione sono luoghi autonomi, non istituzionali, gestiti solo da donne. Dal 2008 D.i.Re svolge una costante attività di contrasto alla VIOLENZA maschile contro le donne e di coordinamento delle risorse territoriali disponibili su tutto il territorio nazionale, anche attraverso una formazione specifica rivolta a operatrici e operatori che a vario titolo si occupano di VIOLENZA maschile contro le donne.

D.i.Re lavora in ambito nazionale, europeo e internazionale in sinergia con altre reti di Associazioni di donne: la rete europea “WAVE – Women Against Violence Europe”, di cui è parte e punto di coordinamento per l’Italia, la “European Women’s Lobby (EWL)”, la rete internazionale dei Centri Antiviolenza “GNWS – Global Network of Women’s Shelter”.

D.i.Re ha ottenuto nel 2014 lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) ed è iscritta all’anagrafe delle organizzazioni non governative dell’Onu e al registro UNAR.