I Introduzione
La genitorialità è la condizione dell’essere genitore e si riferisce sia alla maternità che alla paternità. Letteralmente genitore è colei/colui che genera, per scelta o per costrizione (VIOLENZA).
La generazione fisica tuttavia non assolve completamente la genitorialità che è fatta anche di cura materiale, psicologica e affettiva. Esistono forme di genitorialità indipendenti dalla generazione fisica così come esistono forme di generazione cui non consegue l’esercizio nel tempo della propria genitorialità (per esempio la gestazione per altri). Diverse sono le forme di adozione o di affidamento, legalmente riconosciute o spontanee, che testimoniano modalità differenti dell’essere genitore.
Nel senso pieno del termine essere genitore significa essere disponibili e capaci di proteggere, accudire e sostenere, materialmente e affettivamente, una/un bambina/o nel suo percorso di crescita e di soggettivazione.
L’essere genitore può accompagnarsi a un rapporto stabile e duraturo, di condivisione e di collaborazione, con un’altra persona, o con più persone, oppure no. Alcune persone chiamano queste esperienze di RELAZIONE famiglie.
Esistono forme di genitorialità di coppia (madre e padre, madre e madre, padre e padre) e forme di genitorialità allargata (per esempio in alcune popolazioni dell’Africa o dell’America del Sud, ma anche in alcune esperienze di vita comunitaria, figlie e figli sono allevati ed educati da gruppi allargati di familiari o dall’intera comunità di un villaggio). Esistono anche diverse forme di monogenitorialità. Esse possono essere conseguenti a vedovanza, separazione o divorzio o essere scelte deliberatamente come migliore modalità esistenziale e di relazione con figlie e figli.
La cultura di una società influisce enormemente sulla RAPPRESENTAZIONE della genitorialità contribuendo a determinare quelle convinzioni psicocorporeorelazionali che orientano i comportamenti genitoriali e di conseguenza le risposte di figlie e figli. Pur nella unicità di ogni ESPERIENZA esistono dei tratti accomunanti epoche e culture nella costruzione di modelli e di contromodelli anche in rapporto alla genitorialità.
La genitorialità poi è un processo relazionale che si costruisce nel rapporto con ogni figlia/o. Se è vero infatti che i differenti modi di vivere e di esercitare maternità e paternità fanno i diversi modi di viversi come figlie e figli, è anche vero che i molteplici modi di divenire figlie e figli (FILIAZIONE) incidono sugli svariati sentimenti e significati attribuiti da una donna all’essere madre e da un uomo all’essere padre.
II La prospettiva degli studi di genere
Il percorso di riflessione avviato dal FEMMINISMO ha portato a una rivisitazione fortemente critica del binomio donna-madre e con esso, prima a una analisi, e poi a una rielaborazione, del concetto e dell’esperienza della genitorialità, sia delle donne che degli uomini. La disidentificazione delle donne dal modello materno dell’abnegazione si è accompagnata a un progressivo interesse degli uomini per una paternità più consapevole e più attiva. Il processo di cambiamento dei modelli culturali avviato dal FEMMINISMO ha attraversato diverse tappe. Dal rifiuto della maternità per l’occupazione dei luoghi della produzione materiale e intellettuale, alle lotte per l’accesso libero ad anticoncezionali e aborto, alla sperimentazione di forme di maternità simbolica svincolate dalla generazione fisica, all’attivismo legato ai temi della salute riproduttiva, della gravidanza, del parto e dell’allattamento, alle battaglie per la gestione pubblica della cura di bambini e bambine, alla messa in discussione delle ideologie legate al primato produttivo su quello riproduttivo, alla condivisione dei ruoli di cura tra donne e uomini, alle leggi sul diritto alla paternità, alle battaglie per il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali.
Parallelamente, il ripensamento della maternità avviato dal FEMMINISMO, ha anche portato a una rivalutazione della specificità di questa ESPERIENZA. Liberata dalla RAPPRESENTAZIONE svalutante o terrificante nella quale il sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) l’ha costretta, per garantirsi il dominio sul suo POTERE trasformativo, la maternità diventa il principio costitutivo di un ordine simbolico alternativo a quello paterno. L’ordine simbolico della madre è quello che pone al centro il CORPO della donna, liberato dalle rappresentazioni svalutanti, castranti e impositive del sistema culturale patriarcale, e la figura della madre, che fa nascere e che insegna a parlare, come prima mediatrice del mondo (FILIAZIONE).
III La violenza maschile contro le donne
Il rapporto tra genitorialità e VIOLENZA riguarda le due sfere della VIOLENZA alla genitorialità e della VIOLENZA della genitorialità.
La DIFFERENZA sostanziale tra maternità e paternità impone però una diversa declinazione del discorso. Il diritto alla maternità, infatti, pur essendo di pari valore a quello alla paternità, implica una considerazione del CORPO femminile e della sua fisiologia che non può essere paragonata a quella maschile. Il primo diritto alla maternità è la possibilità di avere figlie e figli senza esserne privata dalla contraccezione, o dall’aborto forzati, o da qualsiasi induzione a limitare la procreazione, così come di ricorrere all’aborto legale in caso di maternità indesiderate. Il diritto di avere i/le figli/e che si desiderano non è lo stesso per tutte le donne in tutti i luoghi del mondo. In alcuni Paesi del mondo la procreazione è controllata dallo Stato per ragioni di limitazione programmatica delle nascite. Questa pratica è spesso legata a forme di discriminazione sistematica nei confronti delle bambine (aborto dei feti di sesso femminile, uccisione delle neonate, abbandono delle figlie femmine) riconducili in parte alla difficoltà di garantire la protezione delle femmine, in parte al meccanismo economico della dote (DENARO). In altri Paesi del mondo, i ritmi di vita e la doppia presenza delle donne, sui luoghi di LAVORO retribuito e in quelli di LAVORO non retribuito della casa e della famiglia, ha fortemente limitato la disponibilità alla maternità. Sistema produttivo ed efficientismo impongono spesso alle donne forme di autolimitazione che costringono il desiderio di maternità (a volte fino a negarlo completamente) e forme di delega educativa che le privano del pieno diritto alla genitorialità. Per molte donne inoltre la maternità può essere un motivo di discriminazione nella ricerca del LAVORO. Non sono rari i casi in cui la ricerca del LAVORO impone la scelta non solo tra carriera professionale e maternità ma, molto più semplicemente, tra possibilità di sopravvivenza e procreazione. La mancanza di una seria politica di conciliazione dei tempi di vita e dei tempi di LAVORO nella maggior parte dei Paesi del mondo è alla base delle rinunce e delle limitazioni di molte donne. Il diritto alla maternità sottintende inoltre che non si perda il posto di LAVORO durante la gravidanza, realtà che non è così rara.
La questione della VIOLENZA della genitorialità implica egualmente una riflessione differenziata per le responsabilità dei padri e per quelle delle madri.
Quando parliamo di genitorialità dobbiamo distinguere innanzitutto tre livelli o sistemi di riferimento che influenzano (il più delle volte condizionano) l'essere genitori:
- il sistema culturale: cioè le rappresentazioni prevalenti elaborate da una società sull'essere padre e sull’essere madre;
- i nostri modelli genitoriali: cioè la RAPPRESENTAZIONE dell'essere genitori che ci siamo costruite/i nella nostra esperienza, come figli e figlie, in rapporto ai nostri genitori;
- noi come genitori: cioè la RAPPRESENTAZIONE (più inconscia che conscia) che sostiene e fonda il nostro peculiare modo di essere e di agire come padri e come madri.
La letteratura è abbastanza concorde nel considerare la VIOLENZA degli uomini contro le donne come un drammatico problema sociale che affonda le sue radici nella millenaria tradizione culturale patriarcale (PATRIARCATO). Questa cultura si articola su una struttura simbolica che stabilisce una gerarchia tra i sessi e sancisce che tale disuguaglianza di POTERE sia naturale, quindi “giusta e normale”. Il PATRIARCATO ha organizzato poteri e saperi che stabiliscono e sostengono modelli di GENERE che confermano la superiorità del maschile sul femminile, dell'uomo sulla donna, del padre sulla madre. Dunque, come bambini e bambine la prima VIOLENZA di GENERE che introiettiamo è questa VIOLENZA culturale. È una VIOLENZA che assorbiamo tutti e tutte, e che inconsciamente ci appartiene, ma che ovviamente non tutti e tutte continuiamo ad agire e promuovere. Questo dipende in larga misura dai modelli genitoriali che abbiamo vissuto e da come i nostri genitori sono stati in grado di emanciparsi dai modelli di GENERE imposti dal sistema culturale patriarcale.
Troppo spesso padri e madri crescono i loro figli e le loro figlie mantenendoli all’interno di limiti angusti, modelli culturali di IDENTITÀ e ruoli (RUOLO) di GENERE stereotipati (STEREOTIPO), utilizzando “normali” violenze psicologiche e fisiche.
Entrambi possono quindi essere responsabili di VIOLENZA nei confronti di figlie e figli: episodi di abbandono, trascuratezza, indifferenza, VIOLENZA fisica e psicologica.
Per quanto riguarda invece lo specifico degli uomini, molte ricerche dimostrano come la maggior parte degli uomini/padri maltrattanti abbiano costruito la propria IDENTITÀ, la propria autostima, il proprio senso di valore, e di valere come uomini/maschi, su immagini, convinzioni e aspettative maschiliste e patriarcali. Sono spesso uomini che replicano nei confronti delle proprie mogli o compagne quelle stesse violenze psicologiche, fisiche o sessuali alle quali hanno assistito, guardando i propri padri agirle sulle proprie madri. La violenza assistita è una forma di VIOLENZA sulle persone di minore età molto grave che può generare problemi di salute e di comportamento, difficoltà a scuola, difficoltà a sviluppare relazioni intime, tentativi di fuga da casa, tentativi di suicidio e che spesso alimenta, a sua volta, comportamenti violenti nei confronti delle proprie figlie e dei propri figli.