I Introduzione
Il denaro assolve a tre principali funzioni: è un deposito di valore, cioè consente di trattenere il valore nel tempo; è un mezzo di scambio che permette, rispetto al baratto, la soddisfazione dei diversi desideri di molte più persone; è un’unità di misura del valore di quasi tutte le cose.
Il passaggio, nelle culture primitive, dallo scambio di doni allo scambio di moneta segna l’avvento di un processo di alienazione relazionale (RELAZIONE) necessario a un ampliamento sostenibile della pratica di scambio. Come dire: meno mi implico nello scambio, più posso allargare la cerchia dei miei scambi.
Questo passaggio ha portato nel tempo al superamento di pratiche legate alla reciprocità e al diffondersi della regola dell’interesse (da scambi di oggetti di pari valore a transazioni maggiorate dalla necessità di guadagno).
La regola dell’interesse è il principio della disparità economica e il dispositivo di POTERE che caratterizza le economie capitaliste rispetto a quelle di sussistenza costringendole, in forma parassita, all’indebitamento e quindi alla dipendenza forzata.
Patrimonio è il termine che designa l’insieme dei beni che una persona possiede e il loro valore monetario. Il termine, che è etimologicamente connesso alla parola padre, richiama l’ordine materiale prodotto dal sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO): da un lato la prevalenza, se non l’esclusività, storiche della patrilinearità nelle modalità di trasferimento dei beni; dall’altro l’attribuzione al padre della gestione dei beni familiari, incluse le donne che, con il matrimonio, passavano (e ancora passano in molti paesi del mondo) dalla giurisdizione del proprio padre a quella del padre dei propri figli spesso sancita da beni di accompagnamento (la dote) di cui la donna non poteva/può direttamente beneficiare.
II La prospettiva degli studi di genere
Le discriminazioni economiche nei confronti delle donne che continuano a persistere (per esempio nei prezzi di alcuni prodotti di consumo o nei salari), nonostante l’introduzione di alcuni importanti correttivi (in Italia, in particolare, gli interventi sulla parità salariale e la riforma del fisco), pongono immediatamente un tema di equità. Attorno a esso si muovono diversi filoni di riflessione femminista (FEMMINISMO) orientati in particolare alla analisi del sistema economico globale e delle politiche capitalistiche di sviluppo.
L’economia del dono rappresenta, all’interno della critica femminista al sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO), un paradigma alternativo a quello capitalista. L’economia del dono sostiene una visione della RELAZIONE improntata al principio della reciprocità, piuttosto che della disparità, e recupera, dall’ordine simbolico delle tradizioni matriarcali, primitive o precoloniali, esempi concreti di sostenibilità economica e di vivibilità ecologica. Si tratta di un filone di riflessione che vede le donne come modello di un’umanità capace di definire le basi di un programma politico che superi la dicotomia avere/non avere sulla quale il capitalismo patriarcale ha costruito i dispositivi di POTERE dell’interesse e dell’indebitamento.
Un altro filone di riflessione femminista si rivolge invece allo studio dei valori non monetizzabili del benessere, sviluppando specifici studi sul rapporto tra PIL (Prodotto Interno Lordo) e BIL (Benessere Interno Lordo), sulla necessità della loro sinergia nella produzione della ricchezza e sul contributo delle donne allo sviluppo di economie più eque e sostenibili. Una parte importante di questa riflessione è dedicata alla valorizzazione del lavoro di cura (di sé e degli altri/e) e del suo rapporto con la produzione di benessere individuale e collettivo. Questa valorizzazione muove una critica fondamentale al sistema capitalista della astrattizzazione finanziaria e fonda sull’approccio delle capacità la costruzione di un modello alternativo di sviluppo. Secondo questo approccio le capacità - che sono le risposte esperienziali (ESPERIENZA) alla domanda che cosa sono in grado di fare? - rappresentano la chiave di volta di una equa partecipazione al sistema economico e della responsabilizzazione dei governi allo sviluppo di PARI OPPORTUNITÀ reali per le donne e per gli uomini.
Sul piano delle politiche economiche un importante contributo femminista è rappresentato dall’introduzione, in alcuni paesi del mondo, tra i quali l’Italia, del regime di tassazione separata. Tale regime favorisce le famiglie nelle quali lavorano sia i mariti che le mogli, dimostrando che il sistema fiscale non è neutro, ma determina l’organizzazione sociale favorendo o disincentivando le discriminazioni di GENERE.
Nell’ambito delle politiche di PARI OPPORTUNITÀ, infine, la diffusione del bilancio di GENERE (la cui origine teorica è riconducibile alla Conferenza internazionale delle donne di Pechino del 1995), rappresenta un modello di analisi della spesa pubblica in rapporto ai benefici diretti e indiretti per le donne e per gli uomini che mette in discussione il modello economico derivato dal sistema culturale patriarcale. Esso si ispira a sei principi: quello della visibilità del GENERE; quello della consapevolezza di GENERE; quello dell’equa ridistribuzione delle risorse; quello dell’efficienza della spesa pubblica; quello della trasparenza; quello della partecipazione all’elaborazione politica.
III La violenza maschile contro le donne
Per VIOLENZA economica si intendono tutte quelle forme di controllo che impediscono di accedere e di mantenere una propria autonomia economica: l’impossibilità di andare a lavorare (LAVORO) o di gestire il proprio stipendio; il poter possedere un proprio conto corrente; l’essere costrette, con l’inganno o con minacce, ad assumere impegni economici con altri o altre. La dipendenza economica può diventare un vero strumento di ricatto che l’uomo esercita sulla donna in una relazione di intimità. Questo la costringe in taluni casi a mettere in atto umilianti strategie al fine di poter soddisfare le esigenze primarie della famiglia: fare la cresta sulla spesa, sottrarre i soldi dalle tasche del marito, chiedere prestiti. Il concetto di VIOLENZA economica è stato coniato negli anni Novanta dai CENTRI ANTIVIOLENZA e dalle avvocate di donne in situazioni di VIOLENZA. La VIOLENZA economica trova terreno fertile a partire dal mondo del LAVORO: le donne non solo mostrano tassi di occupazione minori, ma vengono pagate meno degli uomini, hanno più contratti part-time, si accontentano spesso di lavori precari o in nero e sono maggiormente colpite dalla disoccupazione. All’interno di una RELAZIONE la discriminazione economica consente all’uomo di mantenere saldo il POTERE, di esercitare il controllo e di assoggettare la donna. Il denaro viene utilizzato, consapevolmente o inconsapevolmente, per tenere la donna ancorata alla RELAZIONE, per la sua paura di cadere in povertà o di perdere status sociale. Spesso la VIOLENZA economica viene accettata dalla società come un delitto minore, senza pensare che sminuendo il fenomeno si spingono le vittime ad arretrare nel loro cammino verso l’uscita dalla VIOLENZA. Dai dati ISTAT dell’Indagine multiscopo sulle famiglie 2006, si evince che le violenze economiche sono subite dal 30,7% delle vittime, di cui il 34,2% dall’attuale marito/convivente e il 13,7% dall’attuale fidanzato; impedisce alla donna di utilizzare il denaro per il 2,4% il fidanzato e il 4,9% il marito/convivente, le impedisce di lavorare per 7,6% il fidanzato e il 21,4% il marito/convivente, controlla quanto e come spende per il 13,1% il fidanzato e per il 27,7% il marito/convivente.
La patrilinearità della successione patrimoniale (PATRIARCATO) e la preoccupazione di garantirsi eredi consanguinei e legittimi implica, da parte degli uomini, il controllo familiare e sociale dei comportamenti femminili, soprattutto quelli di carattere sessuale (SESSO/SESSUALITÀ).
La superiorità economica maschile, viene considerata come valore, allo scopo di tenere sotto controllo e rendere dipendente il soggetto economicamente più debole, privandolo così di autostima e credibilità sia in ambito familiare che sociale. Diretta conseguenza di questi presupposti è la condizione di indigenza economica nella quale vivono, in tutto il mondo, molte più donne che uomini.
Già la IV Conferenza mondiale delle donne, tenutasi a Pechino nel settembre 1995, aveva denunciato (dedicando un intero capitolo del documento finale: “Donne e povertà”) il preoccupante aumento dell’impoverimento delle donne. Spesso sole, separate, divorziate o ripudiate, con figlie e figli a carico, le donne molto più degli uomini sono costrette a fare i conti con condizioni di disoccupazione o di precariato che le relegano in condizioni di forte marginalità economica e sociale.