LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Il denaro non compera tutto ma proprio in questa sua incapacità di procurare tutto finisce per dimostrare che è in rapporto a esso che tutti i valori - compresi i più alti - si definiscono”.
Serge Viderman, Il denaro. In psicoanalisi e al di là (1992)

 

“Le donne erano il denaro ma non avevano diritto al denaro. Nonostante la ricchezza dovesse necessariamente basarsi ancor più di oggi sul lavoro delle donne, la dote accompagnava la moglie, ma diventava del marito. Il marito la gestiva. La donna sposata era soggetta alla potestà maritale, e in alcuni luoghi e tempi in via di diritto, in altri in via di consuetudine e di fatto, non era intestataria di beni acquistati dopo il matrimonio né poteva firmare contratti. Per le sue capacità domestiche, procreative e sessuali non riceveva assolutamente denaro: al massimo doni. I gioielli d’oro delle spose erano il pegno del riconoscimento del marito e insieme una possibile piccola fonte di autonomia in caso di disgrazia”.
Elisabetta Addis, Equità di reddito e godimento della ricchezza (2000)

 

“La collocazione ‘fra’ due famiglie rendeva le donne soggetti inaffidabili dal punto di vista patrimoniale: il gruppo parentale di origine si aspettava infatti sempre che una figlia se ne andasse portandosi via parte del patrimonio, quello acquisito temeva che, rimanendo vedova, potesse fare lo stesso. Per questo le norme giuridiche o sociali tendevano ad ostacolare la concentrazione del patrimonio in mani femminili: escludendo le nubili da qualsiasi accesso per legge al patrimonio familiare (tranne che in assenza di eredi maschi); escludendo le mogli dalla gestione e dal godimento dei beni dotali”.
Maura Palazzi, Storia di una grande esclusione (2000)

 

“Spesso le donne non dimostrano alcuna preferenza per l’indipendenza economica prima di apprendere quali sono le possibilità che le mettono in condizione di porsi questo obiettivo; né pensano a se stesse come a cittadini i cui diritti siano stati ignorati prima di credere alla loro eguale dignità di esseri umani. […] Ma anche le preferenze degli uomini sono formate, e spesso malformate socialmente. Di solito gli uomini preferiscono decisamente che le mogli si dedichino esclusivamente alla cura dei bambini e al lavoro domestico, spesso in aggiunta a un lavoro quotidiano di otto ore. Ma anche queste preferenze non sono stabilite dalla natura oggettiva delle cose: sono piuttosto il risultato di una tradizione sociale di privilegio e subordinazione”.
Martha Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana (2002)

 

“Quando le mogli che non guadagnano hanno bisogno di qualcosa per se stesse devono comprarlo con il denaro che avevano messo da parte per le spese della famiglia, per cui spesso si sentono colpevoli. Perciò, una delle ragioni per cui alcune mogli stanno meno bene in termini di consumi è che non si sentono in diritto di spendere dei soldi per se stesse. […] La dipendenza finanziaria spesso pare associata a una deferenza il cui effetto può essere quello di aumentare le disuguaglianze fra chi guadagna e chi spende”.
Jan Pahl, Sbarcare il lunario: le coppie sposate e il denaro (1996)

 

“Le donne non godono di uguaglianza sotto tanti aspetti in tutto il mondo, e questa è una grave mancanza di giustizia. Ma è anche un problema di sviluppo, perché negare opportunità alle donne significa limitare la produttività di tante nazioni”.
Martha Nussbaum, Creare capacità (2011)

 

“I timori di un inefficiente utilizzo delle risorse sono alla base della decisione di inserire fra gli obiettivi strategici dell’Unione europea la crescita del numero delle donne nei settori tecnico-scientifici di formazione e lavoro. […] Valorizzare il lavoro delle donne fuori casa è un obiettivo cruciale oggi in Italia perché corrisponde non solo a principi di equità, ma anche di efficienza economica. […] la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro implica uno spreco di quei talenti femminili in cui le famiglie e le istituzioni pubbliche hanno investito, con una conseguente perdita per l’economia”.
Daniela Del Boca, Letizia Mencarini, Silvia Pasqua, Valorizzare le donne conviene (2012)

 

“Il denaro guadagnato dalle mogli salva dalla povertà migliaia di famiglie britanniche, ma i guadagni delle mogli sono tuttora spesso ritenuti ‘soldi in più’ per le ‘spese extra’”.
Jan Pahl, Sbarcare il lunario: le coppie sposate e il denaro (1996)

 

“Laddove lo ‘spirito del capitalismo’ di weberiana memoria impregnava di sé l’individuo moderno dedito a calcolare, a fare economia, risparmiare per investire e guadagnare di più, a lasciare qualcosa di sé, vuoi come profitto, vuoi come capitale da reinvestire (in piena analogia con l’eterosessualità riproduttiva e nemica di ogni spreco, di ogni disseminazione), l’omosessuale moderno, il gay californiano bianco, bello, palestrato, yuppie, veniva visto – sia dai sostenitori che dai critici – come una celebrazione incarnata e rovesciata delle virtù del capitalismo: il consumatore, il dissipatore. L’omosessuale moderno spende e basta: si nutre di merci, socializza attraverso circuiti commerciali, spende per trovare qualcuno con cui far sesso, spende per la cura di sé, ecc.”.
Cristian Lo Iacono, Lavoro, affetti, “flexiqueerity”. Per la critica dell’economia degli affetti queer (2014)

 

“Per tenere sotto controllo la relazione tra le donne e il denaro dobbiamo guardare non solo alla distribuzione di tempi e denari dentro la famiglia, non solo alla adeguatezza del salario che, se siamo occupate, ci entra in busta paga, ma anche al controllo dell’inflazione e dell’occupazione da parte della Banca Centrale e dell’occupazione e della spesa in servizi e sussidi da parte dello Stato”.
Elisabetta Addis, Equità di reddito e godimento della ricchezza (2000)

 

“Non mi sembra esagerato leggere alcune ansie legate alla precarizzazione come sintomi di una paura, da parte di uomini e donne eterosessuali, di vedere minacciato o perdere il proprio ruolo sessuale e di genere (potrò mantenere una famiglia? quando potrò sposarmi e fare un bambino?) che l’economia politica garantiva loro. Siamo tutti in procinto di queerizzarci?”.
Cristian Lo Iacono, Lavoro, affetti, “flexiqueerity”. Per la critica dell’economia degli affetti queer (2014)

 

Discriminazioni salariali

“Si è discusso a lungo sul fatto che i fra componenti di una stessa famiglia gli standard di vita siano diversi e in particolare sull’ipotesi che le donne sposate conducano un tenore di vita più basso rispetto agli uomini sposati. Poiché i salari delle donne sono mediamente due terzi di quelli degli uomini, e circa due quinti delle donne sposate non hanno un impiego retribuito continuamente, raggiungere un tenore di vita simile per entrambi i coniugi dipende dalla disponibilità dei mariti a dividere almeno parte delle loro entrate. […] La documentazione di cui disponiamo […] indica che la distribuzione e il consumo delle risorse non è equo all’interno della famiglia e che, in particolare, le esigenze della madre vengono messe in secondo piano rispetto ai bisogni degli altri componenti”.
Jan Pahl, Sbarcare il lunario: le coppie sposate e il denaro (1996)

 

“Il differenziale salariale bruto tra uomini e donne è misurato dalla differenza media di salario tra i due sessi. Questo differenziale si può decomporre in due parti: una parte è dovuta al fatto che gli uomini fanno cose diverse da quelle che fanno le donne: sono ingegneri non commesse, raggiungono livelli alti di carriera che le donne non raggiungono, hanno in media più anzianità lavorativa perché le donne hanno lasciato il mercato alla nascita dei figli, o, nelle scorse generazioni, non ci sono entrate del tutto, e l’anzianità lavorativa paga. Ma anche se usiamo tecniche statistiche per ‘ripulire’ il differenziale salariale dagli effetti delle diverse caratteristiche dei due sessi, troviamo che uomini e donne simili, con simili caratteristiche di età, educazione, livello di qualifica, guadagnano diversamente: le donne guadagnano meno. Una parte del loro tempo di lavoro extradomestico è gratuito, come il lavoro di cura che esse svolgono all’interno della propria famiglia. Le italiane erogano rispetto alle altre europee, un numero elevatissimo di ore di lavoro domestico, 45 in media alla settimana”.
Elisabetta Addis, Equità di reddito e godimento della ricchezza (2000)

 

Discriminazioni di prezzo

“La discriminazione di prezzo basata sul genere viene […] applicata in vari mercati, dobbiamo quindi dedurre che sia efficiente per i produttori applicare prezzi diversi tra uomini e donne. Discriminare in base al genere inoltre è una strategia efficace per il monopolista o l’imprenditore che ha potere di mercato poiché questa è una caratteristica osservabile e immutabile di un individuo. Dai prodotti per la cura personale, ai servizi come la lavanderia e il parrucchiere, fino al prezzo di un taxi: molti utilizzano il genere come strumento per avere indicazioni sulla disponibilità a pagare dei clienti”.
Elena Gaibari, Discriminazione di genere nei prezzi: un’analisi economica (2016)

 

“Nella nostra cultura il genere maschile e quello femminile sono spesso associati ad alcuni stereotipi, è quindi possibile che un’impresa con potere di mercato decida di discriminare in base a quelli che potremmo definire luoghi comuni. La discriminazione di genere però non è una scienza esatta, in quanto è possibile che tra i soggetti appartenenti a un certo genere una buona parte abbia le stesse caratteristiche e preferenze, ma è anche possibile che l’elasticità della domanda al prezzo di uno dei due generi sia più o meno uniforme. […] La discriminazione di prezzo basata sul genere assume più rilievo se si pensa al problema della discriminazione delle donne non solo nella società ma anche sul posto di lavoro. In questo caso quindi un tipo di discriminazione giustificato dalla teoria economica diventa anche discriminazione sociale assumendo una connotazione negativa in quanto il maggior prezzo pagato dalle donne va a incidere su un reddito generalmente inferiore”.
Elena Gaibari, Discriminazione di genere nei prezzi: un’analisi economica (2016)

 

Economia del dono

“È l'attività maschile che, creando dei valori, ha costituito l'esistenza stessa come valore; essa ha prevalso sulle forze oscure della vita; ha asservito la Natura e la Donna”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“La scienza normale dell’economia, come fino a oggi viene praticata, ruota così ossessivamente intorno al danaro che, oltre all’analisi dei settori produttivi, non prende nemmeno una volta in considerazione la possibilità di scorgere altre attività che soddisfino i bisogni umani; né prende in esame la possibilità di allargare la propria visione, resa angusta dalla monetizzazione”.
Ina Praetorius, L’economia è cura (2015)


“La combinazione patriarcato e mercato crea un mondo alterato e alienato, antitetico al materno/donante, che anzi squalifica e sfrutta, identificandolo con il comportamento tipico di chi non vale e non appartiene ad alcuna categoria.(Questa non categoria è identificata soprattutto con le donne, che donano alla categoria principale e le danno valore). I tipi di comportamento e le qualità (competizione, dominio e avidità), fomentate dal capitalismo patriarcale, hanno valore di sopravvivenza nelle economie di mercato. La tradizionale condivisione del cibo e l’ospitalità che sopravvivono all’interno delle economie di mercato, mantengono alcune qualità del dono e forniscono significato e senso della comunità, nonostante un contesto generale di scambio”.
Genevieve Vaughan, Le donne e l’economia del Dono. Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile (2009)

 

“Per accedere ad un’organizzazione sociale differente, alle donne occorre... una moneta di scambio o un’economia non di mercato”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“La funzione materna, che di solito viene identificata con le donne, è un esempio di dono in cui i beni sono distribuiti secondo i bisogni in maniera dettagliata e continuativa. Possiamo considerare questa distribuzione l’esempio di una struttura economica che, in quanto tale, ha la capacità di far nascere valori di cura come sua sovrastruttura. Considerando la pratica materna istintiva o naturale, non solo il patriarcato capitalista ha relegato le donne nell’essenzialismo, ma ha bloccato il fatto di poter considerare la maternità come economica. Guardando al dono come a un’economia nascosta, un modo di distribuzione che sta ospitando l’economia basata sullo scambio, possiamo vedere il “carattere comune” delle donne come qualcosa di economico, visto che ha a che fare con una maniera di distribuire i beni secondo i bisogni, con una pratica e un processo che fanno parte di un ruolo socialmente determinato, non con un’essenza. In più, nelle società che si basano sull’economia del dono, gli uomini rimangono materni. Per essere un capo presso i Minangkabau, un uomo deve assomigliare a una buona madre (Sanday 2002). Cosi, le donne e gli uomini che non sono patriarcali hanno in comune non un’essenza, ma la pratica del modo di distribuzione del dono”.
Genevieve Vaughan, Le donne e l’economia del Dono. Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile (2009)

 

“A liberare le donne dalla morsa maschile sarà dunque la distruzione totale del sistema basato sul lavoro e sul denaro, non il raggiungimento della parità economica dentro questo sistema”.
Valerie Solanas, Manifesto per l’eliminazione dei maschi (1971)

 

“Noi distinguiamo fondamentalmente tra il donare da un lato e lo scambio dall’altro come due logiche distinte. Nella logica dello scambio, un bene è dato per ricevere in cambio il suo equivalente. Viene fatta un’equivalenza di valore, una quantificazione e una misurazione. Nel dono, uno dà per soddisfare il bisogno di un altro e la creatività nell’usare i doni di chi riceve è importante quanto la creatività del donatore. L’interazione del dono è transitiva e il prodotto passa da una persona all’altra creando una relazione di inclusione fra chi dona e chi riceve tramite quello che viene dato. Il donare implica il valore dell’altro, mentre la trans-azione dello scambio, fatta per soddisfare i propri bisogni, è autoriflettente e implica solo il proprio, di valore. Donare ha un aspetto più qualitativo che quantitativo, è orientato verso gli altri piuttosto che verso il proprio ego, è includente piuttosto che escludente. Il dono può essere usato per diversi scopi. La sua capacità di creare relazioni fa nascere la comunità, mentre lo scambio è un’interazione tra avversari e crea individui separati centrati su se stessi”.
Genevieve Vaughan, Le donne e l’economia del Dono. Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile (2009)

 

Economie sostenibili

“Il sistema liberale attuale è sufficientemente morbido e trasparente per potersi adattare alle diversità nazionali, ma sufficientemente ‘globalizzato’ per confinarle poco a poco nel campo del folklore. Severo, tirannico, ma diffuso, poco reperibile, distribuito dappertutto, questo regime che non è stato mai proclamato, detiene tutte le chiavi dell’economia, che riduce al dominio degli affari, i quali, a loro volta, si fanno carico di assorbire tutto quello che non dovesse ancora appartenere alla loro sfera”.
Viviane Forrester, L’orrore economico (1996)

 

“Le organizzazioni femministe che si occupano di economia sanno quanto sia difficile e insieme necessario pensare un’alternativa economica che sia anche alternativa all’economia. È necessario un lavoro di intersezioni, di scoperta di funzionamenti, di analisi e di interpretazione delle pratiche che vengono via via inventate sul campo, di indicazione delle prospettive che esse aprono, di ‘trattenimento dei significati’ nelle mani di chi li ha creati, pur dandogli visibilità. Necessita anche la capacità di vedere i tempi dell’oggi come anticipazione di ciò che si vuole nel futuro, la ricerca di alleanze con donne diverse, con uomini capaci di pensare e vedere, la capacità di interrogare ad esempio la relazione tra la mascolinità e la configurazione attuale del mondo. Necessitano la gestione del conflitto interno in modo non distruttivo, metodi di ‘tenuta personale’, di lavoro interiore per vivere la militanza in modo meno estenuante e svuotante. Insomma una mole enorme di metodi, di teorie, di aree di ricerca, di tematiche, di pratiche da tenere vive e interconnesse”.
Paola Melchiori, I rapporti tra uomini e donne in una prospettiva transculturale (2010)

 

“Il ruolo di difenditrici della vita delle donne è stato messo in rilievo anche dalla ‘prospettiva della sussistenza’, la proposta di Mies, Bennhold-Thomsen e von Werlhof di rovesciare i valori correnti adottando come punto di riferimento privilegiato il punto di vista di chi è in grado di procurarsi la propria sussistenza, sempre nell’ottica della sostenibilità del sistema economico e sociale”.
Daniela D’Anna, Sviluppo sostenibile. Quando i conti non tornano (2012)

 

“Dare le risorse alla popolazione non sempre porta persone collocate socialmente in modo diverso alla stessa capacità di funzionamento. […] L’analisi delle capacità, al contrario prende in considerazione le condizioni di vita reali delle persone. Analizzare i diritti economici e materiali in termini di capacità ci consente quindi di elaborare in modo chiaro i criteri che usiamo per spendere diseguali quantità di denaro per le persone disagiate, o per creare programmi speciali per aiutarle nella transizione allo sviluppo di piene capacità”.
Martha Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana (2002)

 

“Le donne sono spesso in prima linea nelle lotte per difendere le fonti di vita, come le donne chipco che nella regione indiana dell’Himalaya abbracciano gli alberi per non farli abbattere per ricavarne legname da vendere, dal momento che il loro popolo ha bisogno della foresta da cui trae in modo sostenibile la propria sussistenza. Anche l’agricoltura di sussistenza di cui si occupano le donne viene sempre più sostituita da monoculture per il mercato, spesso di prodotti per l’esportazione. Con l’avanzare del modo di produzione capitalistico in molti luoghi le donne perdono i diritti tradizionali di utilizzo della terra mentre i diritti di proprietà individuale sono introdotti a favore degli uomini”.
Daniela D’Anna, Sviluppo sostenibile. Quando i conti non tornano (2012)

 

“Usato abitualmente per valutare la vita delle donne che in molti paesi diversi si stanno battendo per l’uguaglianza, l’approccio delle capacità non si presenta, ritengo, come un estraneo prodotto d’importazione: esso è perfettamente coerente con le rivendicazioni che in molti contesti le donne stanno già promuovendo sia a livello locale sia a livello nazionale. Potrebbe perciò sembrare che sia inutile inserire queste voci in una lista: perché non lasciare, semplicemente che siano le donne a decidere che cosa rivendicare in ogni singolo caso? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo far osservare che il dibattito internazionale sullo sviluppo fa già uso di un linguaggio normativo. Là dove l’approccio delle capacità non ha già preso piede […] prevale ancora un linguaggio teorico molto meno adeguato, che può essere tanto il linguaggio basato sulla soddisfazione delle preferenze, quanto il linguaggio della crescita economica. Per questo abbiamo bisogno dell’approccio delle capacità come alternativa umanamente più ricca rispetto a quelle teorie inadeguate dello sviluppo umano”.
Martha Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana (2002)