LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Ruolo deriva dal latino rotula. In Grecia e anche nell’antica Roma, le parti, a teatro, erano scritte su ‘rotoli’ e venivano lette dai suggeritori agli attori che tentavano di impararle a memoria; questa attribuzione del termine ruolo sembra essere andata persa nei periodi più illetterati della prima e seconda parte dell’alto medioevo. Non fu prima del sedicesimo e diciassettesimo secolo, con l’arrivo del palcoscenico moderno, che le parti dei personaggi teatrali vennero lette da ‘ruoli’ o fascicoli di carta. In questo modo ogni parte scenica diviene un ruolo. Il ruolo dunque non è all’origine un concetto sociologico o psichiatrico; esso entrò nel vocabolario scientifico attraverso il teatro [...]. Il ruolo è la forma operativa che l’individuo assume nel particolare momento in cui reagisce a particolari situazioni in cui sono coinvolte altre persone o oggetti [...]. La funzione del ruolo è di penetrare l’inconscio del mondo sociale e di metterci ordine e forma. Noi consideriamo i ruoli e le relazioni tra i ruoli come il più significativo sviluppo all’interno di qualsiasi cultura. Il modello delle relazioni di ruolo attorno ad un individuo che ne costituisce il nucleo centrale si chiama il suo atomo culturale. Ogni individuo, proprio come ha una serie di amici e una serie di nemici, ha anche una gamma di ruoli contrapposta a una gamma di controruoli”.
Jacob Levi Moreno, Manuale di psicodramma. Il teatro come terapia (1946)

 

“Ruolo di genere è tutto ciò che una persona dice e fa per indicare agli altri o a se stessa in che grado è maschio, femmina o ambivalente; include l’eccitamento e la risposta sessuali, ma a ciò non si limita; il ruolo di genere è l’espressione pubblica dell’identità di genere, e l’identità di genere è l’esperienza privata del ruolo di genere”.
John Money e Patricia Tucker, Essere uomo, essere donna (1975)

 

“Far coincidere il genere con maschile/femminile, uomo/donna, maschio/femmina significa dunque mettere in scena, far accadere proprio quella naturalizzazione che la nozione di genere dovrebbe rendere possibile. Un discorso restrittivo sul genere, che persiste nel binarismo uomo/donna inteso come unico modo di intendere l’ambito del genere, mette quindi in atto un’operazione regolatrice di potere che naturalizza l’esempio egemone, impedendo anche solo la pensabilità del suo smantellamento”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

“Una qualità è stata attribuita ora all’uno ora all’altro sesso. Talora si pensa che siano i ragazzi a essere estremamente sensibili e bisognosi di cure e attenzioni particolari, talaltra si crede che siano le ragazze. In alcune società i genitori debbono provvedere una dote o fare delle magie per assicurare un marito alle figlie, in altre padre e madre si preoccupano per la difficoltà di sposare i maschi. Certi popoli ritengono le donne troppo deboli per lavorare fuori casa, altri le considerano adatte a portare carichi pesanti ‘perché le loro teste sono più forti di quelle dei maschi’. Il ciclo periodico delle funzioni riproduttive ha fatto pensare ad alcuni che le donne siano dotate dalla natura di un potere magico o religioso altri di poteri decisamente antitetici a questi... In alcune civiltà le donne sono considerate incapaci di conservare un segreto per quanto importante, in altre sono gli uomini a essere considerati pettegoli. Sia che prendiamo in esame questioni di importanza minima o del massimo interesse, che consideriamo le frivolezze di ornamenti e cosmetici o la santità del posto riservato all’uomo nell’universo, troveremo sempre questa grande diversità nei modi, spesso decisamente contrastanti, secondo i quali è stato regolato e modellato il ‘ruolo’ dei due sessi nella società”.
Margaret Mead, Maschio e femmina (1949)

 

“Le concezioni culturali di maschile e femminile in quanto categorie complementari eppure mutualmente escludentesi all’interno delle quali sono collocati tutti gli esseri umani, costituiscono un sistema di genere all’interno di ogni cultura, un sistema di senso o simbolico, che correla il sesso a contenuti culturali secondo valori e gerarchie sociali. Anche se assume significati diversi nelle diverse culture, un sistema sesso/genere è sempre intimamente connesso a fattori sociali e politici in ogni tipo di società. In quest’ottica, la traduzione culturale del sesso in genere e l’asimmetria che caratterizza tutti i sistemi di genere nelle diverse culture (anche se con modalità diverse) vengono considerate ‘sistematicamente collegate all’organizzazione della disuguaglianza sociale’”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“È in funzione dei bisogni e dei valori di una determinata società che si definiscono rispettivamente i ruoli del padre, della madre e del figlio. Quando il faro ideologico illumina soltanto l’uomo/padre e gli conferisce tutto il potere, la madre torna nell’ombra e il suo status diventa simile a quello del figlio. Al contrario quando la società si interessa al figlio, alla sua sopravvivenza e alla sua educazione, il faro viene puntato sulla madre che diventa il personaggio essenziale a scapito del padre. In ambedue i casi il suo comportamento nei riguardi del figlio e del marito subirà un cambiamento e a seconda che la società dia più o meno valore alla maternità, la donna sarà più o meno una brava madre”.
Elisabeth Badinter, L’amore in più (1980)

 

“Solo tra gli esseri umani i maschi sono riusciti a intromettersi tra la donna e il suo pasto, ad assumere il controllo delle risorse di cui lei ha bisogno per sostenere se stessa e i suoi figli. Solo tra gli esseri umani si è diffusa l'idea che un maschio debba mantenere la sua femmina, e che quella sia in effetti incapace di mantenere se stessa e la sua prole, e dunque sia un atto di reciprocità perfettamente ragionevole aspettarsi che un uomo nutra la propria famiglia e che la donna gli sia infallibilmente fedele, così da garantirgli la sicurezza della paternità e da rendere conveniente il suo investimento di energie”.
Natalie Angier, Donna. Una geografia intima (1999)

 

“Sulle differenze di genere non si è fondato solo il dominio dell’uomo sulla donna, o della storia sulla natura, ma si è modellata anche la divisione sessuale del lavoro. Le donne sono state storicamente confinate sul versante che è parso più vicino alla loro ‘natura’ di genitrici, custodi della sessualità e degli interessi della famiglia; l’uomo ha riservato a sé la sfera pubblica, senza rinunciare per questo ad estendere il suo dominio sugli interni della casa”.
Lea Melandri, Lo spazio pubblico si femminilizza ma scompare il conflitto tra i sessi (2010)

 

“La divisione del lavoro e le attribuzioni di potere nel patriarcato richiedono non solo una mater dolorosa, ma una madre spogliata di ogni sessualità: la Vergine Maria, virgo intacta, di assoluta castità. Alle donne è concessa la sessualità solo in un certo periodo della loro vita, e la sensualità della donna matura – e sicuramente di quella anziana – viene giudicata grottesca, pericolosa e sconveniente”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Le differenze tra i sessi in natura – il corpo femminile dotato di caratteristiche e capacità proprie diverse da quelle maschili – si prestano (si sono prestate) alla costruzione di una disparità storica in virtù della quale la divisione del lavoro, i compiti quotidiani, l’accesso alla sfera intellettuale e simbolica, si sono organizzati nel tempo lungo una profonda asimmetria, a discrimine e svantaggio del genere femminile”.
Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno (a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile (1996)

 

“La riproduzione della funzione materna della donna costituisce la base per il perpetuarsi della collocazione della donna nella sfera domestica. La funzione materna e la collocazione strutturale della donna nella sfera domestica, che da essa deriva, fanno da anello di congiunzione tra l’attuale organizzazione sociale dei generi e l’organizzazione sociale della produzione, contribuendo al riprodursi di entrambe. Che le donne facciano le madri è un aspetto fondamentale dell’organizzazione del sistema sesso/genere: sta alla base della divisione del lavoro e accanto all’ideologia descritta circa le capacità e la natura della donna, genera anche una psicologia e un’ideologia della dominanza maschile. Le donne, in quanto mogli e madri, contribuiscono inoltre alla riproduzione quotidiana e generazionale, sia fisica sia psicologica, dell’uomo come lavoratore, e dunque contribuiscono al perpetuarsi della produzione capitalistica. La funzione materna della donna perpetua anche la famiglia quale si è costituita in una società a dominanza maschile. La divisione sessuale e familiare del lavoro, per cui le donne fanno le madri, crea una divisione secondo il sesso anche nell’organizzazione e nell’orientamento psichici. Produce uomini e donne il cui genere è assegnato dalla società e che costituiscono tra loro rapporti eterosessuali asimmetrici; produce uomini che si difendono dalla donna, che la temono e si comportano come se fossero superiori e che dedicano la maggior parte delle loro energie al mondo extrafamiliare del lavoro e non accudiscono i loro figli. Produce, infine, donne che rivolgono le loro energie all’allevamento e alla cura dei bambini, riproducendo così quella stessa divisione sessuale familiare del lavoro in cui le donne fanno le madri”.
Nancy Chodorow, La funzione materna (1978)

 

“I desideri affettivi e quelli erotici della donna sono disocciati ma più o meno compatibili con un adattamento sociale che esclude il suo adattamento erotico, o con un adattamento erotico che esclude l’adattamento sociale”.
Françoise Dolto, Il desiderio femminile (1960)

 

“Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l'aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell'uomo; è l'insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“Sul piano delle relazioni sociali molti uomini imparano presto che l’educazione informale alla virilità chiede loro una perentoria rinuncia all’espressione di emozioni diverse dalla rabbia, quasi unico caso in cui un vero uomo può permettersi di perdere pubblicamente il controllo. Ma le emozioni, nella loro gamma infinita, fanno parte dell’esistenza di ogni essere umano; cosa deve lasciare da parte un maschio per essere considerato positivamente dagli altri? A cosa hanno rinunciato nel corso della loro vita quegli uomini che si atteggiavano a spavaldi, sicuri, indistruttibili membri della élite virile?”.
Sandro Bellassai, Dalla trasmissione alla relazione. La pedagogia della mascolinità come riposizionamento condiviso nella parzialità di genere (2010)

 

“Il modo in cui una società struttura i più fondamentali rapporti umani - i rapporti fra le due metà, maschile e femminile, del genere umano, senza le quali la specie non potrebbe sopravvivere - ha importanti conseguenze per la totalità di un sistema sociale. Esso influisce sui ruoli individuali e sulle scelte di vita tanto delle donne quanto degli uomini. Altrettanto importante, anche se finora poche volte rilevato, è il fatto che influenza profondamente anche tutti i valori e le istituzioni sociali, determinando se una società sarà pacifica o bellicosa, di fondo equilibrata o autoritaria, se vivrà in armonia con l’ambiente o protesa alla conquista”.
Joseph Campbell et al., I nomi della Dea. Il femminile nella divinità (1992)

 

“Rifiutare la passiva accettazione dei pregiudizi sociali che determinano ciò che una donna deve essere, superare i sensi di colpa e gli atteggiamenti di sottomissione masochistica nei confronti degli uomini, attribuire valore positivo alla femminilità propria e, se si diventa madri, a quella delle proprie figlie, sviluppando la capacità di rimanere sole per imparare ad affrontare la possibilità della perdita e della separazione, prendere criticamente le distanze dagli imperativi ossessivi della bellezza e della giovinezza: sono queste alcune delle possibili strategie che le donne potrebbero seguire per evitare di continuare ad identificarsi, nell’intimo di se stesse, oltre che negli atteggiamenti esteriori, ‘con il ruolo di inferiorità che la nostra società riserva al loro sesso’”.
Luciano Ballabio, Donne che cambiano. Ambivalenza e nuova femminilità (1995)

 

“Strapparsi dal proprio ruolo rivendicativo della pura opposizione per mettersi finalmente in ascolto di tutte quelle forze che il puro movimento di opposizione non potrebbe che occultare”.
Simone De Beauvoir, La terza età (1970)

 

“È come se, nel momento in cui abbiamo voluto trasgredire i ruoli di genere in famiglia, nel mondo del lavoro, o anche in discoteca e in camera da letto, cioè nell’esercizio di una sessualità puramente ludica, pur con tutti i conflitti che ciò ha comportato, io e le mie coetanee fossimo state sostenute da una sorta di coscienza femminista in qualche modo già disponibile nel nostro universo culturale, mentre, quando si è trattato dell’amore, non abbiamo trovato nessuna risorsa a cui attingere. […] La tendenza a pensare l’amore come una forza naturale e intrinsecamente buona (che quindi non è possibile né auspicabile cambiare) è fortissima; ma l’amore come qualsiasi altro sentimento o emozione, è costruito socialmente […]. Il discorso amoroso dominante costruisce l’amore come un moto dell’anima che si riconosce in precise pratiche di coppia, e in particolare nella monogamia – o meglio nel desiderio di monogamia, perché praticarla è tutta un’altra cosa”.
Alessia Acquistapace, Decolonizzarsi della coppia. Una ricerca etnografica a partire dall’esperienza del Laboratorio Smaschieramenti (2014)