I Introduzione
La parola sesso originariamente si riferisce a quei caratteri anatomici e fisiologici che distinguono i maschi dalle femmine. Questa parola ha origine dal latino sexus che significa organo genitale. L’organo genitale è ancora oggi, diffusamente nel mondo, l’elemento fondamentale attraverso il quale viene determinata l’attribuzione al maschile o al femminile.
Il riconoscimento dell’intersessualità, tuttavia, cioè di una condizione permanente di ambiguità sessuale (determinata anche dalla rinuncia a forzare medicalmente l’attribuzione a un sesso definito delle persone nate con caratteri genitali non chiaramente maschili o femminili) ha contribuito alla ridefinizione del significato del termine sesso. La militanza delle persone intersessuali e i più recenti studi genetici ed endocrinologici portano oggi a dire che il sesso è la risultante della combinazione genetico-cromosomico-ormonale che determina i caratteri sessuali primari (apparato genitale e sua fisiologia) e i caratteri sessuali secondari (per esempio peli, mestruazioni, barba, seno) e che la rappresentazione binaria di un sesso maschile e di un sesso femminile, rigidamente distinti e univoci, esclude il riconoscimento delle molteplici variabili di tale combinazione. Questo dimostra che anche il dato cosiddetto biologico è passibile di interpretazioni, a seconda della disponibilità, o della indisponibilità, a vedere e a comprendere la complessità e a decostruire, o rinforzare, il sistema rigidamente binario nel quale si è costruita anche la RAPPRESENTAZIONE dei sessi.
Le esperienze transessuali poi - cioè di passaggio fisico, da un sesso a un altro - ne esistono due variabili: da maschio a femmina (MtoF) e da femmina a maschio (FtoM) -, e la militanza delle persone transessuali, sono un ulteriore elemento critico rispetto alla schematizzazione binaria dei corpi sessuati e alla normalizzazione delle categorie eterosessuale/omosessuale.
Il sesso non esiste indipendentemente dal CORPO. Il corpo sessuato desidera la sessualità che è quell’incontro tra corpi che produce piacere: emotivo, affettivo e fisico. Il piacere è al tempo stesso stimolo e risposta alla sessualità, movente e risultante dell’incontro.
Esistono due tipi di incontro: uno tra sessi diversi (eterosessuale), uno tra sessi medesimi (omosessuale). Donne che desiderano incontrare sessualmente donne si chiamano lesbiche. Uomini che desiderano incontrare sessualmente uomini si chiamano gay. Uomini e donne che desiderano incontrare sessualmente sia uomini che donne si chiamano bisessuali. L’attrazione determinata dal desiderio sessuale è chiamata orientamento sessuale. Ai tre orientamenti dell’eterosessualità, dell’omosessualità e della bisessualità alcune/i ricercatrici/tori aggiungono anche le variabili della asessualità (assenza di desiderio sessuale) e della pansessualità (attrazione per più persone indipendentemente dal loro sesso/sessualità).
Il sesso è anche l’organo riproduttivo. Nella femmina è costituito dalla vagina, dalla clitoride, dall’utero, dalle ovaie e dai seni e permette di concepire, contenere per il tempo della gravidanza, partorire e allattare figlie e figli; nel maschio è costituito dal pene e dai testicoli e permette di fecondare.
II La prospettiva degli studi di genere
La configurazione maschile o femminile degli organi sessuali (in particolare vagina e pene) è stata ed è ritenuta, presso molte culture, determinante del nostro essere nel mondo in quanto donne o uomini e ha funzionato, insieme alla loro fisiologia, come principio di attribuzione a ruoli (RUOLO) ben distinti e speculari. Tale configurazione, in particolare, è stata caricata, nei millenni, di simbologie legate a una visione dualistica della relazione tra esterno e interno, essere e non essere, apparire e nascondere, da cui il passaggio a simbologie cosmiche (per esempio solare e lunare), e poi a stereotipie (STEREOTIPO) comportamentali (per esempio vigoroso e fragile), e poi a categorie morali (per esempio spirituale e terreno), tutte accomunate da una ricorrente disparità di valore.
Questa visione ha influenzato una RAPPRESENTAZIONE della sessualità assolutamente rigida e dicotomica nella quale il maschile è stato identificato con la dimensione attiva (forte e dominante) e il femminile con quella passiva (debole e subalterno).
Sebbene l’esperienza reale degli uomini e delle donne non confermi questa RAPPRESENTAZIONE il sistema di POTERE patriarcale (PATRIARCATO), dominante per millenni, ha determinato, in modo diffuso, una coercizione e un adattamento degli uomini e delle donne a questa visione.
Questo dimostra che la sessualità, come il CORPO, è espressione dell’integrazione dinamica di fattori biologici, psicologici e culturali e che si pone al punto di intersezione (e di scontro) tra dimensione privata e dimensione pubblica. Essa è controllata, in molte culture, da precisi codici di comportamento con i quali gli uomini hanno preteso di dire perché e come i sessi si devono incontrare, imponendo orientamenti e vincoli di un sistema di valori fondamentalmente organizzato attorno all’esigenza di garantirsi una supremazia di POTERE nei confronti delle donne.
La concentrazione prevalente della RAPPRESENTAZIONE della sessualità sulla RELAZIONE maschile-femminile, inoltre, non solo ha funzionato in senso normativo nella definizione delle “corrette” pratiche del rapporto sessuale tra uomini e donne, ma anche nell’imposizione di una superiorità della eterosessualità rispetto ad altri orientamenti e pratiche. Per eteronormatività si intende la naturalizzazione dell’eterosessualità come “normale”, e culturalmente legittimata, espressione delle relazioni sessuali. L’eteronormatività è uno dei dispositivi di POTERE più diffusi del sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) e ha agito come giustificazione sia della VIOLENZA maschile contro le donne, sia della VIOLENZA omotransfobica.
Il percorso di riflessione avviato dal FEMMINISMO ha messo in luce le deformazioni di questa RAPPRESENTAZIONE e ha aperto lo spazio a percorsi di soggettivazione e di ridefinizione dei rapporti di POTERE che sono alla base di una rifondazione delle relazioni sessuali e di GENERE più corrispondente alla complessità dei desideri e della loro soddisfazione.
III La violenza maschile contro le donne
Nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’anno 2002, la VIOLENZA sessuale è definita come “qualsiasi atto sessuale, o tentativo di atto, commenti o avances non desiderate, o traffico sessuale, contro una persona con l’uso della coercizione”. Questa VIOLENZA può essere messa in atto da qualsiasi persona indipendentemente dalla relazione che ha con la vittima, in qualsiasi ambito, inclusi quello familiare e quello lavorativo. Per coercizione si intende, oltre quella fisica, l’intimidazione, le minacce, o la situazione in cui la persona non può dare un consenso in quanto, per esempio, sotto l’effetto di sostanze, per disabilità psicofisica, perché incapace di comprendere la situazione, come nel caso di abuso di minori.
L’abuso sessuale comprende tutti gli atti volti all'eccitazione o gratificazione di un adulto nei confronti di minori e indipendentemente dall'uso della forza fisica. Esso è considerato da alcune di noi che abbiamo contribuito a questo lavoro come un’emanazione della cultura patriarcale (PATRIARCATO) per la quale l’infanzia è intesa come un’appendice del femminile e, in quanto tale, assoggettabile alla medesima VIOLENZA esercitata nei confronti delle donne. La maggior parte delle violenze sessuali su minori ha luogo all’interno della famiglia ed è compiuta da padri naturali (GENITORIALITÀ) o da altre figure maschili. L’incesto rappresenta un abuso di POTERE che si fonda su un ricatto psicologico garantito dai vincoli affettivi che impediscono, in troppi casi, di denunciare e sfuggire alla VIOLENZA.
Lo stupro comprende atti sessuali imposti e avviene contro la volontà della donna. L’aggressore è spinto dalla volontà di umiliare, degradare e annullare la vittima. Lo stupro collettivo non è necessariamente legato a pulsioni sessuali, ma è piuttosto da attribuire a precise progettualità, pensate e meditate per infliggere volutamente alla vittima un grado di umiliazione molto elevato. La dimensione del gruppo, non solo crea al suo interno alleanza e vincoli di lealtà, ma anche dinamiche di competizione: la VIOLENZA diventa un'occasione per gareggiare, per dimostrare che non si ha paura e che si è forti. Il gruppo diventa il luogo di misurazione della forza e del POTERE individuali, nonché l’occasione nella quale il singolo può agire la propria distruttività protetto dall'anonimato. L’aumento della forza del gruppo, unitamente al desiderio di annientare il CORPO femminile, considerato un divertimento sessuale, raggiunge il suo apice nell’utilizzo dello stupro come “arma” durante la guerra. Lo stupro di guerra è il mezzo per umiliare e demoralizzare il nemico attraverso la distruzione e la denigrazione delle donne del suo stesso gruppo. Lo stupro accompagna da sempre tutte le guerre. Già nelle narrazioni omeriche vi è testimonianza di questo atto come di un diritto del vincitore, al pari del saccheggio. In tutte le zone di guerra le testimonianze sono state e sono concordi nel dire che lo stupro è un’arma usata sistematicamente, che spesso a essere “colpite” sono le donne più istruite e le più attive (sindacaliste, burocrate, insegnanti, segretarie, donne dei quadri dirigenti o intermedi), che le violenze vengono compiute davanti a testimoni perché l’umiliazione sia maggiore e la diffusione della notizia induca a fuggire.
La necessità di reprimere e controllare la sessualità femminile non ha tempo. In tutto il mondo, le donne e le bambine soffrono, e a volte muoiono, a causa di pratiche tradizionali che continuano a esistere in nome di forme di conformismo culturale e sociale, oltre che per credenze religiose. Per Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) si intendono una serie di pratiche, che mirano ad alterare la conformazione degli organi genitali esterni non per finalità terapeutiche, ma per controllare il piacere e il CORPO delle donne. Ogni definitiva e irreversibile rimozione di un organo sano è una mutilazione. In situazioni di normalità, infatti, non vi è assolutamente alcuna ragione medica, morale, o estetica, per sopprimere alcune, o tutte, le parti che compongono gli organi genitali femminili esterni. La gravità delle Mutilazioni Genitali, e l’età nella quale vengono eseguite, variano da Paese a Paese (a pochi giorni dalla nascita, a circa sette anni, o nel periodo dell’adolescenza) e gruppi etnici insediati in uno stesso territorio si comportano diversamente. Ancora oggi non è possibile stabilire esattamente se queste pratiche abbiano avuto inizio in un’unica area geografica o se si siano sviluppate autonomamente in diverse zone. Secondo la sociologa egiziana Marie Assad ci sono sufficienti prove per affermare che l’infibulazione fosse una pratica corrente nell’antico Egitto (l’infibulazione è infatti detta anche circoncisione faraonica) e che da lì abbia avuto origine. L’escissione e l’infibulazione sono praticate da cattolici, musulmani, protestanti, copti, animisti e non credenti dei vari Paesi interessati. Sono dunque un crimine interreligioso. Esso origina dal bisogno della società patriarcale (PATRIARCATO) di negare e controllare la sessualità femminile dal momento che è evidente che le donne mutilate non proveranno mai eccitazione, piacere, orgasmo. Oggigiorno, fra i ceti più abbienti e nelle grandi città, l’escissione e l’infibulazione vengono eseguite da personale medico e sotto anestesia. Diminuiscono i rischi di complicazioni immediate, ma la devastazione rimane identica e irreversibile. Nella maggior parte dei Paesi nei quali vengono praticate, le mutilazioni sono formalmente vietate per Legge, ma vengono eseguite ugualmente, di nascosto. In Italia le Mutilazioni Genitali Femminili sono un fenomeno importato con l’immigrazione (in particolare da Sudan, Somalia ed Egitto). La Legge 7 del 9 gennaio 2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di Mutilazione Genitale Femminile” non è riuscita ancora a impedirle, a dimostrazione del fatto che proibire non è sufficiente, ma che è piuttosto necessario avviare percorsi di sensibilizzazione che coniughino il diritto a non subire mutilazioni invalidanti e il rispetto di tradizioni culturali radicate e difficili da modificare.
La tratta delle donne è oggi il fenomeno più vistoso di sfruttamento legato alla prostituzione che si innesta sull’immigrazione illegale. Visibile nella prostituzione di strada, meno visibile nella prostituzione al chiuso (appartamenti, offerte di massaggi, sex–club), è un fenomeno criminale articolato, flessibile e mutevole, che poggia sulla grande richiesta di emigrazione esistente nei paesi poveri e in guerra. Le donne, dai più diversi paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’est europeo, vengono convogliate in Europa, con mezzi reclutamento e di pressione più o meno violenta, per soddisfare la grande richiesta di sesso a pagamento. Lo sfruttamento della prostituzione delle donne straniere clandestine da parte di “magnaccia” e trafficanti spesso molto violenti (e in grado di esercitare minacce molto forti di ritorsione sulle famiglie delle donne nei loro paesi di origine), oltre alla carenza di percorsi legali che consentano l’immigrazione regolare, finiscono per incrementare il traffico delle donne. Le raccomandazioni, seguite a rapporti estremamente allarmanti sulla crescita di questo fenomeno, da parte del Consiglio d’Europa, si scontrano con le differenti legislazioni penali dei singoli paesi. Ne consegue la debolezza delle strategie di intervento su questa area di criminalità, cui corrispondono peraltro, in molti paesi, leggi repressive della prostituzione di strada che non fanno che peggiorare la condizione di donne che sono spesso in condizione di vera e propria schiavitù. Dal 1998 in Italia esiste un articolo della Legge sull’immigrazione (Legge 286/1998) che consente alla donna vittima di traffico di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale e, a seguire, un programma di inserimento sociale condotto da organizzazioni di accoglienza autorizzate.
Anche la pornografia, apparentemente così poco coinvolta nelle dinamiche della VIOLENZA, può rappresentare una forma di discriminazione sessuale molto forte. Per alcune di noi che hanno lavorato a questo strumento essa rappresenta una delle forme di VIOLENZA prodotte dall’ideologia patriarcale (PATRIARCATO), utile a mantenere la subordinazione della donna, a partire dalle immagini stereotipate (STEREOTIPO) che propone del suo CORPO e della sua sessualità.
IV Approfondimenti
La prostituzione è un fenomeno sociale “trasversale” sia in senso storico che culturale in quanto riguarda tutte le classi sociali e pur assumendo molteplici aspetti è essenzialmente lo “scambio di sesso con DENARO” principalmente da parte di donne (anche ragazzi transessuali in misura minore) che vendono “prestazioni sessuali” a uomini che acquistano il POTERE di fruire sessualmente del “CORPO della prostituta”.
La definizione attuale di “mercato del sesso” definisce l’importanza del DENARO nella prostituzione e comprende molteplici forme di sesso a pagamento. Il sesso a pagamento è stato sempre, da quando esiste il mercato , una fonte di reddito enorme sia legale che illegale e si è ampliato anche in relazione alle possibilità tecnologiche di comunicazione. Si conta che gli uomini che hanno avuto almeno una volta nella vita rapporti sessuali a pagamento siano l’80% (numero riferito da interviste dirette, conteggi delle unità di strada e altre fonti di monitoraggio del fenomeno). Il fatto che tanti uomini ricorrano al sesso a pagamento a differenza delle donne (che pure sono in aumento) evidenzia la caratteristica di GENERE nel rapporto con la sessualità ancora molto basata sulla mercificazione del CORPO femminile.
Storicamente la disapprovazione sociale e la discriminazione giuridica delle “prostitute” nella cultura patriarcale ha distinto le donne il cui CORPO era pubblico “a disposizione di tutti gli uomini” da quelle il cui CORPO era a uso esclusivo del marito all’interno del matrimonio. La denigrazione sociale era estesa anche alle donne “libere sessualmente” e il termine “puttana” tuttora è usato sia per la prostituta che per la donna che ha rapporti sessuali con molti uomini.
Fino al 1958 le prostitute in Italia non godevano di alcuni fondamentali diritti civili. Schedate dalla Polizia non potevano votare e essere intestatarie di proprietà ed erano perseguite per Legge se non lavoravano nei “bordelli” (o “case chiuse”, alcune anche gestite dallo Stato). Nel 1958 la Legge della deputata Lina Merlin abolì le “case chiuse” e i “bordelli” di Stato. Vietò la schedatura che escludeva dai diritti civili le prostitute e depenalizzò la prostituzione, se svolta individualmente e privatamente, cercando, con questo, di porre ostacolo allo sfruttamento, soprattutto da parte dei cosiddetti “protettori” o “magnaccia” che spesso erano anche i reclutatori delle donne che poi avviavano al “mestiere”. La Legge, tuttora in vigore, vietò anche tutte le azioni finalizzate allo svolgimento della prostituzione compreso l’adescamento.
All’inizio degli anni Settanta in Italia e in altri paesi d’Europa, fra gli altri movimenti sociali, si affermò il “movimento” per i diritti civili delle prostitute costituito da donne che intendevano affermare la legittimità della loro attività di prostitute “libere e autonome” e che diedero vita in alcuni paesi a Sindacati di prostitute coniando il termine di “sex worker” oggi molto utilizzato per definire la prostituzione come attività legittima e liberamente scelta.
Nelle legislazioni dei Paesi europei vi sono grandi differenze rispetto alla legalizzazione della prostituzione che vanno dalla posizione “abolizionista” della Legge svedese che punisce i clienti ma non le prostitute e vieta la prostituzione; alla legalizzazione di diverse forme di “bordelli o sex center” in Germania, Olanda e altri Paesi europei; all’Italia che, nonostante le molte proposte di modifica, mantiene ancora in vigore la Legge Merlin che depenalizza ma non legalizza.
Una prostituta raramente è sola: c’è sempre qualcuno/a dietro di lei. Può essere un’altra prostituta collega; un uomo, a volte fidanzato; o una rete che organizza gli incontri, fino al traffico delle donne a scopo di sfruttamento della prostituzione, e il rischio di essere sfruttata è molto elevato.
Che la prostituzione possa essere una libera scelta legittimata in termini civili ed economici, quindi lecita, o invece sia una forma di VIOLENZA praticata da uomini che comprano il CORPO della prostituta è una questione che divide sia il campo femminista che il campo politico e ideologico in generale. L’approccio pragmatico di legalizzare l’attività garantendo la libertà e la sicurezza delle prostitute in Italia è un obiettivo evidentemente difficile da raggiungere per divergenze di ordine morale, religioso, ideologico e perché le forme della prostituzione sono molteplici e le reti di sfruttamento diffuse e pervasive.