LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“C’è un mito persiano sulla creazione del mondo che precede quello biblico. In esso è la donna a creare il mondo, e lo fa con un atto di creatività naturale che è suo e non può essere duplicato dall’uomo. Mette alla luce un grande numero di figli. I figli, grandemente stupiti da questo atto che essi non sono capaci di ripetere, si spaventano. Pensano: ‘Come possiamo essere certi che così come la vita non possa anche toglierla?’. E così, a causa della loro para di questa misteriosa capacità della donna, e della sua eventuale reversibilità, la uccidono”.
Frieda Fromm Reichmann, On the Denial of Women's Sexual Pleasure (1956)

 

“Patriarcato è il potere dei padri: un sistema socio-familiare, ideologico, politico, in cui gli uomini – con la forza, con la pressione diretta, o attraverso riti, tradizioni, leggi, linguaggio, abitudini, etichetta, educazione e divisione del lavoro – determinano quale ruolo compete alle donne, in cui la femmina è ovunque sottoposta al maschio”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“La storia ci ha mostrato che gli uomini detengono da sempre i poteri concreti; dai primi tempi del patriarcato hanno giudicato conveniente tenere la donna in stato di minorità; i loro codici le sono ostili; in tal modo, la donna fu posta concretamente come l'Altro. Tale condizione serviva gli interessi economici dei maschi; e conveniva inoltre alle loro presunzioni ontologiche e morali”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“… E sogno di maschile
filiazione, sogno di Dio padre
emergente da sé
nel proprio figlio –
niente madre, quindi”.
Hélène Cixous, Sorties (1981)

 

“La cultura occidentale si impone come patriarcale e fallocentrica proprio perché dà battaglia, sgomina, e cancella la generatività vertiginosa del corpo materno: ovvero, del corpo femminile, fecondo, pieno”.
Nadia Fusini, Uomini e donne. Una fratellanza inquieta (1995)

 

“Il patriarcato si fonda sull’idea dell’esistenza di un legame mistico dovuto alla procreazione a opera del Padre. Il fatto di essere figlio di tale persona costituisce la ragione fondamentale della società patriarcale e spiega quasi tutti gli aspetti di quella società. Il lignaggio agnatizio, vale a dire la parentela in linea maschile, è una specie di nazione; tutto è subordinato alla famiglia, il padre è fonte di tutto il potere, è lui che ripartisce i redditi e il lavoro, è lui che detta legge, nel senso che la sua volontà è legge”.
Paul Pascon, La formation de la société marocaine (1971)

 

“La caratteristica determinante della ricostruzione freudiana della storia dell’umanità è l’uccisione del progenitore, avvenuta in un tempo preistorico. È questo padre che costituisce il tratto distintivo del patriarcato. In un’immaginaria epoca preistorica il padre aveva tutto il potere e tutti i diritti su tutte le donne del clan; un gruppo di figli (tutti fratelli deboli da soli ma forti se uniti) lo uccise per ottenerne i diritti. Ovviamente ciascuno di loro non li poteva avere tutti e, ovviamente, i fratelli dovevano provare una sensazione ambivalente verso l’atto che avevano commesso. Il totemismo e l’esogamia, sono i due segni della loro reazione: il totem, ovvero il sostituto simbolico del padre garantisce che nessun altro può uccidere il padre né, dopo di allora, i suoi eredi (ognuno dei fratelli). Inoltre nessuno di questi può ereditare il diritto paterno su tutte le donne: dal momento che non possono ereditarlo tutti, non lo erediterà nessuno. Questa è l’origine della legge e della morale sociali. I fratelli si identificano con il padre che hanno ucciso, ed internalizzano il senso di colpa che provano insieme al piacere per la sua morte. In questo modo il padre diventa più potente nella morte di quanto non fosse quando era in vita; è con la morte che egli istituisce la storia umana. Il padre simbolico morto è assai più importante di qualsiasi padre vivente il quale si limita a perpetuarne il nome. Questa è la storia delle origini del patriarcato”.
Julliet Mitchell, Psicoanalisi e femminismo (1974)

 

“La massima istituzione del patriarcato è la famiglia. Dato che la collaborazione tra la famiglia e la più vasta società è essenziale, altrimenti si disintegrerebbero entrambe, la sorte delle tre istituzioni patriarcali: la famiglia, la società e lo stato, è interdipendente. La prima formulazione della famiglia patriarcale si deve a sir Henry Maine, uno  studioso  di  giurisprudenza  antica  del diciannovesimo secolo. Maine sostiene che la base patriarcale della parentela viene posta, in termini di dominio, anziché di sangue. Basando la sua definizione della famiglia sulla patria potestas di Roma, Maine la formulò in questi termini: ‘Il genitore maschio più anziano ha il comando assoluto nella propria famiglia. Il dominio di lui si estende alla vita e alla morte ed è illimitato sui figli e sulle loro case, come lo è sugli schiavi’”.
Kate Millett, La politica del sesso (1969)

 

“Nell’intimità della casa, della vita ‘privata’ familiare, la donna tiene nascosto il segreto nel sangue [...] Al capo famiglia [...] spetta di riappropriarsi quotidianamente del diritto di sfruttare il sangue onde poter dedicarsi ad occupazioni più sublimi. Vampirismo del padrone che esige di restare nascosto e di esercitarsi la notte, altrimenti c’è il rischio che gli ricordi la sua dipendenza dalla morte. E dalla nascita. Cioè i fondamenti materiali uterini, del suo dominio. Lui li deve rimuovere, per godere una proprietà indivisa”.
Phyllis Chesler, Le donne e la pazzia (1972)

 

“Con l'avvento del patriarcato, quattro o cinquemila anni fa, quando gli uomini diedero forma ai primi stati, una delle loro iniziative fu di definire le donne attraverso la loro sessualità e di confinarvele. Cercarono in ogni modo di ridurre le donne alla condizione di animali domestici che gli uomini potevano allevare, addomesticare e vendere per arricchirsi. Il primo passo degli uomini verso questo obiettivo fu l'istituzione della patrilinearità, che rovesciò l'antico uso di chiamare il figlio secondo il genitore certo, cioè la madre. Il fatto di stabilire l'origine dei figli attraverso la linea maschile dava agli uomini un pretesto per sorvegliare la sessualità delle donne, costringendole a sposarsi e ad avere figli quando erano giovanissime. Uccidevano o costringevano alla schiavitù le donne che perdevano la verginità (persino se erano state stuprate), imponevano loro il purdah, negavano loro il diritto di divorziare o di ottenere l'affidamento dei figli; infine erano messe a morte se abortivano o avevano relazioni sessuali extramatrimoniali. Niente di tutto ciò è mai stato applicato agli uomini”.
Marilyn French, La guerra contro le donne (1992)

 

“Per molte teoriche femministe, il controllo patriarcale del corpo femminile come mezzo di riproduzione è il nocciolo del dilemma [...]. La tragedia nella tragedia è che, essendo considerate prima di tutto come esseri riproduttivi piuttosto che come esseri umani completi, siamo inquadrate in un contesto sessuale (definito dal maschio), con la conseguente epidemia di violenza carnale, abuso sessuale, prostituzione forzata e commercio sessuale di donne, col matrimonio combinato, le strutture familiari istituzionalizzate e la negazione dell’espressione sessuale propria di ogni donna”.
Robin Morgan, Sisterhood is global: the international women’s movement anthology (1984)

 

“Uno dei più efficaci mezzi di dominio [del patriarcato] è di carattere potentemente sbrigativo delle dottrine concernenti la natura e l'origine della femmina e l'attribuzione a lei sola dei pericoli e dei mali imputati alla sessualità. La religione e l'etica patriarcale tendono ad accomunare la femmina e il sesso, come se l'intero fardello delle responsabilità e del marchio d'infamia che attribuiscono al sesso, che, si sa, è impuro, peccaminoso e debilitante, riguarda la femmina, mentre l'identità del maschio è preservata come identità umana anziché sessuale”.
Kate Millett, La politica del sesso (1969)

 

“Sembra proprio che, per la donna e da parte sua, non sia possibile un’economia della rappresentazione della sua sessualità. Rimane nella derelizione della sua mancanza di, del suo difetto di, assenza di, invidia di, ecc., che la porta a sottomettersi, a lasciarsi comandare univocamente dal desiderio, discorso e leggi della sessualità maschile. In un primo tempo del padre".
Luce Irigaray, Speculum (1974)

 

“La repressione sessuale è alla base della psicologia di massa di una ‘certa’ civiltà e precisamente di quella ‘patriarcale e autoritaria’, in tutte le sue forme”.
Wilhelm Reich, La psicologia di massa del fascismo (1933)

 

“Si sa che non esistono né società storiche, né contemporanee in cui il potere non sia in mano agli uomini. Ci si può chiedere il perché di questa supremazia, di questa disuguaglianza sociale che precede tutte le altre e che probabilmente è alla base di ogni società; ma è probabile che la superiorità fisica maschile e soprattutto l'appesantimento, l'immobilizzazione forzata e l'indebolimento delle donne nella gran parte della loro vita, nel ruolo di riproduttrici, ne siano state, alle origini dell'umanità, le cause fondamentali”.
Evelyne Sullerot (a cura di), Il fenomeno donna. Anatomia della realtà femminile (1978)

 

“C’è uno stare delle donne nell’ordine simbolico patriarcale che le vuole divise e da sole, strappate da un luogo di comune appartenenza e di reciproca significazione, e collocate in un posto che prevede per esse ruoli e funzioni finalizzate al regno dei padri. Un posto di “oscure nutrici”, dove la nascita, l’allevamento, l’accudimento, la nutrizione non si iscrivono più in un ordine simbolico femminile che li accolga come un segreto trasmesso per via genealogica, come aspetti (vicende, esperienze) di un comune orizzonte femminile, ma, al contrario, si trovano inscritti in un ordine simbolico estraneo che li comanda, identificandoli paradossalmente con la natura femminile. Infatti qui la natura, la physis, non è il costitutivo darsi del mondo custodito per gli umani dalla soggettività femminile sovrana, ma è una funzione comandata e controllata dalla società degli uomini”.
Adriana Cavarero, Nonostante Platone (1990)

 

“La donna e la madre, in modi diversi certamente, diventano complici di tale repressione. Da loro l’uomo e la società pretendono precise forme di ‘sublimazione’ [...], la continenza libidica. Un paziente lavoro d’autodistruzione pulsionale. Così attraverso la donna e per la donna dura l’opera invisibile della morte, con la sua attività incessante di mortificazione. Senza tregua lei riporta la fine all’inizio, ma non vuole dire che riporti il suo termine al suo inizio [...]. Spersonalizzata, resa impersonale, universale. Tutto e niente dell’inizio e della fine. Mentre l’uomo (si) lancia (nel)la loro sublimazione in specula(rizza)zioni immortali”.
Phyllis Chesler, Le donne e la pazzia (1972)

 

“Le prime femministe potevano descrivere il matrimonio come una forma di ‘schiavitù’ dello stesso tipo di quella patita dal popolo Nero innanzitutto per il valore scioccante del confronto, temendo che la serietà della loro protesta potesse altrimenti cadere nel vuoto. In tal modo però ignoravano che, identificando le due istituzioni, si affermava che la schiavitù in fondo non fosse peggio del matrimonio”.
Angela Davis, Donne, razza e classe (1981)

 

“Nel patriarcato sembra che per raggiungere un’identità maschile, i bambini maschi non debbano comportarsi come le madri. Finché sono piccoli, l’appagamento gratuito dei loro bisogni da parte delle madri costituisce la gran parte della loro esistenza. Poi però l’imperativo di differenziarsi dalle madri allontana i bambini maschi da un comportamento che è importantissimo e che porta in sé la logica del dono. Si chiede loro di non essere materni, di non donare, per poter raggiungere l’identità di genere imposta dal sociale, dal linguaggio, dal padre, dagli altri ragazzi e dalla stessa madre. ‘Maschio’ diventa una categoria privilegiata che ha il padre come ‘prototipo’ o modello, rispetto a ‘femmina’, che viene identificata con la madre che dona. Il padre, passato attraverso lo stesso processo da piccolo, per il bambino sostituisce la madre in qualità di prototipo di ciò che è umano. Quando il bambino cresce, diventare lui il prototipo e assumere la posizione del padre, diventa per lui il programma dell’identità maschile. Chiamo questo processo ‘mascolazione’ e penso che sia la radice psicologica del patriarcato”.
Genevieve Vaughan, Le donne e l’economia del Dono. Una visione radicalmente diversa del mondo è possibile (2009)

 

“Il padre interdice il corpo a corpo con la madre. Ho voglia di aggiungere: se almeno fosse vero! Saremmo più in pace con i nostri corpi di cui gli uomini hanno gran bisogno per nutrire la loro libido e, in primo luogo, la loro vita e cultura”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1987)

 

“La condizione della donna nelle nostre società contemporanee non può essere in alcun modo imputata a una religione o a un’ideologia particolare, bensì alla struttura patriarcale che regge ogni relazione di potere. Basti pensare allo stretto legame esistente tra questa tradizione patriarcale e la tirannia in ambito politico. L’uomo è vittima delle umiliazioni e dell’alienazione imposte dalle società autoritarie tanto quanto la donna, ma quest’ultima deve sopportare allo stesso tempo la pressione sociale e il dominio dell’uomo. I regimi politici non democratici favoriscono l’emergere di una gerarchia sociale, accentuando la frattura tra dominanti e dominati e normalizzando in questo modo il dominio dell’uomo sulla donna”.
Shirin Dakouri, La donna araba tra presenza e assenza (2008)

 

“Il principale inganno che crea il sistema patriarcale nei pensieri e nei gesti degli uomini è l'illusione della loro libertà, l'idea che il mondo sia a loro disposizione per realizzare i loro desideri, la convinzione di non essere toccati da costrizioni e imposizioni legate al loro genere. Questa illusione poggia su solide basi: i condizionamenti che fondano la 'normale' maschilità, la 'naturale' identità maschile. Condizionamenti facilmente riassumibili in quei caratteri stereotipati tipici del maschio alpha: essere sicuri di sé, mostrare di non avere paura di nessuno né del giudizio degli altri; avere spirito combattivo, non arrendersi né lasciarsi andare, mantenere la parola; incarnare una forma di autorità, di potere o di talento”.
Lorenzo Gasparrini, Perché il femminismo serve anche agli uomini (2020)

 

“La cultura patriarcale è una cultura fondata sul sacrificio, il crimine, la guerra. Essa impone agli uomini come un dovere o un diritto di battersi per procurarsi il cibo, la casa, per difendere i loro beni, e la loro famiglia e la patria come beni. Una specifica decisione del patriarcato per quel che riguarda la guerra, è necessaria ma è ben lontana dal bastare ad una mutazione culturale. Il popolo degli uomini fa la guerra ovunque in perfetta buona coscienza. È tradizionalmente carnivoro, talvolta cannibale. Quindi bisogna uccidere per mangiare, asservire sempre più la natura per vivere o sopravvivere, andare a cercare nelle stelle più lontane quello che qui ora non esiste più, difendere con ogni mezzo la propria parte di spazio da sfruttare, qui o là. Gli uomini vanno sempre più lontano, sempre più avanti nello sfruttamento, nella manomissione, senza sapere molto bene dove vanno. Vanno a cercare ciò di cui si immaginano che è loro necessario senza interrogarsi su quello che sono e sul rapporto tra quello che fanno e la loro identità".
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“Imparando ad accettare la storia dei nostri desideri scopriamo il dolore con cui siamo stati costretti a rinunciare, o abbiamo scelto di rinunciare, a certi aspetti di noi stessi. La nostra dolcezza e la nostra gentilezza sono state negate, ma altrettanto lo è stata la nostra rabbia o la nostra collera quando erano identificate con nostra madre, dalla quale ci siamo sforzati di distanziarci. È importante notare il modo in cui siamo stati, in un certo senso, estraniati da noi stessi, avendo imparato ad esercitare il controllo, inteso come dominio, sulla nostra vita emotiva e sui desideri”.
Victor Seidler, Riscoprire la mascolinità (1992)

 

Universalismo e binarismo

“La rappresentazione del mondo, come il mondo stesso, è opera degli uomini, i quali lo descrivono dal proprio punto di vista, confondendolo con la verità assoluta”.
Simone De Beauvoir, Quando tutte le donne del mondo (1982)

 

“Gli uomini hanno storicamente esercitato il dominio e quindi hanno costruito universi materiali e immateriali, in grandissima parte, a misura d’uomo; non solo nel loro interesse, ma a loro immagine e nella propria lingua”.
Sandro Bellassai, Dalla trasmissione alla relazione. La pedagogia della mascolinità come riposizionamento condiviso nella parzialità di genere (2010)

 

“Invece di riconoscersi realmente due generi e di accettare una rivelazione proveniente dall’altro genere - rivelazione in sé e per sé - il popolo degli uomini pretende di detenere tutta la verità e il diritto di legiferare in tutto: filosofia, diritto, politica, religione, scienza”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“Uomini e donne debbono fare un notevole sforzo per orientarsi diversamente e convincersi che il nostro mondo non è stato costruito soltanto dagli uomini ma è opera di entrambi i sessi".
Margaret Mead, Maschio e femmina (1949)

 

“Il fallologocentrismo è quell’universo semantico che per aver scelto di mettere al centro i simboli fisico-sessuale e riflessivo-teoretico del maschile ha rinunciato al confronto con tutto quanto altro da sé costruendolo al contempo in forma astratta e immobile. L’ideologia del maschile è il principio sul quale viene costruito il modello della rappresentazione e la contrapposizione è la struttura che dà ordine all’alterità”.
Letizia Lambertini, Corpi sessuali e corpi sessuati. Prove erotiche di comunicazione (2010)

 

“Nell’Universalismo, si può considerare l’esistenza di un due soltanto nella logica dell’Uno, senza altro, o con un altro che sarebbe lo stesso, per non alterare la potenza narcisistica del Tutto. L’economia di questo Tutto-Uno necessita l’esclusione della differenza o, costretta, tollera il suo corollario: l’inclusione calcolata, quantificata, controllata, omeopatica o vaccinatoria, l’internamento forcluso di questa differenza”.
Antoinette Fouque, I sessi sono due (1995)

 

“L’uomo, come sessuato maschile, porta infatti in sé la finitezza, e tuttavia, con una straordinaria parabola logica, esso, attraverso una dinamica ascendente, assolutizza tale finitezza facendola assurgere ad universalità, di modo che tale universalità, attraverso una dinamica discendente, possa anche comprendere (specificarsi) sia quel maschile finito che l’ha generata sia l’altro sesso, il quale ora compare per la prima volta, assente dal processo logico e tuttavia da esso raccolto, inglobato, assimilato. In questo l’itinerario dell’uomo percorre la parabola del medesimo: esso si trova e si riconosce come particolare della sua universalizzazione. Alla donna capita invece di trovarsi solamente come particolare, come altro finito, compreso nel neutro – universale uomo. […] Così in questo universale […] l’uomo c’è con tutta la concretezza del suo essere un intero, un vivente sessuato e non un uomo + sessuazione maschile, e poiché c’è si riconosce, si dice, si pensa, si rappresenta. La mostruosità di quell’universale che è insieme neutro e maschio non lo sconvolge poiché essa viene dalla ‘generosità’ logica di una finitezza che si sobbarca il peso di valere anche per la finitezza dell’altro sesso. Dicendosi e pensandosi l’uomo parla il suo linguaggio e pensa il suo pensiero, i quali devono tuttavia per forza obliare, a causa della costitutiva dinamica di universalizzazione del finito, questo suo che li fa appartenere ad un sessuato finito: essi sono così il linguaggio e il pensiero semplicemente. […] Ne consegue per la donna che essa non può riconoscersi nel pensiero e nel linguaggio di un soggetto universale che non la contiene anzi la esclude, senza rispondere di tale esclusione. […] Così la donna è l’universale uomo con ‘in più’ il sesso femminile. Sappiamo bene come questa aggiunta non potenzi l’universale, ma anzi lo depotenzi: infatti il ‘di più’ è piuttosto e coerentemente , un ‘di meno’, ossia il neutro universale uomo meno il sesso maschile che è appunto il reale contenuto e la vera genesi di tale universalizzazione”.
Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale (1987)

 

“Ma l’uomo da solo non si pone che le domande alle quali sa già rispondere, abbastanza fornito com’è di strumenti per integrarsi anche i rovesci della sua storia”.
Luce Irigaray, Speculum (1974)

 

“Spesso questo discorso sull’‘Altro’ annulla, cancella: ‘Non c’è bisogno di sentire la tua voce, quando posso parlare di te meglio di quanto possa fare tu. Non c’è bisogno di sentire la tua voce. Raccontami solo del tuo dolore. Voglio sapere la tua storia. Poi te la ri-racconterò in una nuova versione. Ti ri-racconterò la tua storia come se fosse diventata mia, la mia storia. Sono pur sempre autore, autorità. Io sono il colonizzatore, il soggetto parlante, e tu ora sei al centro del mio discorso’”.
bell hhooks, Elogio del margine, in Riflessioni su razza e sesso (1998)

 

“La differenziazione non segna perciò un distacco, la presa di distanza dall’altro da sé necessaria per vederlo in ciò che ha di simile e di diverso, ma piuttosto l’apparenza di un capovolgimento: è il più debole che sottomette il più forte, il figlio inerme e dipendente che assume su di sé la priorità e la potenza generatrice della madre, sottomettendola, sfruttandola e svalutandola, ma mantenendo ciò nonostante vivo il desiderio del ricongiungimento con una originaria felicità perduta. Di qui l’intreccio e la confusione di amore e violenza che è all’origine del dominio maschile e della sua altrimenti inspiegabile durata. Dietro le figure della differenza non si è mai del tutto eclissata l’ombra di un minaccioso inglobamento: è la primordiale indistinzione o ‘co-identità’ con il corpo della madre, poi, a seguito del capovolgimento delle parti, la collocazione della donna dentro l’orizzonte disegnato dalla civiltà maschile”.
Lea Melandri, Differenza. E le sue aporie (2012)

 

“Bisogna capire che gli uomini non sono nati con la facoltà di accedere all’universale e che le donne non sono ridotte sin dalla nascita al particolare. L’universale è sempre stato, ed è continuamente, in ogni momento, fatto proprio dagli uomini. Non accade, viene fatto. È un atto, un atto criminale, perpetrato da una classe nei confronti di un’altra. È un atto compiuto al livello dei concetti, della filosofia, della politica”.
Monique Wittig, The Mark of Gender (1985)

 

“La separazione del simbolico dal materiale, così come la possibilità di separare, cioè di pensare la separazione, sono un effetto del sistema patriarcale di dominio. […] La teoria della differenza sessuale mette in luce la violenza della separazione tra il linguistico e il sociale”.
Rosi Braidotti, Femminismo, anche con altro nome… (2000)

 

“Le donne sono definite dal discorso patriarcale, ma solo in esso possono costituirsi soggetto. Non è dunque possibile sfidare questa ‘fallacia’ senza affrontare il paradosso”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“La donna proposta [dalle immagini televisive] sembra assecondare e accontentare i presunti desideri maschili, abdicando completamente alla possibilità di essere l’altro… Abbiamo introiettato il modello maschile così a lungo e così profondamente da non sapere più riconoscere cosa vogliamo veramente e cosa ci rende felici. Ci guardiamo l’un l’altra con occhi maschili”.
Lorella Zanardo, Il corpo delle donne (2009)

 

“La ‘donna’ finisce, una volta di più, per inquadrarsi, incastrarsi, impalarsi in questa struttura architettonica più che mai potente. A volte lei stessa si compiace di domandarvi un riconoscimento di coscienza o la proprietà dell’incoscienza, che non può avere. Lei è in coscienza, ma non per se stessa, non avendo soggettività che possa prenderne atto e riconoscerla come propria”.
Luce Irigaray, Speculum (1974)

 

“Siamo ora in grado di capire perché in tutte le requisitorie volte contro la donna, dal tempo dei Greci fino ai nostri giorni, si ritrovino tanti tratti comuni: la sua condizione è rimasta immutata attraverso superficiali cambiamenti, ed è quello che definisce il suo cosidetto ‘carattere’: lei ‘s’involge nell'immanenza’, ha spirito di contraddizione, è prudente e meschina, utilitaria, bugiarda,  commediante,  interessata [...]. C’è della verità in tutte queste affermazioni. Ma i modi di condotta non sono suggeriti alla donna dai suoi ormoni, né predisposti negli scompartimenti del suo cervello. Essi sono determinati da una situazione”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“Il patriarcato esiste in modo concreto, nei rapporti sociali, e opera proprio mediante le medesime strutture discorsive che ci permettono di riconoscerlo: questo è il problema e questa è la battaglia della teoria femminista”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“La storia delle donne, come altri settori di studio e di ricerca femminista, per fondare i propri assunti teorici ha necessariamente dovuto utilizzare gli strumenti concettuali tutti costruiti all’interno di quelle stesse prospettive che cercava di rovesciare. Non sorprende quindi che la caratteristica di tale lavoro sia spesso stata quella della transitorietà, e che le acquisizioni definitive si trovino quasi tutte sul piano della critica e demistificazione della tradizione patriarcale dominante accanto a quella dell’individuazione di una casistica sufficientemente ricca a mostrare l’inconsistenza di adottare categorie totalizzanti. La prospettiva che si è venuta costruendo in base a questo modo di procedere ha sostanzialmente portato in primo piano la necessità di utilizzare i concetti in maniera flessibile e l’impossibilità di formulare, almeno per il momento, proposte metodologiche”.
Paola Di Cori, Dalla storia delle donne a una storia di genere (1987)

 

Critica dell’universalizzazione del patriarcato

“Se guardiamo da vicino i nuovi dati di cui oggi disponiamo a proposito delle prime società agresti o neolitiche, in realtà vediamo che tutte le tecnologie fondamentali sulle quali è basata la civiltà si svilupparono in società che non erano a dominazione maschile e non erano guerriere. In contrasto con ciò che ci è stato insegnato sul Neolitico ovvero sulle prime civiltà agresti come società a dominazione maschile estremamente violente, queste furono invece generalmente pacifiche, dedite a vasti commerci con i vicini e non ricorrevano all’uccisione o al saccheggio per procurarsi ricchezza. Grazie a scavi archeologici condotti in maniera assai più scientifica e ampia, ora sappiamo anche che in queste società estremamente creative le donne ricoprivano posizioni sociali importanti in qualità di sacerdotesse, artigiane e membri anziani di clan matrilineari. Si trattava inoltre di società egualitarie dove, come scrive Mellaart, non compaiono segni di importanti differenze di status basate sul sesso”.
Joseph Campbell et al., I nomi della Dea. Il femminile nella divinità (1992)

 

“Pensare al genere come al prodotto e al processo di una serie di tecnologie sociali, di apparati tecno-sociali o bio-medici […] Da questa pervasività del genere non è possibile tornare all’innocenza della ‘biologia’. Ecco perché mi è impossibile condividere la credenza di alcune in un passato matriarcale o in un contemporaneo regno ‘matristico’ presieduto dalla Dea, un regno a tradizione femminile, marginale e sotterraneo, ma tutto buono e positivo, amante della pace, ecologicamente corretto, matrilineare, matrifocale, non indeuropeo, e così via”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“La vera alternativa al patriarcato non è il matriarcato che è solo l’altra faccia della medaglia del predominio. L’alternativa, che ora ci si rivela essere stata la direzione originaria della nostra evoluzione culturale, è una società egualitaria, un modo di organizzare i rapporti umani dove - a partire dalla più fondamentale differenza presente nella nostra specie, la differenza tra maschio e femmina - la diversità non è sinonimo di inferiorità o superiorità”.
Joseph Campbell et al., I nomi della Dea. Il femminile nella divinità (1992)

 

“Il fallologocentrismo è il nemico: di tutti. Gli uomini rischiano di perdere conservandolo, in maniera differente ma tanto seriamente che le donne. Ed è tempo di trasformare, di inventare l’altra storia. […] Uomini e donne sono catturati in una rete di determinazioni culturali millenarie di una complessità tale che è praticamente non analizzabile. Non possiamo parlare più di ‘donna’ o di ‘uomo’ senza venir catturati in un teatro ideologico in cui la moltiplicazione di rappresentazioni, immagini, riflessioni, miti, identificazioni, trasforma costantemente, deforma, altera l’ordine immaginario di ciascuna persona, e in più, rende nulla e vuota qualsiasi concettualizzazione. Non c’è ragione di escludere la possibilità di radicali trasformazioni di comportamento, di mentalità, di ruoli e di economica politica. Gli effetti di queste trasformazioni sull’economia libidinale sono impensabili oggi. […] Quello che appare come ‘femminile’ o ‘maschile’ oggi potrebbe non equivalere più alla stessa cosa. La logica generale della differenza potrebbe non adattarsi più all’opposizione che ancora domina. La differenza potrebbe essere un’espressione riassuntiva di nuove differenze”.
Hélène Cixous, Sorties (1981)

 

“L’umano in quanto humus ha tantissimo potenziale: se solo potessimo sbriciolare e sfilacciare l’umano in quanto Homo, questa fantasia malata di un amministratore delegato perennemente intento a autorealizzarsi e a distruggere il pianeta! Immaginate una conferenza non sul Futuro dell’Umanità nell’Università del Capitale Ristrutturato, ma sul Potere delle Humusità per la Confusione Multispecie Sostenibile! […] La terra dello Chthulucene in divenire è simpoietica, non autopoietica. I Mondi Mortali […] non si creano da soli. […] I sistemi autopoietici non sono chiusi, sferici deterministici o teleologici. […] La poiesi è sempre sinctonica, simpoietica, sempre abbinata ad altro, senza ‘unità’ di partenza che interagiscono di conseguenza”.
Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2016)

 

“Forse la più grande arma psicologica del patriarcato consiste semplicemente nella sua universalità e nella sua lunga durata. Quando un sistema di potere domina in modo incontrastato, non ha quasi la necessità di imporre la propria linea; ma quando i suoi processi vengono smascherati e contestati, esso va soggetto non soltanto a critiche, ma anche a mutamenti".
Kate Millett, La politica del sesso (1969)

 

“Interiorizzare la portata radicale del genere come categoria di analisi politica non è ancora sufficiente, di per sé, a consentire una critica efficace dell’ordine patriarcale dal suo interno, o per lo meno, dall’interno del genere che su quell’ordine di potere ha costruito la propria stessa identità”.
Sandro Bellassai e Maria Malatesta (a cura di), Genere e mascolinità (2000)

 

“[L’idea che gli uomini si impegnino] per proteggere gli interessi di genere implica che il genere sia monolitico piuttosto che multidimensionale e internamente inconsistente. Implica inoltre che gli uomini siano onnipotenti, che conoscano perfettamente i propri interessi di genere e che abbiano il potere di costruire il mondo come piace loro. La ricerca femminista deve mettere in discussione il potere maschile, invece che darne per scontata l’esistenza, ed esaminarne i limiti”.
Swasti Mitter e Sheila Rowbotham, Women Encounter Technology (1995)

 

“L’urgenza del femminismo di sancire lo statuto universale del patriarcato, così da rafforzare l’apparenza che le sue rivendicazioni in alcuni casi siano rappresentative, ha talora condotto troppo rapidamente a una universalità categoriale o fittizia della struttura del dominio ritenuta responsabile della produzione della comune esperienza di sottomissione delle donne. Anche se la tesi di un patriarcato universale non gode più della credibilità che aveva un tempo, la nozione di una concezione generalmente condivisa delle ‘donne’, che ne costituisce il corollario, è stata molto più difficile da sradicare”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“La totalizzazione [del patriarcato] produce ciò che lo stesso patriarcato occidentale non è mai riuscito a creare, la consapevolezza femminista della non-esistenza delle donne se non come prodotti del desiderio maschile”.
Donna Haraway, Manifesto cyborg (1995)

 

“Talvolta si oppone il ‘mondo femminile’ all'universo maschile, ma bisogna sottolineare una volta di più che le donne non hanno mai costituito una società autonoma e chiusa: esse sono integrate alla collettività governata da maschi, e vi occupano un posto subordinato”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“A voler ignorare sistematicamente la violenza ed il potere delle donne, a proclamarle sempre oppresse e quindi innocenti, si dipinge una umanità divisa in due che non corrisponde alla verità. Da un lato le vittime dell'oppressione maschile, dall'altro i carnefici onnipotenti”.
Elisabeth Badinter, Fausse route. Réflexions sur 30 années de féminisme (2003)

 

“Anche se si accettasse il riferimento al patriarcato come riferimento implicito ad ogni società in cui esiste qualche forma di sessismo, tale riferimento precluderebbe l’indagine sulle diverse interpretazioni del corpo in quelle stesse società”.
Linda Nicholson, Per una interpretazione di “genere” (1996)

 

“Essere esclusi dall’universale e avanzare tuttavia rivendicazioni a partire dai suoi termini comporta una contraddizione performativa di un certo tipo. Si potrebbe apparire stolti e autolesionisti, come se queste rivendicazioni potessero incontrare solo derisione; oppure la scommessa potrebbe funzionare in un’altra maniera, rivedendo ed elaborando gli standard storici di universalità appropriati al movimento futuro della stessa democrazia. Affermare che l’universale non è ancora stato articolato significa sostenere che il ‘non ancora’ appartiene alla comprensione dell’universale stesso: ciò che rimane ‘irrealizzato’ dall’universale è ciò che lo costituisce essenzialmente”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)