I Introduzione
Il femminismo è il movimento politico delle donne contro il sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO). Esso ha portato nel tempo a guadagnare una serie di conquiste che hanno modificato progressivamente le relazioni (RELAZIONE) tra le donne e gli uomini e la loro RAPPRESENTAZIONE economica, sociale e politica. Il femminismo è un’ESPERIENZA complessa ed eterogenea che si compone di numerose posizioni (POSIZIONAMENTO) e correnti. Per questa ragione diverse studiose, teoriche e militanti preferiscono parlare di femminismi.
A grandi linee il femminismo può essere suddiviso in tre filoni culturali-politici: quello dell’eguaglianza, inaugurato tra fine Ottocento e primi Novecento dalle lotte per il diritto di voto e di parità salariale; quello del pensiero della differenza, avviato dalle riflessioni di Virginia Woolf e Simone De Beauvoir e rappresentato più recentemente da Caroll Gilligan, Luce Irigaray e Hélène Cixous (e in Italia da Luisa Muraro e Adriana Cavarero); quello della riflessione sul genere, introdotto da Jean Scott e Gayle Rubin e attorno al quale si muove tutto il dibattito contemporaneo degli studi di genere, dal superamento del dualismo di Donna Haraway, alla politica della soggettività di Rosi Braidotti, alla formulazione della queer teory di Teresa De Lauretis e Judith Butler, solo per citare alcuni nomi.
La condizione di inferiorità giuridica, economica e politica della donna diventa oggetto di contestazione già in età illuministica e durante gli anni della rivoluzione francese. Durante l’Ottocento rimane una questione prevalentemente intellettuale, condivisa da un’esigua schiera di donne e qualche isolata voce maschile.
Alla fine dell’Ottocento le donne erano ancora escluse dal diritto di voto in quasi tutto il mondo, in molti paesi non avevano accesso alle professioni liberali, sui luoghi di lavoro erano pagate, a parità di mansioni, meno degli uomini, all'interno della famiglia subivano condizioni di inferiorità, sancite dai codici, nei confronti dei loro mariti.
Sono tuttavia le trasformazioni sociali prodotte dall’industrializzazione che portano sulla scena, in modo massiccio, la questione femminile e che danno avvio ai primi percorsi di consapevolezza delle donne. La diffusione generalizzata degli ideali di libertà e di uguaglianza di questo periodo storico e l’esempio di attivismo politico di altri gruppi sociali è il motore di un’espansione dei movimenti femministi. Le loro principali rivendicazioni furono l'estensione del diritto di voto alle donne e il diritto d'accesso all'istruzione superiore e alle libere professioni. A partire da queste prime istanze fu fondata, agli inizi del secolo, la Women Social and Political Union, più nota come movimento delle suffragette, che svolse una forte azione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Questo movimento, che chiedeva il suffragio femminile, era diretto da donne dell’alta e media borghesia, ma riuscì tuttavia a coinvolgere larghi strati di donne operaie e a coinvolgerle in manifestazioni, cortei e scioperi.
Al di fuori dei paesi anglosassoni l'impegno politico delle donne si espresse soprattutto nell’ambito del movimento operaio. Nei partiti e nei movimenti socialisti alcune donne raggiunsero posizioni di rilievo e, su sollecitazione della seconda Internazionale socialista, fu istituita una giornata internazionale della donna (la cui data venne poi fissata l’8 Marzo). Tuttavia anche nei partiti socialisti la presenza femminile era fortemente minoritaria e i quadri dirigenziali consideravano l'emancipazione delle donne come un aspetto parziale del problema più generale dell’emancipazione operaia legando piuttosto le rivendicazioni femminili alle questioni dell’occupazione, dei salari, della protezione sociale. Significativa fu la polemica che oppose in Italia agli inizi del Novecento Anna Kuliscioff, sostenitrice di posizioni di questo tipo, ad Anna Maria Mozzoni, secondo la quale la liberazione femminile passava anche attraverso una trasformazione dei rapporti interpersonali all’interno della famiglia e della società civile.
Nonostante episodi di lotta delle donne contro le discriminazioni del sistema patriarcale (PATRIARCATO) attraversino l’Europa (ma non solo) già dall’Ottocento, il femminismo come movimento più allargato (nella tipica caratteristica di movimento politico di massa e movimento politico realizzatasi dopo la metà del Novecento) si sviluppa negli Stati Uniti degli anni Sessanta, all’interno delle lotte per il riconoscimento dei diritti civili della popolazione afroamericana.
Nel 1961 il presidente degli Stati Uniti John Kennedy crea una Commissione sulla condizione delle donne il cui rapporto American Women denuncia discriminazioni in materia di impiego e di stipendi. La promulgazione di un capitolo sulle discriminazioni sessuali all’interno della Legge sui diritti civili del 1964 e l’istituzione di una permanente Equal Employement Opportunity Commission, che ne vigila il rispetto, sanciscono il riconoscimento politico del movimento delle donne. Segue nel 1966 la nascita della National Organization of Women (NOW) il cui programma è la lotta contro tutte le forme di discriminazione e alla quale si aggiungono rapidamente molte altre organizzazioni, ognuna delle quali con scopi particolari e diversi (tutela delle donne nelle città, nelle università, difesa delle donne appartenenti a minoranze etniche, aiuto alle donne vittime di sessismo, molestie e violenze sessuali...).
Dall’America il movimento si diffonde oltreoceano con il finire degli anni Sessanta nell’humus delle lotte studentesche che percorrono, a partire dalla Francia, tutta l’Europa e che diventano, come già negli Stati Uniti, l’occasione per una presa di coscienza da parte delle donne della loro subalternità e del mancato riconoscimento della specificità della loro condizione in rapporto all’universale delle classi o delle categorie discriminate.
La forma di aggregazione delle donne europee è prevalentemente quella dei piccoli gruppi di riflessione e di auto-aiuto. Le donne che vi partecipano rifiutano organizzazioni e gerarchie e mostrano una generale diffidenza verso le strutture di POTERE e le istituzioni, considerate un’espressione del sistema culturale patriarcale falsante e prevaricatorio. Il principio aggregatore è quello di una riflessione su se stesse capace di “inventare” e di “difendere” il proprio significato (RAPPRESENTAZIONE) all’interno di una cultura e di un linguaggio che non lo hanno mai riconosciuto. I luoghi di incontro dei gruppi femministi europei diventano spazi di condivisione e di partecipazione all’interno dei quali ascoltarsi e progredire nella comprensione di sé e nel riconoscimento di una solidale “sorellanza”. L’idea condivisa è innanzitutto che non bisogna più parlare della donna, ma delle donne: parlare della donna significa di fatto accettare lo STEREOTIPO patriarcale del femminile come complementare del maschile. Da questo POSIZIONAMENTO deriva la critica nei confronti dei principali dispositivi di POTERE della cultura patriarcale: da un lato il matrimonio e gli suoi istituti dell’autoritarismo del marito-padre-padrone e del patrimonio; dall’altro la normativa della SESSUALITÀ a fini subalterni al piacere degli uomini e procreativi. Da questa critica derivano i percorsi politici che portano alla promulgazione di leggi sul diritto di divorzio e sul diritto di aborto.
In quegli stessi anni Sessanta, l’accelerazione dello sviluppo tecnologico ed economico, la massificazione della società e l’esigenza di integrazione via via maggiore delle donne nel sistema di produzione, che portano in poco tempo a una apparente eguaglianza delle donne, sul piano giuridico e professionale, mostra anche le lacune del femminismo egualitarista e i pericoli di una rincorsa del modello maschile che rischia di alienare ancora di più le donne da se stesse.
Alle lotte dei decenni precedenti, centrate prevalentemente sull’eguaglianza dei diritti e in modo particolare sul diritto di voto, il movimento femminista aggiunge la tensione ad un complessivo mutamento del modo di pensare delle donne su loro stesse inaugurando in modo diffuso, in particolare in Europa, con il pensiero della differenza, la pratica del partire da sé come radicamento alla propria corporeità e alla sua irriducibilità come ancoraggio in grado di scardinare gli stereotipi (STEREOTIPO) imposti dal sistema culturale patriarcale.
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta il dibattito teorico nel femminismo europeo e in particolare italiano si svolge principalmente nell’ambito delle teorie della differenza sessuale e ha, come sedi privilegiate, la Libreria delle Donne di Milano e il gruppo filosofico veronese di Diotima.
Per altre donne tuttavia, in particolare quelle legate ai partiti della sinistra, la lotta delle donne non è mai stata scindibile dalla lotta di classe e dalle forme strutturate della militanza di partito: la lotta contro il capitalismo piuttosto che contro il PATRIARCATO è l’obiettivo prioritario e al quale conseguirà la possibilità per le donne di divenire soggetti a pieno titolo. Questi diversi presupposti si traducono in differenti metodi di lotta: quella spontanea che proseguirà con forme ed esperienze molteplici in tutta Europa, ma non solo; quella strutturata all’intero dei partiti politici che aprirà la strada all’organizzazione delle donne in istituzioni cui in Europa viene attribuito, sulla scorta dell’esperienza americana, il nome di PARI OPPORTUNITÀ.
L’attenzione alla vicenda dei femminismi americano, europeo e italiano come filo conduttore di questa nostra sommaria ricostruzione, non deve far dimenticare l’esperienza dei movimenti femminili africani e asiatici. Essi si sviluppano in particolare nei paesi di religione islamica intorno alla riflessione e alla presa di posizione di alcune donne nei confronti dei vincoli fissati alla donna dalla legge coranica e dalla tradizione, profondamente maschilista, a questa riconducibile, ma percorrono anche altri canali di contrasto alla discriminazione e all’emarginazione dalla vita sociale, politica e lavorativa. Ricordiamo in particolare i movimenti delle donne in Egitto, già dagli anni Venti e in Turchia, tra gli anni Venti e gli anni Trenta, in Iran intorno alla fine degli anni Settanta, in Algeria dove le donne partecipano attivamente, tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, alle lotte per la liberazione del paese dal colonialismo francese. Se consideriamo la ricchezza di queste esperienze non è un caso, evidentemente, che le due conferenze internazionali delle donne del Novecento abbiano avuto luogo a Nairobi (1985) e a Pechino (1995).
II La prospettiva degli studi di genere
L’impulso dato dai percorsi femministi agli studi di genere muove dalla critica al sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) della RAPPRESENTAZIONE fallologocentrica e dei suoi dispositivi di POTERE. Il partire da sé dell’autocoscienza, oltre a essere un POSIZIONAMENTO critico nei confronti delle pretese universalistiche e oggettificanti del sistema culturale patriarcale, è anche un esercizio di radicamento che fonda sul CORPO e sui suoi desideri l’esplorazione della propria soggettività e delle molteplici variabili della sua costruzione.
La soggettività, piuttosto che l’IDENTITÀ, non solo permette alle donne di comporsi in modo più fluido e provvisorio, ma anche di costruire nuove alleanze valorizzando le intersezionalità di sesso, orientamento sessuale, etnia, classe, cultura e censo, che le hanno performate, come connessioni di senso e di dialogo, piuttosto che come categorie chiuse e oppositive.
In questa prospettiva il GENERE diventa la cornice mobile di imprevedibili percorsi di disidentificazione e di rigenerazione e la matrice dello scardinamento dell’ordine binario della contrapposizione maschile-femminile. Questa rilettura si articola progressivamente all’interno della teoria queer il cui obiettivo politico è quello di contrastare, attraverso l’esaltazione provocatoria della divergenza, la teoria della normalità istituzionalizzata di impronta maschilista e di agire una radicale trasformazione del mondo.