LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Si potrebbe definire la posizione femminista come dis-identificazione delle donne dall’ideale di donna fabbricato dal fallologocentrismo come categoria astratta del femminile”.
Rosi Braidotti, Il paradosso del soggetto “femminile e femminista”. Prospettive tratte dai recenti dibattiti sulle gender theories (1991)

 

“Il vero nucleo del cambiamento rivoluzionario non è mai soltanto la situazione oppressiva a cui cerchiamo di sfuggire, ma quella parte dell'oppressore che è piantata in profondità dentro ciascuno di noi, e che conosce soltanto le tattiche dell'oppressione, le relazioni dell'oppressore”.
Audre Lorde, Età, razza, classe e sesso: le donne ridefiniscono la differenza (1980)

 

“Nell’Ottocento i disagi economici e la mancanza di una rappresentanza politica spinsero le donne a ribellarsi - le donne della classe lavoratrice attraverso agitazioni sul lavoro ispirate ai principi anarchici, socialisti o comunisti. A quell’epoca gli sforzi continui dei maschi erano riusciti a portare la condizione delle donne al suo punto più basso: esse non godevano di quasi nessuno dei diritti degli uomini - non potevano né esprimersi in politica, né ereditare o possedere proprietà, né fare affari in proprio. Non avevano nemmeno diritti sul proprio corpo. In questo secolo il femminismo ha ottenuto successi spettacolari nell’aprire alle donne la strada dell’istruzione, dei diritti politici e della libera professione e nell’eliminare le leggi che imponevano criteri discriminatori nei loro confronti. Io definisco femminista ogni tentativo di migliorare la condizione di qualsiasi gruppo di donne attraverso la solidarietà femminile e in una prospettiva femminile”.
Marilyn French, La guerra contro le donne (1992)

 

“Questo è uno dei grandi paradossi del sistema schiavistico: soggiogando le donne con il più crudele sfruttamento immaginabile – sfruttamento che non conosceva distinzioni di sesso – si gettarono le fondamenta affinché queste, attraverso atti di resistenza, reclamassero la propria uguaglianza nelle relazioni sociali”.
Angela Davis, Donne, razza e classe (1981)

 

“Lavorando all’interno del movimento abolizionista le donne bianche approfondirono la conoscenza della natura umana – e del proprio assoggettamento. Affermando il proprio diritto a opporsi alla schiavitù protestavano – a volte apertamente, altre volte in maniera implicita – contro la propria esclusione dall’arena politica. Non riuscivano ancora a denunciare in maniera collettiva le proprie sofferenze, ma almeno potevano perorare la causa di un popolo che era, allo stesso modo, oppresso. Il movimento abolizionista offriva alle donne della classe media l’opportunità di provare il proprio valore secondo criteri che non erano legati al ruolo di mogli o madri. In tal senso nella campagna contro la schiavitù le donne erano stimate per la loro attività concreta. Infine il loro impegno nella battaglia contro la schiavitù fu così intenso, totale e appassionante perché stavano sperimentando un’emozionante alternativa alla propria vita domestica, resistendo a un’oppressione che in certa misura somigliava alla loro. Scoprirono che il sessismo, che sembrava inalterabile all’interno dei loro matrimoni, poteva essere messo in discussione e combattuto nell’arena della lotta politica. […] Le abolizioniste accumularono un’esperienza politica inestimabile, senza la quale, più di un decennio dopo, avrebbero potuto lanciare tanto efficacemente la campagna per i diritti delle donne. Svilupparono delle competenze nell’ambito della raccolta fondi, impararono a distribuire letteratura militante, a convocare assemblee e alcune di loro anche a diventare delle solide oratrici pubbliche. Più di ogni altra cosa appreso l’uso della petizione, che sarebbe diventata l’arma centrale della campagna per i diritti delle donne. Mentre presentavano petizioni contro la schiavitù, allo stesso tempo erano obbligate a battersi per il proprio diritto a impegnarsi nel lavoro politico. Come avrebbero potuto altrimenti convincere il governo ad accettare le firme raccolte da donne prive del diritto di voto, se non criticando in maniera aggressiva la validità della tradizionale esclusione delle donne dall’attività politica?”.
Angela Davis, Donne, razza e classe (1981)

 

“Considerate, signore, queste osservazioni spassionatamente, giacché un lampo di questa verità sembrava balenare dinanzi a voi quando osservate che ‘vedere una metà del genere umano esclusa ad opera dell’altra metà da ogni partecipazione al governo è un fenomeno politico impossibile a spiegare secondo i principi astratti’. Chi ha fatto l’uomo giudice esclusivo, se la donna divide con lui l’uso della ragione? Sviluppate e rinvigorite la mente delle donne, e finirà l’obbedienza cieca; ma dal momento che è cieca obbedienza che il potere cerca sempre, i tiranni e gli uomini sensuali sono del giusto quando tentano di tenere la donna nelle tenebre, perché i primi le vogliono schiave, i secondi giocattoli”.
Mary Wollstonecraft, I diritti delle donne (1792)

 

“Nel 1833 molte […] donne della classe media avevano probabilmente iniziato a rendersi conto che qualcosa delle loro vite era andato storto. Come ‘casalinghe’ in una nuova era di capitalismo industriale, avevano perso ogni importanza nelle loro stesse case, e il loro status sociale in quanto donne aveva patito una conseguente svalutazione. Nel frattempo avevano però guadagnato tempo libero da dedicare alla lettura che consentiva loro di diventare riformiste sociali e organizzatrici attive della campagna abolizionista. A sua volta l’abolizionismo conferiva loro l’opportunità di lanciare una protesta implicita contro l’oppressione dei propri ruoli domestici”.
Angela Davis, Donne, razza e classe (1981)

 

“Cominciando a smantellare più che l’idea di un secondo sesso, quella di un sesso secondo, è entrata in crisi tutta una gerarchia di attribuzioni e quella verticalizzazione piramidale di funzioni che, presentate come oggettive, ne conseguiva”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

“Nel 1912, in un manuale di sessuologia, il rinomato medico tedesco A. Von  Loll  attribuisce  all'emancipazione  femminile  la  causa di  una  loro  "mascolinizzazione"  implicante  una  degenerazione della fecondità e una perversione della sessualità”.
Georges Duby e Michelle Perrot, Storia delle donne in occidente (1991)

 

“Compito della critica femminista […] è quello di ‘decostruire’ […] il linguaggio in tutte le discipline ‘umane’ mostrandone gli aspetti fondamentalmente ‘fallocentrici’. Compito delle donne è anche quello di costruire un ‘altro’ linguaggio, portatore di valori diversi, non falsamente neutri ma femminili”.
Franco Restaino, Il pensiero femminista, Una storia possibile (1999)

 

“In questo consiste, a mio avviso, la specificità della teoria femminista: non in una ricerca della femminilità intesa come vicinanza alla natura, al corpo o all’inconscio, un’essenza intrinseca alle donne, secondo alcuni, o un effetto del simbolico patriarcale, secondo altri; non in una tradizione femminile immaginata come estranea alla storia, sotterranea eppure intatta, da scoprire e recuperare; e neanche nelle crepe dell’identità maschile o nel rimosso del discorso fallico. Ma proprio in una pratica politica, teorica e autoanalitica tramite la quale sia possibile riarticolare le relazioni del soggetto nella realtà sociale, a partire dall’esperienza delle donne”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“Nessuna di noi è nella posizione di poter definire una visione globale del femminismo e nemmeno una definizione inopinabile del concetto di ‘femminismo’. Dal mio punto di vista, a esempio, penso che possa essere esaustivo affermare che le femministe cercano di ottenere una maggiore eguaglianza sostanziale tra uomini e donne e un’organizzazione politica e sociale improntata a un ideale di maggiore giustizia. Tuttavia, quando ci addentriamo in un qualsiasi argomento più specifico, per considerare cosa vogliamo e come potremmo agire, ci troviamo subito messe a confronto con l’ambiguità dei termini di cui dobbiamo servirci”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

“La posta in gioco nell’etica della sostenibilità non è il femminile classificato dal codice fallogocentrico dell’immaginario patriarcale, ma piuttosto il femminile come progetto, come movimento di destabilizzazione dell’identità e quindi del divenire. Lo chiamo ‘femminismo virtuale’ e lo collego al progetto sociale e simbolico di ridefinizione della soggettività femminile intrapreso dal femminismo”.
Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade (2006)

 

“Gli uomini si rendono sempre più conto che i loro disagi sono in qualche modo legati al patriarcato. Ma pochi di loro sono disposti a dare le dimissioni. Il movimento femminista viene ancora visto in termini di rapporto madre-figlio: sia come una punizione e un abbandono degli uomini per il cattivo comportamento tenuto in passato, sia come potenziale guarigione dei mali maschili per mano delle donne, come una nuova forma di materialismo in cui a poco a poco, con dolce persuasione, le donne ‘nuove’ condurranno per mano gli uomini verso una vita più umana e sensibile. In breve, che le donne continueranno a fare per gli uomini ciò che essi non possono o non vogliono fare da soli”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“La teoria femminista, lungi dall’essere un modo reattivo di pensiero, esprime il desiderio ontologico delle donne, il loro bisogno strutturale di costituirsi come soggetti femminili: e cioè non come entità prive di corpo, disincarnate, ma come esseri corporei e di conseguenza sessuati. In accordo con Adrienne Rich ritengo che la ridefinizione del soggetto femminile femminista cominci con la rivalutazione delle radici corporee della soggettività, rifiutando la visione tradizionale del soggetto conoscente come soggetto universale, neutro e di conseguenza asessuato”.
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità, differenza sessuale (1993)

 

“Il femminismo ha scoperto il punto debole della mascolinità. Solo riscoprendo la storia nascosta della mascolinità possiamo cominciare a mettere in questione quello che abbiamo così facilmente dato per scontato”.
Victor Seidler, Riscoprire la mascolinità (1992)

 

“Considero la teoria femminista di oggi come un’attività il cui fine è di articolare insieme i problemi di identità individuale di genere e le questioni di soggettività politica collegando entrambi con il problema della conoscenza e della legittimazione epistemologica”.
Rosi Braidotti, Femminismo, corporeità, differenza sessuale (1993)

 

“La teoria femminista non è mai totalmente separata dal movimento femminista. La teoria non avrebbe alcun contenuto se non esistesse un movimento e quest’ultimo, nelle sue varie direzioni e forme, è sempre stato coinvolto nel processo teorico. La teoria, per il femminismo, è un’attività che non rimane circoscritta all’ambito accademico: essa prende forma ogni qualvolta viene immaginata una nuova possibilità, si realizza un’auto-riflessione collettiva, emerge una disputa su valori, priorità e linguaggio”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

L’autocoscienza

“L’autocoscienza è l’originale strumento critico elaborato dal femminismo che permette questa nuova concezione del soggetto ingenerato, e con essa l’analisi della realtà sociale e la sua revisione critica”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“La di-mostrazione dell’esperienza è al centro delle pratiche politiche della presa di coscienza: coscienza di classe di quelli che devono mettersi sul mercato del lavoro, autocoscienza femminile, coscientizzazione dei senza-difesa-dal-capitale (ho coniato io questo nome, il cui significato però è intuitivo). Queste pratiche hanno in comune di trasformare un’esperienza vissuta in prima persona, in un sapere di sé e del mondo, e di operare questa trasformazione nella maniera più semplice, attraverso la libera riunione fisica delle persone e lo scambio di parole, scambio regolato dalla volontà di capire e di farsi capire”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1992)

 

“La pratica dell’autocoscienza è il modo in cui le donne riflettono politicamente sulla loro condizione”.
Manuela Fraire, La politica del femminismo (1977)

 

“Prendendo coscienza dei condizionamenti culturali, di quelli che non sappiamo, non immaginiamo neppure di avere, potremmo scoprire qualcosa di essenziale, qualcosa che cambia tutto, il senso di noi, dei rapporti, della vita. […] Per questo la presa di coscienza è l’unica via, altrimenti si rischia di lottare per una liberazione che poi si rivela esteriore, apparente, per una strada illusoria”.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel (1974)

 

“La pratica dell’autocoscienza [come] metodo analitico e critico del femminismo [significa] concepire la propria condizione personale di donna in termini sociali e politici; e la costante revisione, rivalutazione e riconcettualizzazione di quella condizione in rapporto al modo in cui altre donne concepiscono la loro posizione socio-sessuale genera un’appercezione di tutta la realtà sociale che deriva dalla consapevolezza del genere. E da questa coscienza/conoscenza personale, intima, analitica e politica della pervasività del gender, non è possibile tornare all’innocenza della ‘biologia’”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“L’affidarsi di una donna alla sua simile [...] noi lo abbiamo visto e pensato, primariamente, come forma di rapporto fra donne adulte. [...] Fin dai tempi più antichi sono esistite donne che hanno lavorato a stabilire rapporti sociali favorevoli a sé e alle proprie simili. E che la grandezza femminile si è nutrita spesso (forse sempre?) di pensiero e di energie circolanti fra donne. [...] Affidarsi non è uno specchiarsi pari pari nell’altra per confermarsi in quello che si è, ma chiederle e offrirle il mezzo di avere nel mondo esistenza vera e grande”.
Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere dei diritti (1987)

 

“Potermi confrontare con l’esperienza di una donna che ha incarnato, con spensierato coraggio, lo slogan ‘il personale è politico’, mi ha posta e pone di fronte a interrogativi radicali su quella che sono e su ciò che desidero. Essere, o per lo meno sentirmi, libera di poterlo immaginare e creare a modo mio, fuori da codici precostituiti: questo è il più grande insegnamento del femminismo a/per me”.
Chiara Martucci, Postilla di un’amorevole curatrice (2012)

 

Donna o donne?

“Per la teoria politica femminista, d’altronde, l’effettiva autorità morale è dipesa proprio dalla sua capacità di sviluppare interamente e coscientemente il concetto di ‘donna’ e di affermarlo in tutte le relazioni della vita. Detto ciò, vi sono motivazioni politiche molto forti nell’adombrare una possibilità di differenziazione tra l’identificazione di ciascuna come (donna) e l’identificazione di ciascuna con (donne con posizioni sociali molto diverse; per le femministe borghesi ciò significa ‘molto meno privilegiate’)”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

 

“In questa finitezza dell’Io nel tempo e nello spazio sta l’elemento tragico, in senso proprio irrisolvibile, dell’impossibile identificazione tra persone e società, politico e personale. Nessuno dei grandi meccanismi che surdeterminano la mia esistenza, nessuno degli ingranaggi storici in cui sono irrimediabilmente inserita darà ragione di me; essi non sono la mia identità. Ma non posseggo un’identità che non si foggi nelle relazioni di accettazione, rifiuto, mediazione con essi. [...] Un valico insormontabile sta tra l’interpretazione che diamo della storia come memoria e sapere significante, e il vissuto di coloro che l’hanno traversata; essa è sempre più e meno della biografia”.
Rossana Rossanda, Anche per me. Donna, persona, memoria (1987)

 

“La trappola per questa forza demistificatrice che può essere il movimento delle donne, è l’identificazione con il principio di potere che si crede di combattere […]. Fin che non abbia analizzato il rapporto con l’istanza del potere e rinunciato a credere alla propria identità, ogni movimento libertario è recuperabile da parte del potere e dello spiritualismo, apertamente religioso o laico: anzi è l’ultima occasione di riaffermarsi per lo spiritualismo”.
Julia Kristeva, Eretica dell’amore (1979)

 

“Sbarazzarci della ‘donna’, buttarla via come una vecchia pelle, per ascendere a una posizione di soggetto terzo [mi] appare come un tentativo volontaristico di strappare le donne dal paradosso cruciale della propria identità. […] per le femministe il paradosso dell’identità femminile è di doverla rivendicare e, nello stesso tempo, decostruire. Un simile paradosso è quindi il luogo di un poderoso complesso di contraddizioni storiche, che devono essere esaminate a fondo e collettivamente prima di essere superate. Non sarà grazie a un volitivo auto-nominarsi che troveremo la via d’uscita dalla prigione-casa del linguaggio fallocentrico”.
Rosi Braidotti, Femminismo, anche con altro nome… (2000)

 

“Vorrei suggerire che la presunta universalità e unità del soggetto del femminismo sono significativamente minate dai vincoli del discorso rappresentazionale entro cui funziona. In effetti la prematura insistenza sulla stabilità del soggetto del femminismo, inteso come categoria uniforme delle donne, genera immancabilmente i rifiuti più diversi a accettare tale stabilità. Questi ambiti di esclusione svelano le conseguenze coercitive e regolative di tale costruzione, anche quando questa sia stata elaborata in vista dell’emancipazione. Infatti la frammentazione interna al femminismo e la paradossale opposizione a esso da parte di ‘donne’ che il femminismo sostiene di rappresentare, ci rivelano i limiti inevitabili di una politica identitaria. L’idea che il femminismo possa cercare una più ampia rappresentanza/rappresentazione per un soggetto che esso costruisce, ha come conseguenza ironica il rischio di un fallimento degli obiettivi femministi a seguito del rifiuto di considerare i poteri costitutivi insiti nelle stesse rivendicazioni di rappresentatività”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“Ora, il movimento dentro e fuori del genere quale rappresentazione ideologica, che io propongo come caratteristico del soggetto del femminismo, è un movimento alterno, un andirivieni, tra la rappresentazione del genere (nel suo quadro di riferimento androcentrico) e ciò che la rappresentazione esclude, o meglio rende irrapprensentabile. È un movimento tra lo spazio discorsivo (rappresentato) delle posizioni che ci offrono i discorsi egemoni e il fuori campo, l’altrove di questi discorsi: quegli spazi discorsivi e sociali che esistono, dacché le pratiche femministe li hanno (ri)costruiti, in margine o ‘tra le righe’ dei discorsi egemoni e negli interstizi delle istituzioni, nelle contro-pratiche e in nuove forme di rapporti sociali. Questi due tipi di spazio non sono in contrapposizione né si susseguono in una catena di significati, ma coesistono, concomitanti e in contraddizione. Il movimento tra essi non è dunque quello di una dialettica, dell’integrazione, di una combinatoria o della différance, ma è la tensione della contraddizione, della molteplicità e dell’eteronomia”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“Il soggetto del femminismo […] è un costrutto teorico, un modo di concettualizzare, di comprendere, di dar conto di certi processi. […] Il soggetto che vedo emergere dagli scritti e dai dibattiti attuali in seno al femminismo è un soggetto che è al tempo stesso dentro e fuori l’ideologia del genere e ne è consapevole, è consapevole di questa doppia tensione, di questa divisione e della sua duplice visione”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“Quando la categoria viene considerata come se rappresentasse un insieme di valori o inclinazioni, diventa normativa nel carattere e, quindi, esclusivistica nei principi. Questo atteggiamento ha creato un problema sia teorico che politico, e precisamente che un certo numero di donne appartenenti a diverse posizioni culturali si sono rifiutate di riconoscersi come ‘donne’ nei termini formulati dalla teoria femminista”.
Judith Butler, Genere, teoria femminista e discorso psicoanalitico (2000)

 

“Fra le femministe degli anni Settanta serpeggiava già, nel corpo dell’esperienza, qualcosa di quello che, molto tempo dopo verrà nominato come queer. Se il potere metaforizzava il corpo, loro davano corpo, diventavano il corpo di una metafora vivente. Il principio precario, debole e indocile, forte e infermo, di un contropotere, o più precisamente, di un fuori-potere e del fuori stesso nella sua presa di parola”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

Femonazionalismo

“Abbreviazione di ‘nazionalismo femminista e femocratico’, il termine femonazionalismo fa riferimento alla strumentalizzazione dei temi femministi da parte di nazionalisti e neoliberisti nell’ambito di campagne islamofobe (ma anche contro i migranti). Al contempo indica la partecipazione di alcune femministe e femocrate alla stigmatizzazione degli uomini musulmani in nome dell’uguaglianza di genere. Descrive dunque, da una parte, i tentativi dei partiti di destra e dei neoliberisti di portare avanti politiche xenofobe e razziste in Europa occidentale attraverso la promozione dell’uguaglianza di genere; dall’altra parte, coglie il coinvolgimento di diverse note femministe e femocrate nella costruzione contemporanea del frame dell’islam come religione e cultura intrinsecamente misogina […] Suggerendo che l’inuguaglianza di genere sia un problema soprattutto per le donne non occidentali, le femministe e femocrate antimusulmane hanno contribuito a distogliere l’attenzione dalle molteplici forme di disuguaglianza che ancora colpiscono le donne europee occidentali. Esse tutt’al più sono considerate come potenziali vittime di uomini musulmani e non occidentali, in una narrazione che riduce il tema dei diritti delle donne a uno scontro di civilità […] Queste femministe , politiche di destra e femocrate […] condividono l’idea della superiorità della cultura occidentale riguardo ai diritti delle donne. […] visto che la volontà di salvare le donne musulmane dalla loro apparente cultura barbarica sembra animare questo eterogeneo fronte femminista islamofobo, verrebbe da chiedersi: ‘le donne musulmane hanno bisogno di essere salvate?’ […] chiedono forse alle femministe e femocrate olandesi, francesi e italiane questo tipo di rappresentazione?”.
Sara Rita Farris, Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne