LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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I Introduzione

Stereotipia è, in tipografia, il procedimento con cui i caratteri vengono riprodotti in modo identico. La parola stereotipo, che da questa deriva, indica un atteggiamento, un comportamento o un’azione ripetuti in forma sostanzialmente identica. Stereotipo è cioè un modo fissato di esistere, di sentirsi esistere e di pensare/pensarsi.

L’utilizzo di stereotipi tuttavia può essere funzionale alla necessità di stabilire condivisioni di significato schematiche che facilitino la comunicazione. In questi casi si tratta di un utilizzo strumentale a un primo livello di comprensione reciproca, sempre cosciente tuttavia dei limiti (LIMITE) e dei rischi della semplificazione.

I termini femminile e maschile possono rispondere a questa funzione: un uso consapevole e misurato può rappresentare (RAPPRESENTAZIONE) una base comune di senso sulla quale avviare un pensiero critico sul loro significato e sulla loro reale utilità per procedere poi alla loro decostruzione.

 

II La prospettiva degli studi di genere

Secondo una prospettiva antropologica la differenza femminile-maschile è stata assunta culturalmente come principio di ordine. Tale principio si basa sulla concezione di una natura femminile opposta a quella maschile il che significa, schematicamente, che se a uno dei termini della differenza vengono attribuite determinate caratteristiche all’altro vengono attribuite quelle opposte. Questo meccanismo dualistico/binario è alla base dello stereotipo dicotomico della contrapposizione sul quale il sistema patriarcale (PATRIARCATO) ha costruito i suoi dispositivi di POTERE.

In questi termini gli stereotipi funzionano come linee guida coercitive del pensiero e del comportamento. Esse giustificano, secondo lo schema dicotomico, imposizioni, divieti, censure da un lato; sottomissione, obbligazione, adattamento dall’altro.

La decostruzione degli stereotipi è un punto di partenza fondamentale: non solo per dimostrare la falsa RAPPRESENTAZIONE di una natura deterministica di cui i concetti universalizzati di Donna e di Uomo sarebbero la risultante culturale; ma anche per avviare un’analisi della limitazione (LIMITE) imposta dal sistema dualistico/binario per escludere tutto quanto fuorviante e sovversivo, multiplo e mutante.

La decostruzione degli stereotipi è inoltre, in termini educativi, uno strumento importante per stimolare consapevolezza di sé e per valorizzare percorsi soggettivi (IDENTITÀ) alternativi agli schemi psicologici e sociali che impediscono uno sviluppo libero e creativo del potenziale individuale.

 

III La violenza maschile contro le donne

È diffusa la tendenza ad attribuire agli “altrii” la VIOLENZA sulle donne come segno di differenziazione con questi “altri”, siano essi i migranti irregolari e/o persone con problemi psichici o gravi dipendenze. Spesso la VIOLENZA contro le donne viene rappresentata come un “male oscuro”, sostenendo uno stereotipo che non corrisponde alla realtà statistica dei dati, i quali confermano che la VIOLENZA maschile sulle donne “in quanto donne” è trasversale e non è propria di una categoria maschile. 

Far parlare gli stereotipi legati alla VIOLENZA maschile sulle donne vuol dire creare occasioni di scambio, confronto e discussione competente, nominare la VIOLENZA, raccontarla nei suoi differenti aspetti, evidenziarne i legami con i luoghi comuni, descriverne le conseguenze e la possibilità di rielaborazione dei singoli vissuti, declinare le responsabilità all’interno della relazione, fornire dati sul fenomeno, anche a livello locale. In una parola: riportarla all’interno di un dato di realtà. Una realtà difficile da accettare, sia per le donne che per gli uomini, ma che permette tuttavia di “vedere” la VIOLENZA, scostando il velo della morbosità, della lontananza o peggio ancora dell’indifferenza.

Molti sono gli stereotipi radicati nella nostra cultura:
- la donna maltrattata è responsabile della VIOLENZA: forse non era una brava moglie o comunque, se il marito l’ha picchiata, avrà sicuramente avuto delle ragioni;
- una donna viene maltrattata solo da uomini alcolizzati, tossicodipendenti o con problemi psichici gravi;
- le violenze accadono solo nelle classi più svantaggiate;
- gli stupri avvengono al di fuori della casa o in luoghi isolati;
- le donne vittime di VIOLENZA vengono scelte per il loro aspetto provocante e quindi sono responsabili della VIOLENZA;
- non è possibile violentare una donna che si ribella con tutte le sue forze;
- una donna che denuncia uno stupro o una VIOLENZA fisica dopo molto tempo non è credibile.

Non esiste una tipologia di donna violentata o maltrattata. Sappiamo che una certa vulnerabilità può predisporre, ma non condurre a subire VIOLENZA; che la depressione e una bassa autostima non possono che peggiorare con la VIOLENZA; che l’uso di alcol o di droghe possono essere le conseguenze della VIOLENZA e non le cause.  Così come non esiste una tipologia di uomo maltrattante. Si tratta di uomini di tutte le età, provenienze, categorie socioeconomiche e culturali.

L’interpretazione e la classificazione della realtà attraverso gli stereotipi porta a una rappresentazione che troppo spesso non coincide con l’evidenza empirica. Questa preoccupazione risulta evidente anche nel testo del Consiglio d’Europa del 2008 Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini: “gli stereotipi di genere esistono ancora in ampia misura malgrado i diversi programmi comunitari volti a conseguire la parità tra i sessi; […] ulteriori ricerche potrebbero illustrare meglio il legame tra la pubblicità che presenta stereotipi di genere e l'ineguaglianza tra i sessi; [per questo] il Consiglio e la Commissione [devono] monitorare l'attuazione delle vigenti disposizioni di diritto comunitario in materia di discriminazione sessuale e di incitamento all'odio basato sul sesso, […] lanciare campagne di sensibilizzazione contro gli insulti a sfondo sessista o le immagini degradanti della donna e dell'uomo nella pubblicità e nel marketing, […] effettuare studi e predisporre relazioni sull'immagine delle donne e degli uomini nella pubblicità e nel marketing”.

Esistono molti stereotipi che non corrispondono alla realtà anche riguardo allo stupro (SESSO/SESSUALITÀ). Erroneamente si pensa che lo stupro sia un impulso sessuale irresistibile causato da un comportamento imprudente della vittima, o dalla sua avvenenza. Lo stupro non nasce da un desiderio erotico, ma affonda le sue radici nella volontà di annientamento fisico e psicologico della vittima. È un attacco all’integrità di una persona, che può compromettere la sua IDENTITÀ fisica, psicologica e sociale. Non a caso le donne vittime di stupro hanno paragonato l’ESPERIENZA dello stupro a un’esperienza di morte. Essere private del diritto al proprio CORPO è un’esperienza sconvolgente e devastante che compromette l’equilibrio psicologico. Giustificare lo stupro e colpevolizzare la vittima significa minimizzare o legittimare i comportamenti maschili violenti nei confronti delle donne invece di condannarli responsabilizzandone l’autore.

Il tentativo di negare l’esistenza della VIOLENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) è stata una costante nella nostra cultura: prima del 1996 lo stupro era un delitto contro “la moralità pubblica e il buon costume”. Con la Legge 66 del 15 febbraio 1996 lo stupro non è più considerato un delitto contro la morale, ma contro la persona, che significa che è sufficiente l’assenza di resistenza da parte di una donna perché un rapporto sessuale sia accettabile, occorre il desiderio e il consenso della donna. Tutte le volte che questo non c’è allora quel rapporto va considerato uno stupro.