LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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I Introduzione

Ognuna/o di noi è un’unità psicofisicarelazionale (IDENTITÀ) il che significa che è già, di per sé, un tessuto relazionale.

La relazione poi è quel movimento che mi permette, attraverso processi di assimilazione e di differenziazione, di percepirmi/definirmi e di percepire/definire la realtà. Per questa ragione la relazione è la matrice di ogni RAPPRESENTAZIONE, di sé e del mondo.

La relazione è impari quando i suoi soggetti occupano l’una/o rispetto all’altra/o posizioni non pari. La disparità può essere un dato reale determinato dallo scarto di ESPERIENZA, consapevolezza e capacità rappresentativa tra soggetti diversi, oppure assumere carattere svalutativo e/o prevaricatorio, quando viene agita, o costruita, come un’affermazione di POTERE di un soggetto su un altro. La relazione paritetica (PARI OPPORTUNITÀ) è quella che cerca di stabilire un equilibrio tra soggetti che occupano posizioni impari. In questo senso si tratta di un processo politico.

 

II La prospettiva degli studi di genere

La relazione femminile-maschile è un elemento strutturale nei processi di costruzione delle IDENTITÀ, individuali e collettive. Si tratta infatti di un’ESPERIENZA, psicofisica e simbolica, che coinvolge tutte/i e alla quale nessuna/o si può sottrarre.

Nella prospettiva degli studi di GENERE, fin dalla prima comparsa di questo termine, è dichiarato il richiamo alla reciprocità delle due dimensioni: non solo in rapporto alla necessità di uno studio comparato delle soggettività e delle simbologie a essi legate; ma anche ai fini della decostruzione della loro simbiosi e in particolare del principio della complementarietà che vincola donne e uomini a ruoli (RUOLO) rigidamente contrapposti ed escludentesi.

Nelle pratiche femministe la relazione tra donne occupa uno spazio importante nella risignificazione di se stesse come soggetto sociale autodeterminato. Questa opera di risignificazione è segnata in particolare da tre pratiche-parole: la prima è sorellanza, che, nel FEMMINISMO degli anni Sessanta e Settanta, si riferisce alla solidarietà tra donne determinata dalla condivisione di medesime condizioni, esperienze e aspirazioni; la seconda è affidamento, che, nelle pratiche educativo-formative tra donne, si riferisce al reciproco riconoscimento/attribuzione di autorevolezza e al continuum simbolico madre-figlia (FILIAZIONE) nel rapporto maestra-allieva; la terza è politica, nell’accezione specifica di critica dell’ontologia individualista del sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) e quindi di costruzione di una vivibilità che basa sull’interdipendenza la sua ragione e la sua forza.

 

III La violenza maschile contro le donne

La relazione tra una donna e un uomo basata su stereotipi (STEREOTIPO) e ruoli (RUOLO) rigidamente stabiliti e collusivamente accettati determina una disparità caraterizzata dalla superiorità dell’uomo e dalla sottomissione e svalutazione della donna. L'asimmetria di POTERE può condurre le donne verso una posizione di assoggettamento nei confronti degli uomini, ai quali principalmente competerebbe - ancora - il ruolo di guardiani della soglia fra sfera personale femminile e mondo esterno. 

La relazione di intimità è la relazione a più alto rischio di violenze per le donne. Anche se si parla comunemente di VIOLENZA familiare, in realtà i responsabili principali della VIOLENZA sono in prevalenza gli uomini, mentre le donne ne sono le prime, anche se non le sole, vittime-destinatarie. Questo non significa che le donne non esercitino in assoluto VIOLENZA nei confronti di altri membri del nucleo familiare, quanto piuttosto che si tratta di riconoscere che esiste una differenza significativa, a livello quantitativo e qualitativo, fra VIOLENZA maschile e femminile. 

L’incapacità di provare emozioni o di riconoscerle per quelle che sono, induce reazioni e stati d’animo che possono variare nell’intensità e che causano sempre uno stato di malessere (disagio) e di incapacità a gestire noi stesse/i e il rapporto con le/gli altre/i. Spesso capita che non conoscendo più i nostri bisogni più profondi, o reprimendo anche quelli che potremmo conoscere, ci troviamo in situazioni spiacevoli, che vorremmo evitare, ma che ci sommergono, scatenando in noi emozioni anche violente, le quali, oltre che a livello psicologico, si ripercuotono anche a livello somatico. Il ripetersi di queste situazioni può portare all’instaurarsi di difese psicologiche che, se da un lato comportano la rimozione dei sentimenti più immediati, dall’altro trovano sfogo nei nostri punti più deboli, portando anche alla precarietà fisica. 

È indubitabile che ogni tentativo di definire con maggiore precisione la nozione di VIOLENZA maschile sulle donne è connotata necessariamente dai valori ideologici dell’interprete e del contesto culturale di riferimento (RAPPRESENTAZIONE). Nell’elaborare la nozione di VIOLENZA devono essere tenute in considerazione diverse dimensioni, come la distinzione tra forza e VIOLENZA, tra legittimità ed illegittimità, tra normalità e anormalità. A fronte dell’ampiezza e dell’ideologizzazione della questione, la definizione di VIOLENZA sulle donne nelle relazioni di intimità, in misura maggiore di ogni altra forma di VIOLENZA, non può prescindere dal livello di civiltà di un Paese, poiché rende evidente quale sia la dimensione di VIOLENZA culturalmente approvata e normativamente accettata, nonché la diversa considerazione che l’ordinamento ha dell’individuo a seconda del GENERE di appartenenza.

Grazie al lavoro svolto dai CENTRI ANTIVIOLENZA sono stati messi in discussione molti stereotipi (STEREOTIPO) culturali e sono state realizzate numerose azioni formative per mettere in luce la diffusione e le caratteristiche della VIOLENZA nelle relazioni di fiducia e di intimità. Le dinamiche di VIOLENZA si concretizzano, sotto il profilo della VIOLENZA fisica, non solo in atti compiuti con l’intenzione di causare dolore fisico o lesioni, ma anche in quelle azioni che hanno comunque l’alto potenziale di ledere la persona colpita. Rientrano in queste dinamiche le più diverse forme di controllo della vita della donna: deprivazioni di tipo economico, violenze verbali e psicologiche, controllo della sessualità (SESSO/SESSUALITÀ). Si evince che la VIOLENZA è tutt’altro che un fenomeno occasionale, estemporaneo, improvviso, ma piuttosto continuativo, ripetitivo fino a divenire in molti casi una forma definitiva della relazione quotidiana.

Secondo i dati ISTAT relativi all’anno 2014, il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila donne) ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di VIOLENZA fisica o sessuale. Il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subito VIOLENZA fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) VIOLENZA sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della VIOLENZA sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Ha subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dallex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato, lo hanno lasciato proprio a causa della VIOLENZA subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione. Le forme più gravi di VIOLENZA sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.

 

IV Approfondimenti

Tra le molteplici forme di relazione, le famiglie rappresentano, dal punto di vista antropologico, uno dei più significativi esempi di organizzazione umana.

Esistono molti tipi di famiglie le cui differenti caratteristiche possono tuttavia essere ricondotte ad alcuni caratteri ricorrenti: la cooperazione economica (DENARO), il riconoscimento sociale della relazione sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) tra alcuni dei suoi membri, una relativa durata e continuità nel tempo, un luogo di residenza condiviso, l’accudimento e l’educazione di figlie e figli (GENITORIALITÀ).

Le famiglie possono essere monogamiche (cioè basate sulla relazione esclusiva tra un uomo e una donna), poligamiche (cioè basate sulla relazione tra un uomo e più donne), poliandriche (cioè basate sulla relazione tra una donna e più uomini), mononucleari (cioè formate da un solo nucleo-coppia) plurinucleari (cioè formate da più nuclei-coppie), parentali (cioè prive di una coppia relazionale/genitoriale, per esempio convivenze di sorelle, fratelli, cugine, cugini), estese (cioè costituite da una coppia relazionale/genitoriale oltre ad altro/i parente/i convivente/i), monoparentali (cioè costituite da una/un sola/o genitore e relativa/o figlia/o o figlie/i).

Le famiglie possono essere relazioni non regolamentate da specifici contratti, religiosi o giuridici, oppure essere formalmente riconosciute da atti di carattere religioso (come il matrimonio religioso), o di carattere civile (come il matrimonio civile, la convivenza “di fatto” o l’unione civile). Il matrimonio civile è una forma di riconoscimento giuridico di relazioni eterosessuali; l’unione civile è una forma di riconoscimento giuridico di relazioni omosessuali, la convivenza “di fatto” è una forma di riconoscimento giuridico di relazioni eterosessuali e omosessuali.

Esistono poi famiglie di origine e nuove famiglie. La creazione di una nuova famiglia segna un passaggio costitutivo che va a modificare i legami relazionali e sociali con la famiglia di origine. Questa modificazione ha delle implicazioni molto complesse e variamente gestite nel tempo e nei diversi luoghi del mondo. Oltre alle modalità personali, e di coppia, i modelli familiari forniscono precise indicazioni riguardo la gestione del rapporto tra famiglia di origine e nuova famiglia, inclusa tutta una serie di prescrizioni che normano la loro relazione.

Nel sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) la famiglia costituisce il modello archetipico della costruzione e della giustificazione della subalternità delle donne rispetto agli uomini. Essa è costruita attorno alla figura del patriarca, cioè del padre-padrone e della sua autorità sul CORPO delle donne e sulla loro funzione riproduttiva.

Pur avendo un carattere storicamente e geograficamente pervasivo, la famiglia patriarcale non è l’unico modello familiare esistente. Sono esistiti ed esistono infatti altri modelli familiari: da quelli matriarcali di certe popolazioni del nord-centro-sud America, della Cina, dell’India, del Tibet, della Polinesia, dell’Indonesia e della Papuasia; a quelli gruppali di altre popolazioni, dell’Africa centrale o dell’America del Sud; a quelli collettivisti praticati da paesi come Israele o la Cina; a quelli monogenitoriali; a quelli omogenitoriali dell’ESPERIENZA omosessuale.