LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“La nostra prima esperienza di questo universo avviene in una tromba uterina di un corpo umano femminile”.
Ronald David Laing, I fatti della vita. Sogni, fantasie, riflessioni sulla nascita (1976)

 

“Il corpo materno è il primo luogo circostante, il primo ambiente naturale e culturale, fisiologico e mentale, carnale e verbale. È il primo mondo che accoglie (o rifiuta) in cui si forma, si crea, cresce l’essere umano. È la prima terra, è la prima casa che abita”.
Antoinette Fouque, I sessi sono due (1995)

 

“L’antica relazione con la madre ci dà sul reale un punto di vista duraturo e vero, vero non secondo la verità-corrispondenza ma secondo la verità metafisica (o logica) che non separa essere e pensiero e si alimenta dell’interesse scambievole tra l’essere e il linguaggio. […] Saper parlare vuol dire, fondamentalmente, saper mettere al mondo il mondo e questo noi possiamo farlo in relazione con la madre, non separatamente da lei”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1991)

 

“La vita che viviamo prima di saper parlare va vista come vita trascorsa a imparare a parlare. Il momento della nascita va visto come la decisione presa dal o dalla nascitura di uscire all’aperto, con non piccola rinuncia degli agi di vita intrauterina, per avere quello che là non aveva: aria e respiro, indispensabili alla fonazione. La vita intrauterina, infine, va vista come vita di ascolto delle voci, in primis quella della madre, invogliante forse a poter imitarla e quindi a voler nascere”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1991)

 

“La differenza tra l’essere accolti bene e il non esserlo, tra un ambiente accogliente e un ambiente non accogliente, fa tutta la differenza al mondo”.
Ronald David Laing, I fatti della vita. Sogni, fantasie, riflessioni sulla nascita (1976)

 

“Non è irragionevole che il feto in sviluppo possa al meglio essere in qualche modo soggetto alle immagini della madre, la quale potrebbe tentare disperatamente di sbarazzarsene. Le sue comunicazioni all’immagine sensibile del feto saranno di certo in qualche modo diverse da quelle della madre che da il benvenuto alla nuova vita, con la sua immagine di sviluppo incastonata nel cuore”.
Eric Graham Howe, Cure or Heal? (1965)

 

“Io e i miei genitori vivevamo in un appartamento di tre stanze. Io e mia madre dormivamo nella stessa stanza in letti separati, e mio padre dormiva in un’altra stanza. A dire di entrambi, ogni attività sessuale era cessata tra di loro irrevocabilmente prima che fossi concepito. Mio padre e mia madre giurano tuttora di non sapere come fui concepito. Ma c’è un segno caratteristico sul ginocchio destro di mio padre e uno sul mio. Fatto che depone contro l’immacolata concezione”.
Ronald David Laing, I fatti della vita. Sogni, fantasie, riflessioni sulla nascita (1976)

 

“La violenza diretta è il contrassegno di un rifiuto, conscio o inconscio, del bambino da parte di uno dei suoi genitori. Questi si giustifica spiegando che agisce nel suo interesse, a scopo educativo, ma la realtà è che quel bambino gli dà fastidio e che deve distruggerlo interiormente per preservare se stesso. […] Si dice che è una delusione, che è responsabile delle difficoltà dei genitori. Questo bambino deludente non corrisponde alla rappresentazione del figlio ideale che i suoi genitori hanno nel loro immaginario”.
Marie-France Hirigoyen, Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro (1998)

 

“La metafisica dominante in Occidente è stata sviluppata dal punto di vista di un’identità che non può generare, in modo tale che il generare viene trattato come una deviazione dei ‘normali’ modelli di identità, non compatibile con la stessa identità pensante”.
Christine Battersby, The Phenomenal Woman (1998)

 

“Vi sono uomini che si sentono chiamati a generare dal nulla persino se stessi, poiché nutrono il segreto sentimento di non essere stati creati abbastanza, o che lo sono stati solo per poi essere distrutti”.
Ronald David Laing, La politica dell’esperienza (1967)

 

“Ogni settimana vengono nel mio studio donne ferite che soffrono per una scadente immagine di sé, per l’incapacità di costruire rapporti duraturi, per la sfiducia nella propria capacità di lavorare e operare nel mondo. Esteriormente queste donne spesso appaiono piuttosto realizzate, sicure donne d’affari, casalinghe felici, studentesse prive di preoccupazioni, divorziate esuberanti. Ma, sotto la vernice del successo o della soddisfazione, si trova un sé ferito, una disperazione nascosta, sensazioni di solitudine e di isolamento, paura di essere abbandonate e respinte, lacrime e rabbia. Per molte di queste donne la radice della loro ferita nasce da un rapporto deleterio con il padre. Possono essere rimaste ferite da un cattivo rapporto con il loro padre personale o dalla società patriarcale che si comporta essa stessa come un padre inadeguato, sminuendo a livello culturale il valore delle donne. In entrambi i casi, la loro immagine di sé, la loro identità femminile, il loro rapporto con il maschile e il loro operare nel mondo è spesso menomato”.
Linda Schierse Leonard, La donna ferita (1982)

 

“Prima che la bambina possa essere la bambina di se stessa viene circondata da bambini oggetto (le bambole più ‘perfette’ sono le più costose), così che impari a dimenticare l’esperienza della nascita e dell’infanzia, e diventi non la bambina di se stessa ma semplicemente ‘come una bamina’ o, se più avanti nella vita vuole tornare a questa zona, infantile (regressiva, isterica, ecc.). Viene così educata ad essere una madre come sua madre e come tutte le altre madri che sono state educate non ad essere se stesse, ma ad essere ‘come madri’”.
David Cooper, La morte della famiglia (1970)

 

“Accade che le donne si ammalino per non saper amare la madre, perché le sono attaccate istericamente, alla lettera: dall’interno e interamente”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1991)

 

“È prima necessario l’apprendistato del proprio essere figlia perché il desiderio di divenire madre possa radicarsi in una soggettività libera”.
Adriana Cavarero, Nonostante Platone (1990)

 

“Molte grandi figure di madri non erano quelle biologiche. Il romanzo Jane Eyre […] può essere letto come un viaggio del pellegrino al femminile lungo il sentiero delle classiche tentazioni femminili, in cui Jane, orfana di madre, trova ripetutamente donne che la proteggono, la confortano, la guidano, la spronano e alimentano il suo rispetto di sé. Per secoli le figlie sono state rafforzate e vitalizzate da madri non biologiche, che hanno saputo dare al tempo stesso un aiuto pratico per la sopravvivenza e l’incitamento verso orizzonti più ampi, una comprensione per la vulnerabilità unita a un appello alle nostre risorse inesplorate”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“[La formula] o-chi-per-essa […] allude chiaramente al fatto, noto e meraviglioso, per cui la madre biologica può essere sostituita da altre figure senza che la relazione di lei con la sua creatura perda le sue fondamentali caratteristiche. […] Io vi leggo la predisposizione simbolica della madre la quale, come dire, si lascia sostituire da altri senza danno o senza grave danno per l’opera di creazione del mondo che ella compie insieme alla sua creatura. […] Diversamente dalla madre, la creatura non sta al posto di altro e non si lascia sostituire. In compenso, essa ha la capacità di accettare i sostituti della madre”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1992)

 

“Quel corpo materno, che è inizio e matrice, manca e non può che mancare. La madre ci abbandona, deve abbandonarci per darci al padre, al mondo: come se lei non fosse già mondo”.
Nadia Fusini, Uomini e donne. Una fratellanza inquieta (1995)

 

“L’incapacità di morire e quindi di vivere, del genere umano, incomincia alla nascita, da quello che la psicoanalisi chiama il trauma della nascita. L’umanità è quella specie animale che non sa morire... La guerra contro la morte prende la forma di un interesse per il passato e per il futuro e il tempo presente, il tempo della vita, va perduto”.
Norman Oliver Brown, La vita contro la morte (1959)

 

“L’inizio cercato [...] è il sapere amare la madre [...] altri inizi non sono possibili [...]: questo soltanto, infatti, rompe il circolo vizioso e mi fa uscire dalla trappola di una cultura che, non insegnandomi ad amare mia madre, mi ha privata anche della forza necessaria a cambiarla, lasciandomi soltanto quella di lamentarmi, indefinitamente”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1991)

 

“Tradizionalmente madri e figlie hanno un atteggiamento contrastante verso l’intimo rapporto che le lega. Le figlie si fidano e allo stesso tempo diffidano della madre, mettono in dubbio che le conosca veramente eppure si rivolgono a lei per avere consigli e conforto e così facendo precipitano il rapporto nelle sabbie mobili emotive. Durante l’adolescenza le ragazze spesso si dicono preoccupate che le madri ‘prendano il sopravvento’ e impediscano loro di essere se stesse. Poiché le bambine interiorizzano la voce materna sin dalla tenera età, lo sviluppo della loro voce interiore durante l’adolescenza dipende dalla capacità della madre di convalidare l’immagine che la figlia ha di sé”.
Elizabeth Debold, Marie Wilson, Idelisse Malavé, Madri e figlie una rivoluzione. Dal conflitto all’alleanza (1994)

 

“Il figlio dei padri impara a disprezzarsi quando soffre, e può aprirsi solo con le donne, che poi è costretto a disprezzare o a temere perché esse hanno conosciuto questa sua debolezza. Il ‘figlio della madre’ (della madre che ama se stessa) ha maggiori possibilità di capire che forza e vulnerabilità, controllo ed emotività, atteggiamenti affettuosi e autoritari, non sono contrapposti, non sono appannaggio di un sesso piuttosto che dell’altro. Ma ciò richiede una nuova visione dell’amore tra madre e figlio”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Il bambino può provare un godimento completo solo se la sua capacità di amare è sufficientemente sviluppata; ed è questo godimento che costituisce la base della gratitudine”.
Melanie Klein, Invidia e gratitudine (1957)

 

“La sessualità dei figli è strettamente intrecciata a quella dei genitori: è in rapporto al padre che il bambino sa di essere maschio, allo stesso modo in cui la bambina sa di essere femmina in rapporto alla madre. Molto dipende quindi da come gli stessi genitori vivono la propria identità sessuale, e nello stesso tempo la riconoscono nel figlio o nella figlia, attraverso una duplice conferma sia materna che paterna. Non basta infatti che la madre riconosca la femminilità della figlia se il padre tende invece a negarla, a rifiutarla, a disconoscerla. Allo stesso modo non basta che il padre riconosca ‘in teoria’ il figlio maschio uguale a sé, e lo incoraggi a parole ad assumere il suo stesso ruolo se lo disconosce nei fatti. Ma anche un padre troppo debole, offuscato da una figura materna che tende ad escluderlo dal triangolo familiare, come pure un padre assente sul piano affettivo e psicologico, può rendere più difficile  per i  figli,  sia  maschi che  femmine, il riconoscimento della propria identità sessuale”.
Silvia Vegetti Finzi, I bambini sono cambiati (1996)