LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“Il simbolismo della nascita è presente negli ambiti più diversi, dalla cerimonia religiosa del battesimo alla produzione artistica, al concetto (conceptus) della filosofia. Comunemente lo si considera un riconoscimento alla grandezza dell’opera materna, ma poiché troppo spesso questo riconoscimento si accompagna alla nessuna autorità sociale delle donne in carne e ossa, io penso che si tratti piuttosto di una maniera per spogliare la madre delle sue prerogative”.
Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (1992)

 

“Di certo il patriarcato è riuscito a creare immagini dell’archetipo materno che rafforzano il carattere conservatore della maternità e lo trasformano in energia tesa a rinvigorire il potere maschile. Di queste immagini, e delle loro implicazioni per tutto lo spettro dei rapporti umani, ancora molto resta da dire. Le donne sono state madri e figlie, ma hanno scritto ben poco sull’argomento; la grande maggioranza di immagini letterarie e artistiche della maternità ci giunge filtrata da una coscienza collettiva o individuale maschile”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Il limite dell’amore al femminile è però questo: per secoli le donne hanno profuso la loro intelligenza per allevare al meglio i figli, senza rendersi conto che, se il mondo esterno rimaneva invariato, li mandavano solo allo sbaraglio. Al contrario gli uomini inventavano modelli di cambiamento sociale, senza occuparsi minimamente dell’infanzia, di chi avrebbe dovuto compiere tali cambiamenti; immaginavano società utopiche senza curarsi di allevare individui in grado di mantenerle in vita. Mutamenti positivi e duraturi, che pure possono essere posti in atto, richiedono infatti un’integrazione dei percorsi maschili e femminili”.
Donata Francescato, Amore e potere. La rivoluzione dei sessi nella coppia e nella società (1998)

 

“Concentrarsi sul soggetto donna comporta trattare gli esseri umani come non autonomi, e pensare invece le relazioni di dipendenza (infanzia, svezzamento, accudimento) attraverso le quali si raggiunge la coscienza di sé. Comporta anche pensare il processo di dare nascita come non mostruoso né anormale. La funzione materna, il curarsi dei figli e il fatto di essere nati devono diventare pienamente integrati in ciò che è compreso nell’essere una ‘persona’ o un ‘sé’”.
Christine Battersby, The Phenomenal Woman (1998)

 

“Certo, essere genitori è una funzione biologica, e come tale ha la sua importanza e il suo significato. Ma essere veramente ‘padre’ e ‘madre’ non è una funzione biologica, bensì sociale. Non attiene direttamente alla natura, ma piuttosto alla struttura della nostra società tanto è vero che in altre culture la funzione sociale della paternità o della maternità non è sempre svolta dai genitori biologici. Ad esempio tra le popolazioni della Polinesia, i termini che designano la madre e il padre sono applicabili a tutti gli adulti. I bambini vengono cresciuti dalla comunità nel suo complesso e, in sostanza, non esiste un concetto di parentela personale, ma c'è una parentela sociale che coinvolge tutti gli adulti che si assumono il compito di allevare i bambini della comunità [...]. Nel Paleolitico, infatti, era impossibile collegare la nascita di un bambino con un'azione, un coito avvenuta nove mesi prima. E, quindi, l'opinione era che le donne rimanessero incinte passando sotto un determinato albero della fecondità, o perché toccavano qualche legno magico. I bambini venivano cresciuti senza la figura di un padre. In alcune civiltà c'era una figura maschile che si prendeva cura del bambino, ma era il fratello della madre, ovvero l'unico maschio con cui era possibile stabilire un legame di sangue. La nascita della paternità si collega al passaggio dalla condizione nomade a quella stanziale e all'introduzione dell'allevamento degli animali. Si scoprì, ad esempio, che non si poteva decidere di macellare tutti i capi maschi lasciando alle femmine il compito di fornire il latte perché in questo modo il gregge diventava sterile. Da questo tipo di osservazioni si arrivò piano piano a comprendere che la nascita di un bambino è legata all’unione carnale tra uomo e donna”.
Vittorino Andreoli, Dalla parte dei bambini (1988)

 

Maternità

“Certamente la donna è sempre sicura della propria maternità, mentre un uomo non può sapere della sua paternità che attraverso le parole della sua donna. Il bambino sa chi è sua madre, ma quanto al padre, sa soltanto quanto gli dice la madre”.
Françoise Dolto, Il desiderio femminile (1960)

 

“Il bambino e la bambina che vivono in un mondo dove i corpi dei maschi e delle femmine di qualsiasi età sono pochissimo vestiti e considerati con naturalezza, troviamo che la bimba impara di essere femmina e che, se aspetta, un giorno sarà anche madre [...]. Nelle società in cui tutte le donne si sposano e anche la donna sterile ha la possibilità di adottare e perfino di allattare un bambino, dove la gravidanza è un avvenimento evidente e interessante, i maschietti sanno di non poter avere dei figli, per quanto fingano, in gioco, di poterne partorire, e per quanto gli uomini esprimano questo desiderio in cerimonie collettive che imitano la gestazione e il parto”.
Margaret Mead, Maschio e femmina (1949)

 

“È a questo corpo ‘mitico’ che il nato di donna non può non tornare nel tentativo di fissare la propria radice a un che di primordiale, che svelerebbe attaccamenti ben più arcaici dei lacci simbolici che lo stringono al Padre”.
Nadia Fusini, Uomini e donne. Una fratellanza inquieta (1995)

 

“La maternità è stata celebrata e temuta, sia dagli antichi che dai moderni, come la risposta umana più eloquente ed efficace alla morte biologica. Le madri sono state fatte oggetto di analogie - e uso la parola a ragion veduta - in quanto più potenti di re e guerrieri che, a turno, hanno difeso la maternità nei discorsi e ne hanno distrutto i frutti in battaglie. Poeti, scienziati e filosofi dopo aver sospirato sulla temporanea vanità delle opere maschili, hanno continuato la loro opera creativa”.
Phyllis Chesler, Le donne e la pazzia (1972)

 

“Dopo aver partorito per la prima volta mi sono detta: Ora non temo più nulla e posso fare tutto. Il dolore fisico, ma anche la gioia indescrivibile nel vedere il miracolo del bambino che emerge semplicemente dal nostro corpo, è davvero il momento in cui partecipiamo più intensamente all’atto della creazione. Questo spiega la forza che solo le donne possiedono, e la speciale condizione di privilegio cui la maternità da diritto”.
Janne Haaland Matláry, Il tempo della fioritura. Per un nuovo femminismo (1999)

 

“Corpo censurato, desiderio soffocato, parola vietata, immagine velata, realtà negata dietro la maschera e la tradizione: in genere nel Magreb la donna cessa di subire l’oppressione della società solo quando diventa madre. Con l’avanzare dell’età, una madre si vede riconoscere più dignità, più rispetto, più spazio esistenziale. In un certo senso, invecchiare non è un male, poiché il diritto alla parola diventa effettivo e il potere morale e persino quello economico sono allora condivisi all’interno della cellula familiare”.
Tahar Ben Jelloun, L’estrema solitudine (1977)

                       

“C’è stato un tempo in cui le donne sentivano muoversi qualcosa sotto il cuore. Quando questo accadeva, la donna sapeva di aspettare un bambino. […] A partire da quel momento la donna era considerata incinta. Nessuna donna ha oggi lo stesso potere di definire la propria condizione attraverso un’affermazione circa il proprio corpo. Viviamo in una società nella quale si deve essere dichiarati malati, incinte, e perfino sani, da un documento scritto”.
Barbara Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull’abuso del concetto di vita (1991)

 

“Si è parlato a lungo dell’amore materno come di un istinto innato. Noi, oggi, siamo convinti che questo comportamento sia radicato nella natura stessa della donna, nel momento stesso in cui diventa madre, trova in se stessa tutte le risposte alla sua nuova condizione. Come se una predisposizione necessaria e automatica aspettasse solo l’occasione per manifestarsi. Poiché la procreazione è un fatto naturale, si presuppone che al fenomeno biologico e fisiologico della gravidanza debba corrispondere un determinato comportamento materno. Procreare non avrebbe alcun senso se la madre non portasse a termine la sua opera assicurando fino in fondo la sopravvivenza del feto e la trasformazione dell’embrione in un individuo completo. Questa opinione è confortata dall’uso ambiguo del concetto di maternità che riguarda sia uno stato fisiologico momentaneo, la gravidanza, sia un’azione a lungo termine: allevare ed educare il bambino”.
Elisabeth Badinter, L’amore in più (1980)

 

“Ma una donna che abbia messo al mondo un bambino che poi non ha potuto tenere, è una donna ‘senza figli’? E io, che ho figli grandi, e conduco la mia vita come mi pare, sono forse senza figli in confronto a donne più giovani che ancora spingono carrozzelle, corrono a casa per dare da mangiare, si svegliano la notte perché il bambino piange? Che cosa ci fa madri? L’occuparci di bambini piccoli? I mutamenti fisici della gravidanza e del parto? Gli anni di cure? E che dire della donna che, mai rimasta incinta, comincia ad avere latte quando adotta un neonato? Che dire della donna che caccia il figlio appena nato in un bidone di rifiuti e torna stordita alla sua vita ‘libera’? Che dire della donna che, in qualità di figlia maggiore in una famiglia numerosa, ha praticamente allevato fratelli e sorelle più piccoli, e poi è entrata in convento?”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Essere donna significa vivere la dimensione psicologica e sociale della maternità, sia che si accetti la maternità biologica o la si rifiuti, la si subisca o la si scelga. I meccanismi individuali che portano al rifiuto o all’accettazione riflettono l’evoluzione storica degli atteggiamenti sociali verso la procreazione. La maternità è realizzazione di una potenzialità biologica ed espressione di una parte di sé. La maternità è repressione di altre potenzialità, sacrificio e rinuncia all’espressione di sé. La maternità come potere e la maternità come ostacolo insormontabile alla realizzazione di una propria identità: la donna vive entrambe le facce della maternità. Questa ambivalenza è una costante a cui è necessario fare riferimento nell’analizzare i rapporti donna - società nel loro divenire storico”.
Maria Rosa Cutrufelli, Economia e politica dei sentimenti (1980)

 

“Non dobbiamo rinunciare ad essere donne per essere madri”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“Come figlie abbiamo bisogno di madri che vogliano la loro e la nostra libertà. Non dobbiamo essere le eredi dell’auto-negazione e della frustrazione di un’altra donna. L’esempio della vita della madre – per quanto combattuta e non protetta – è fondamentale per la figlia, perché una donna che sa credere in se stessa, che lotta e che continua a battersi per creare uno spazio ‘vivibile’ attorno a sé, dimostra alla figlia che tali possibilità esistono”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Il rapporto esistente nella situazione madre-bambino è quello di un’identificazione reciproca, e la coincidenza dell’autoidentificazione in cui il femminile sperimenta se stesso come femminile, col rapporto originario, in cui sperimenta il materno come femminile, porta a un rinforzo primario di tutti quei rapporti che si realizzano sulla base dell’identificazione, anche in questo risiede la differenza dal maschile, il quale concepisce il rapporto essenzialmente come confronto. Mentre questo tipo di rapporto è una forma individuale e culturale di relazione, i rapporti naturali di identificazione del femminile derivano dal legame di sangue della gravidanza e cioè dal rapporto originario con la madre, da cui fondamentalmente sono originati. Perciò la nostalgia per il rapporto di identità accompagna il femminile lungo tutta la sua vita e lo colma con la tendenza a ristabilire una situazione simile. Ma nelle donne a forte tendenza matriarcale questa nostalgia si placa solamente con la gravidanza, nella quale il femminile, ora adulto, diventa il portatore del rapporto originario nei confronti del bambino, mentre l’Io sperimenta come soggetto l’identità e l’essere contenuto del bambino”.
Erich Neumann, La psicologia del femminile (1953)

 

“La nascita prevede un duplice ordine degli sguardi: quello fra la madre e la figlia, e quello fra la madre e il figlio. È perché quest’ultimo originariamente decide di dis-trarsi volgendosi in direzione della morte e deportandovi la figlia, che il primo è costretto ad interrompersi.
Adriana Cavarero, Nonostante Platone (1990)

 

“La madre è ‘abolita’ in quanto soggetto che parla, in quanto soggetto che formula un desiderio. La sua parola è nella procreazione. Il figlio che nasce è una parola che riesce a strappare al sistema repressivo; al tempo stesso, è ciò che perde, vale a dire ciò che si allontanerà dal suo corpo”.
Tahar Ben Jelloun, L’estrema solitudine (1977)

                       

“L’amore materno è soltanto un sentimento umano. E come tutti i sentimenti è incerto, fragile e imperfetto. Contrariamente a quanto si crede, forse non è inciso profondamente nella natura femminile. Un’attenta analisi dei comportamenti materni ci dimostra che l’interesse e la dedizione per il bambino possono o meno manifestarsi. La tenerezza può essere presente, ma anche mancare. I diversi modi di esprimere l’amore materno vanno dal più al meno passando per il nulla, o il quasi nulla... Questo sentimento può esistere o non esistere; esserci o sparire. Rivelarsi forte o fragile. Privilegiare un bambino o comprenderli tutti. Tutto dipende dalla madre, dalla sua storia e dalla Storia”.
Elisabeth Badinter, L’amore in più (1980)

 

Paternità

“Colui che genera un figlio non è ancora un padre, un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno. Oh certo, esiste anche un altro significato, un’altra interpretazione della parola ‘padre’ secondo la quale un padre, anche se è un mostro, anche se è un nemico per i propri figli, resta pur sempre un padre per il semplice fatto di avere dato la vita ai suoi figli. Ma questo è, diciamo così, il significato mistico che non arrivo a comprendere con il mio intelletto, ma che posso solo accettare per fede, o per meglio dire, sulla parola”.
Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamazov (1878-1880)

 

“Mentre sarebbe possibile riempire un carro merci con i resoconti delle ricerche condotte sull'importanza della relazione madre figlio, il lavoro eseguito sul ruolo dei padri potrebbe essere trasportato tutto nel baule di un'auto."
Dan Kindlon e Michael Thompson, Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo (2000)

 

“Le relazioni tra donne e uomini, le rappresentazioni e i ruoli di genere appaiono in grande cambiamento. Spesso in questo confuso mutamento possiamo però riconoscere invarianze molto solide che ripropongono in termini aggiornati vecchie polarità stereotipate di ‘qualità’ maschili e femminili. La ridefinizione dell’esperienza e del ruolo sociale della paternità emerge come questione molto sensibile e controversa in questo quadro conflittuale. Attorno ad essa si verificano sia concrete esperienze di uomini che reinventano, tra mille contraddizioni, le proprie modalità di relazione con l’infanzia e il proprio ruolo genitoriale, sia forme di revanscismo maschile ostili al cambiamento. Nell’esperienza della paternità si mostra dunque un disagio maschile che può assumere le forme del desiderio di cambiamento o della reazione frustrata al cambiamento già avvenuto”.
Stefano Ciccone, Essere padri: l’inseguimento frustrato di un potere o un’esperienza di libertà? (2011)

 

“Il concetto di minor importanza del padre, e soprattutto della sua minore responsabilità nei confronti dei traumi psichici del bambino, è confermato dal suo status di ‘secondo’. Egli è sempre quello che compare ‘dopo’ il primo corpo a corpo del bambino con la madre, quando si instaura la dimensione verbale”.
Elisabeth Badinter, L’amore in più (1980)

 

«La prima funzione psicologica e simbolica [del padre] è quella di organizzare, dare uno scopo, alla materia nella quale il figlio è rimasto immerso durante la relazione primaria con la madre e che di per sé tenderebbe semplicemente alla prosecuzione dell’esistente. Per questo il padre infligge la prima ferita affettiva e psicologica, interrompendo la simbiosi con la madre […] e proponendo, da quel momento un télos, una prospettiva».
Claudio Risé, Il padre. L’assente inacettabile (2003)

 

“Si deve uscire dal biologico perché nelle sole relazioni biologiche del sistema genetico procreativo il maschio resta escluso, isolato e non necessario, di qui, appunto la necessità di costruire relazioni ‘artificiali’ di tipo nuovo che lo includano ‘necessariamente’”.
Giuditta Lo Russo, Uomini e padri (1995)

 

“La dimensione ‘adottiva’ della paternità può essere chiave di volta per reinventare una genitorialità maschile capace di riconoscere il proprio limite come risorsa per costruire una nuova ‘etica della relazione’, ma può anche restare in un orizzonte gerarchico in cui il simbolico patriarcale torna a essere un riferimento e che continua ad inseguire un’inversione simbolica di quella che è percepita come un’asimmetria tra i sessi”.
Stefano Ciccone, Essere padri: l’inseguimento frustrato di un potere o un’esperienza di libertà? (2011)

 

“Il compito procreativo di un padre arapesh non si esaurisce nel rendere incinta la moglie. Gli Arapesh non immaginano neanche lontanamente che dopo l’atto iniziale, che qualifica la paternità fisiologica, il padre possa allontanarsi e ritornare nove mesi dopo per trovare la moglie felicemente sgravata del figlio. Essi considererebbero impossibile e addirittura repellente un simile rapporto fra genitore e prole. Un figlio non è il risultato di un momento di passione; è qualcosa che nasce dall’impegno e dalla cura tanto del padre quanto della madre. Gli Arapesh distinguono due tipi di attività sessuale: il primo ha carattere di gioco, e comprende tutta quell’attività sessuale che non si traduce nella nascita di un bambino; il secondo ha carattere di lavoro, è l’attività sessuale volutamente diretta a creare un dato bambino, a dargli alimento, a modellarlo per le prime settimane nel grembo materno. In tutto ciò la responsabilità del padre non è minore di quella della madre: il bambino è il prodotto del seme paterno e del sangue materno, che all’inizio si combinano in eguale misura a formare un nuovo essere umano”.
Margaret Mead, Sesso e temperamento (1935)

 

“Nonostante i tentativi di trovare un fondamento biologico del potere e del ruolo simbolico del padre, la genitorialità, nell’esperienza maschile, non può affermarsi nella biologia ma deve costruirsi nella relazione, e nella mediazione con la donna, nel riconoscimento reciproco, che si esperisce anche attraverso il corpo. Questa specifica condizione maschile, che costringe a pensare la paternità attraverso la costruzione di una doppia relazione – prima con la donna e poi con la persona che nasce – può essere interpretata in modo ambivalente se si confonde corporeità con determinismo biologico”.
Stefano Ciccone, Essere padri: l’inseguimento frustrato di un potere o un’esperienza di libertà? (2011)

 

“Nell’ambito dei rapporti personali, se gli uomini devono cominciare a condividere questa ‘opera d’amore’ noi dovremo cambiare il nostro modo di amarli. Ciò significa, tra l’altro, smettere di lodare ed essere grate ai padri dei nostri figli quando essi partecipano in qualche misura alla loro cura. (Nessuna donna viene considerata ‘eccezionale’ perché svolge i suoi compiti di genitore; il non farlo viene considerato un crimine sociale). Significa anche smettere di trattare gli uomini come se il loro io fosse fragile come un guscio d’uovo, o come se fosse desiderabile conservare l’io maschile anche a costo di sacrificare un rapporto paritario. Significa cominciare ad aspettarci dagli uomini, come ci aspettiamo dalle donne, che si comportino come nostri pari senza essere osannati o considerati ‘d’eccezione’; e rifiutare la tradizionale separazione tra ‘amore’ e ‘lavoro’”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Se sleghiamo l’essere padre e l’essere madre da qualsiasi metafisica, rimane l’evidenza di una condizione (differenza di genere) e della necessità di una funzione di cura (compito) da svolgere quotidianamente (esperienza) nella convivenza scelta (responsabilità) da due persone adulte a partire da un legame affettivo-erotico. Fuori dalla disciplina dell’Essere Maschio e dell’Essere Femmina viene cioè posta in luce la nostra capacità logico-emotiva di negoziare il divenire (responsabilità), nella reciprocità dell’incontro/scontro con l’altro/a (empatia), alla ricerca di un possibile orizzonte di comunione (piacere di essere).”.
Gabriele Pinto, Aspetti psicologici della paternità e relazioni di genere (2011)

 

“La mia idea è che un accudimento esclusivo da parte della sola madre è nocivo per la madre come per il bambino. I bambini potrebbero fin dall’inizio sperimentare la dipendenza con individui di entrambi i generi e fondare un senso di sé in relazione a entrambi. In tal modo, la mascolinità non finirebbe per legarsi alla negazione della dipendenza e alla svalutazione della donna. A sua volta, la personalità femminile sarebbe meno incentrata sul problema dell’individuazione, e nei bambini non nascerebbero la paura dell’onnipotenza materna e l’aspettativa che le donne posseggano in esclusiva qualità di dedizione totale di sé. Questo diminuirebbe nell’uomo il bisogno di difendere gelosamente la propria mascolinità e il controllo delle sfere sociale e culturale, che trattano e definiscono la donna come un essere secondario e privo di potere, mentre aiuterebbe la donna a sviluppare quella autonomia che un eccessivo coinvolgimento nel rapporto le ha sovente sottratto. Un accudimento dei figli condiviso alla pari non costituirebbe per nessuno una minaccia al senso primario di sé come appartenente a un genere (del resto, non sappiamo come sarebbe questo se in una società non sessista)”.
Nancy Chodorow, La funzione materna (1978)

 

“Il padre è la prima esperienza che una donna ha del maschile. Il padre dà un modello importante per il modo in cui la figlia si metterà in rapporto con gli uomini e con il proprio aspetto maschile interiore”.
Linda Schierse Leonard, La donna ferita (1982)

 

“Ogni volta che conduco un incontro che ha per tema la relazione con il padre sono commosso e sorpreso dalla grande tenerezza che la maggior parte delle donne hanno per il loro padre, malgrado la prigione di silenzio che ha circondato la loro relazione”.
Guy Corneau, L'amore possibile (1997)

 

“La cura, donata o negata, ha il grande potere di consolidare o di destabilizzare le identità. Sebbene a volte in modo inverso rispetto ai più scontati meccanismi di causa-effetto, essa ribadisce una dimensione ontologica che è quella dell’essere-con piuttosto che quella dell’essere-in-sé”.
Gabriele Pinto, Aspetti psicologici della paternità e relazioni di genere (2011)

 

“Un abisso emotivo separa la maggior parte dei figli dai loro padri, un abisso che ha potenzialità uniche di danneggiare un ragazzo, visto il ruolo centrale che la figura paterna ha nella concezione che il giovane va sviluppando di se stesso. Per troppi figli questa frattura emotiva, che li separa dai loro padri, resta per tutta la vita una fonte di tristezza, rabbia, amarezza o vergogna. La distanza emotiva impedisce a molti uomini di essere padri migliori, ma non diminuisce, in un figlio, il desiderio di legame col padre. Non importa quanto impossibile possa essere il comportamento di un padre: nel più profondo del suo essere, un ragazzo vuole amare suo padre e vuole essere capito e amato da lui”.
Dan Kindlon e Michael Thompson, Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo (2000)

 

“Il padre, introducendo un’immagine alternativa di potere a cui il maschietto può aspirare, offre al figlio un tipo specialissimo di soluzione alla tensione della diade madre bambino, nonché una soluzione particolare alle minacce all'autonomia che derivano sia dal richiamo dell'amore sia dall'intrusione del potere materno”.
Evelyn Fox Keller, Sul Genere e la Scienza (1985)

 

“La vera radice del conflitto che si elaborerà nel corso degli anni tra una madre e il figlio e che li condurrà dal matrimonio d'amore all'amaro divorzio è un triangolo padre - madre - figlio disfunzionale. In questo triangolo esiste  uno  squilibrio fondamentale perché per la maggior parte del tempo la madre è presente sul piano affettivo e fisico, mentre il padre no. Alcuni uomini hanno difficoltà ad assumere una paternità impegnata: non riescono a cedere al figlio il posto di figlio e mal tollerano che la loro moglie diventi madre, perché si sentono abbandonati. Si sentono talmente estranei alla nascita del loro figlio che l'attenzione che la madre dedica a quest'ultimo minaccia il loro equilibrio narcisistico. Possiamo pensare che questi uomini non riescano a sopportare di vedere la loro donna che diventa madre, perché allora il problema irrisolto con la loro madre risale dal profondo”.
Guy Corneau, L'amore possibile (1997)

 

“La paternità […] sembra sempre più orfana del rassicurante ordine fallologocentrico e affettivamente impreparata a prendersi cura dell’impeto affermativo dei desideri di figli e figlie. La secolare abitudine a delegare la prassi esigente della cura affettiva-cognitiva-materiale, propria di figlie e figlie, ha lasciato i padri poveri delle competenze introspettive così necessarie allo sviluppo di quelle tecniche del sé fondamentali per un governo consapevole, intenzionale e giusto della propria potentia, prima che di quella della propria prole”.
Gabriele Pinto, Aspetti psicologici della paternità e relazioni di genere (2011)

 

“Meno del 7% dei padri usufruisce dei congedi parentali e anche questo testimonia significativamente come, ancora, la maggior parte della cura materiale, in tutte le sue implicazioni (emotivo-affettive, comportamentali-relazionali e scolastiche) continui ad essere sulle spalle della donne-madri, perfettamente in linea con i tradizionali violenti paradigmi di genere maschilisti-patriarcali. Questo scarto culturale, la distanza tra la trasformazione dell’identità e dei ruoli di genere femminili-femministi e la sterotipica immobilità dell’identità e dei ruoli di genere maschili-maschilisti, si traduce in una pratica di relazioni genitoriali più conflittuali e frustrate, in una desolante e crescente incomunicabilità e solitudine”.
Gabriele Pinto, Aspetti psicologici della paternità e relazioni di genere (2011)

 

“Occorrono interventi incisivi per combattere stereotipi sessisti e incoraggiare gli uomini ad assumersi le propri responsabilità nella sfera familiare e domestica. A tal fine è opportuno elaborare incentivi, segnatamente di tipo finanziario, a favore di una migliore distribuzione delle responsabilità e dei compiti tra donne e uomini, in modo da rafforzare il ruolo degli uomini nell’assistenza familiare e in rapporto al congedo parentale”.
Commissione CE, Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sulla parità tra donne e uomini (2006)

 

“Le evidenze empiriche mostrano […] che le agevolazioni previste dalla giurisprudenza per incoraggiare una paternità attiva e la condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne stentano a diventare comportamenti diffusi. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che, nonostante il congedo parentale sia nominalmente rivolto sia agli uomini che alle donne […], non implica necessariamente una equiparazione dei ruoli e una riduzione delle asimmetrie, almeno dal punto di vista delle pratiche sociali e organizzative. Se gli ordini simbolici di genere dominanti all’interno delle organizzazioni attribuiscono alle donne la responsabilità prevalente della cura dei figli e nei compiti familiari, la possibilità formalmente offerta a uomini e donne di godere delle stesse opportunità di conciliazione andrà inevitabilmente a collidere con le pratiche consolidate delle culture organizzative, correndo un consistente rischio di fallimento”.
Annalisa Murgia e Barbara Poggio, Svelare la maschilità egemone nelle organizzazioni. L’esperienza dei congedi parentali raccontata dagli uomini (2011)

 

“È opportuno che le misure volte a incentivare nuovi modelli di paternità cerchino in primo luogo di scardinare gli stereotipi di genere puntando su interventi a doppio binario: se infatti da un lato è importante promuovere misure normative facilitanti ed incentivanti, dall’altro è necessario alimentare processi di innovazione culturale”.
Alberto Zanutto, La paternità possibile (2011)

 

Altre generazioni

“L’eterosessualità ipostatizzata, interpretata da alcuni come entità simbolica anziché sociale, operante come struttura fondante della parentela stessa – che informa le collocazioni sociali, indifferentemente da come appaiono o da quello che fanno – è il fondamento dell’affermazione secondo cui la parentela è già da sempre eterosessuale. Secondo questo precetto, coloro che solcano le soglie della parentela dalla prospettiva di non-eterosessuali potranno avere un senso solo se assumeranno un ruolo di madre o di padre”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

“Ho iniziato a pensare all’idea della riproduzione come a un esperimento di avvicinamento al corporeo, come esperienza sociale, come forma politica d’interazione volutamente scissa da legami biologici e, non ultimo, come trasmissione di vita immanente – atto di opposizione alla morte. Dal punto di vista emotivo, questo processo mi rende parte di un progetto più vasto e mi permette di accettare una temporalità estesa oltre il breve termine che ha caratterizzato tutte le mie scelte di vita precaria. Sebbene non vi siano in questo momento le condizioni ideali per diventare madre, ho tuttavia preso in considerazione l’idea di donare i miei ovociti […] di inserire il mio corpo come partecipante attivo di un progetto bio-politico di riproduzione genetica e sociale, slegato dall’eteronormatività che informa il concetto giuridico di famiglia vigente in Italia. […] Questo progetto mi ha portata a ripensare la libertà individuale in un rapporto di coppia e i limiti entro i quali si può negoziare la decisione di divenire genitore: se io, come donna, non necessito di altri dal punto di vista biologico per fare un figlio/a, come posso costruire un progetto comune con il mio/la mia partner, che ci coinvolga entrambe? La differenza di controllo/potere è notevole, e non facile da bilanciare per quanto poi concerne i ruoli e gli impegni di cura che seguiranno alla nascita. […] Il mio avvicinamento ai femminismi mi ha permesso di concepire scenari nuovi e non tradizionali, di vedere la fecondazione assistita come pratica positiva e utile a espandere le tipologie di famiglie, amore, genitorialità”.
Laura Fantone, Fare famiglie non-etero tra questioni di trasparenza e scambio di materiali riproduttivi (2014)

 

“L’avvento del concepimento in provetta ha dato origine a una serie di tecnologie per la riproduzione assistita il cui interlocutore classico sono le coppie eterosessuali con problemi di fertilità. Tali tecnologie includono la possibilità di creare e congelare embrioni (crio-conservazione) per ritardare nel tempo la gravidanza e consentono la riproduzione eterologa, fondata sulla donazione di gameti (sperma o ovociti). Nello specifico, le tecnologie della riproduzione consistono nella ‘capacità medica di asportare ovociti e sperma dal corpo umano, manipolarli e inserirli o nel corpo femminile da cui erano stati estratti gli ovociti o in un altro corpo femminile oppure di crio-conservarli. Il processo di fecondazione viene rimosso dal corpo della donna e trasferito in laboratorio”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Ciò che le tecniche riproduttive diventeranno e il nostro modo di pensare la riproduzione è una questione politica che coinvolge uomini e donne di là dal binomio naturale/artificiale. Un atteggiamento meno tecnofobico e la presa in carico delle possibilità, assieme ai rischi che le tecnologie rappresentano, ci pone davanti ad un bivio. La totale biologizzazione dell’evento riproduttivo, l’esautorazione dell’esperienza femminile e la rimozione della centralità del corpo e del desiderio delle donne convivono con la presa d’atto di un cambiamento nel modo di pensare e vivere la procreazione che può essere portatore nell’orizzonte politico di aperture sulle nozioni di sessualità, corpi, generi, famiglie”.
Alessandra Gribaldo, Riproduzione assistita. Tecnicamente naturale (2012)

 

“Secondo le eco-femministe, la commercializzazione della riproduzione non è eticamente né politicamente accettabile, mette a repentaglio la dignità umana, in particolare quella delle donne, ma anche quella dei bambini che dovranno nascere […] Credo che una suggestione utile sull’argomento possa essere fornita dal concetto di mercificazione nella teoria marxiana, operando un parallelo tra il lavoratore e la surrogante, a cui è attribuito un ruolo di ‘fattrice’. Attraverso la vendita della propria forza-lavoro l’operaio si fa merce, non solo perché viene pagato per il suo tempo di lavoro produttivo, ma perché diventa parte del processo di produzione, nel senso che le sue energie vengono assorbite dall’oggetto creato, sul quale l’operaio non ha alcun controllo finale. Questo fenomeno è alla base di ciò che Marx chiama ‘alienazione’. Lo stesso accade alla madre surrogante, la quale vende la propria capacità riproduttiva come tempo di gestazione ma anche nel senso che le sue energie vengono assorbite dal soggetto creato. E come l’operaio viene alienato dal proprio prodotto finale, essa viene alienata dal frutto del suo lavoro, non ha alcun diritto sul soggetto che mette al mondo, ma solo sul denaro che le è stato promesso; il suo salario di operaia della riproduzione”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Il desiderio di qualche donna di poter ‘scegliere’ queste tecnologie mette a rischio le donne come gruppo. Con le nuove tecnologie riproduttive le donne sono usate come laboratori viventi e sono lentamente ma inesorabilmente allontanate dal controllo della procreazione”.
Patricia Spallone e Deborah Steinberg, Made to Order: The Myth of Reproductive and Genetic Progress (1987)

 

“Se, da una parte, è necessario e fondamentale rimarcare le basse percentuali di successo delle tecniche di riproduzione, il rischio per la salute delle donne, i costi alti e le implicazioni eugenetiche, dall’altra non si possono ritrarre le donne come vittime passive e non tenere conto del fatto che i cambiamenti nell’immaginario riproduttivo e di genere sono già ampiamente presenti nella contemporaneità e riguardano anche e soprattutto le donne”.
Alessandra Gribaldo, Riproduzione assistita. Tecnicamente naturale (2012)

 

“In Italia le tecnologie della riproduzione assistita sono entrate nel dibattito con grande ritardo, sotto la bandiera laica della libertà scientifica e dei ‘diritti di riproduzione’. Fino al referendum [del 2005] sulla procreazione medicalmente assistita il soggetto di diritto da difendere erano le coppie infertili, sapientemente manovrate dalla potente lobby delle tecnologie riproduttive, nella legittimazione dell’aspettativa di avere un figlio a tutti i costi. In tempi più recenti, il dibattito sulla surrogacy ha iniziato a riguardare i maschi omosessuali, impossibilitati a realizzare il proprio desiderio di paternità. In questo modo, ciò che era stato bocciato dal voto popolare astensionista è rientrato dalla porta principale come tematica dei diritti gay, anche se è noto che la stragrande maggioranza di coloro che fanno ricorso alla surrogazione sono coppie eterosessuali”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Se fare l’amore è un idioma potente nella costruzione della parentela euroamericana che presuppone una continuità diretta fra rapporto eterosessuale, concepimento fisiologico e riproduzione sociale, analizzare che cosa comporta la sostituzione dell’atto sessuale con una pratica medica è prioritario per comprendere i cambiamenti che riguardano le rappresentazioni della parentela e del genere. La genitorialità e di conseguenza la parentela e i generi non si danno più come scontati, ma hanno a che vedere con processi di produzione, con un fare che implica una decisione, una scelta sempre più consapevole”.
Alessandra Gribaldo, Riproduzione assistita. Tecnicamente naturale (2012)

 

“In Europa la legge non consente la vendita di organi e di ovociti, ma ammette la ‘donazione’ con un ‘rimborso spese’ che spesso cela la transazione commerciale. Si tratta, di fatto, di vere e proprie ‘venditrici’ di ovociti le quali […] si sottopongono a bombardamenti ormonali e a operazioni chirurgiche, non per la gloria delle scienze mediche, né per aiutare una coppia di sconosciuti, ma col fine principale di ottenere tali ‘rimborsi’”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Le caratteristiche più evidenti nelle pratiche di riproduzione assistita sono la focalizzazione delle tecnologie sul corpo femminile e la frammentazione dell’evento riproduttivo in differenti fasi: dall’induzione dell’ovulazione, al prelievo degli ovociti, alla formazione in vitro dell’embrione, al trasferimento dell’embrione, alla gravidanza medicalmente supportata. È chiaro qui quanto sia centrale una sorta di ottimizzazione del corpo femminile e delle sue funzioni riproduttive: le metafore produttive pervadono il linguaggio dell’esperienza riproduttiva dove gli ovociti prima e gli embrioni poi sono classificati secondo codici numerici che corrispondono al grado di qualità ottenuto. […] Le conseguenze di questa tecnica portano ad una sostanziale rimozione del problema della sterilità maschile e ad una focalizzazione ancora maggiore sul corpo femminile come unico responsabile della riuscita o meno della tecnica”.
Alessandra Gribaldo, Riproduzione assistita. Tecnicamente naturale (2012)

 

“Sotto il patriarcato [la riproduzione] è sempre stata oggetto del soggetto maschio, ma nelle nuove tecnologie riproduttive cessa di essere un oggetto intero e diventa una serie di oggetti che possono essere isolati, esaminati, ricombinati, venduti, presi in affitto o semplicemente eliminati, come gli ovociti non usati per la sperimentazione o la fecondazione. Questo significa che l’integrità della donna in quanto persona umana, individuo, essere indivisibile e integro viene annientata. È l’ideologia della dominazione del’uomo su donna e natura, combinata al metodo scientifico di analisi e sintesi, ad aver portato alla distruzione della donna in quanto persona umana e alla sua riduzione in una massa di materiale riproduttivo”.
Maria Mies e Vandana Shiva, Ecofeminism (1993)

 

“Non accettiamo surroganti che richiedano relazioni post-parto con la coppia ed esigiamo per contratto che la surrogante non cerchi di contattare la coppia dopo il parto, a meno che non lo desideri la coppia. Il contratto firmato dalla madre surrogante vi assicura che non sorgano problemi dopo la consegna del bambino: sul certificato di nascita non verrà menzionato il nome della madre surrogante, che non avrà più nessuna possibilità di rivedere il bambino dopo la separazione”.
Programma del Fertility Institute, citato in Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Nel caso di The Sperm Bank of California (TSBCA), diversamente dalle banche ‘commerciali’ il donatore cessa di essere una persona che riceve un pagamento a fronte della cessione di materiale biologico alla criobanca, la quale ne diviene proprietaria per rivenderlo a terzi. Egli viene esclusivamente rimborsato per le spese di viaggio e i permessi di lavoro necessari alle procedure, perché lo scopo della donazione è considerato quello di aiutare una famiglia non biologica e non tradizionale a procreare, senza stigma o segreti o, nel caso di donatori gay, di accedere a una genitorialità biologica altrimenti difficile da ottenere. L’organizzazione noprofit mantiene contatti con le famiglie negli anni successivi alla nascita, limitando a dieci le donazioni per ogni donatore/trice e conservando in archivio i file senza limiti di tempo, all’infinito”.
Laura Fantone, Fare famiglie non-etero tra questioni di trasparenza e scambio di materiali riproduttivi (2014)

 

“Rainbow Flag Health Services (RFHS) nasce dall’esigenza di dare la possibilità alla comunità di donne e uomini queer di radicarsi, avere figli e fare famiglia, e sviluppare un investimento pieno nella società di appartenenza, legandosi attraverso generazioni. I principi etici su cui si fonda RFHS sono basati in primis sulla trasparenza, sul rifiuto del segreto e della vergogna, […] sul principio fondamentale del dire la verità ai bambini coinvolti e si basano sul rispetto di tutte le parti coinvolte nel processo riproduttivo, al di là della propria identificazione di genere o preferenza sessuale. […] RFHS ritiene che dire la verità a chi viene concepito/a da scambi di materiali riproduttivi non basati sul profitto risponda alla necessità del/la bambino/a di sapere tutto sulle proprie origini, e forma quindi i genitori per prepararli fin dall’inizio al momento in cui il/la bambino/a, crescendo, porrà delle domande. Il donatore, pur non essendo dal punto di vista legale il padre giuridico del/la bambino/a, è noto a quest’ultimo/a e rimane una figura di riferimento durante tutta la sua crescita”.
Laura Fantone, Fare famiglie non-etero tra questioni di trasparenza e scambio di materiali riproduttivi (2014)

 

“La generazione precaria può prendere decisioni che implicano stabilità nel futuro? Come mi rapporto io, da precaria, all’idea di una genitorialità, a un progetto che implica responsabilità durevoli e inscindibili? Ma, soprattutto, come protendere fino a un futuro remoto le mie prospettive e responsabilità, quel futuro a cui ho dovuto imparare a non pensare e a non desiderare per via della precarietà?”.
Laura Fantone, Fare famiglie non-etero tra questioni di trasparenza e scambio di materiali riproduttivi (2014)

 

“[Le] pratiche che hanno legato le comunità emergenti sono nate dalla consapevolezza che l’esistere e il progredire e la cura nei luoghi distrutti richiedono la capacità di generare parentele in modi innovativi. In questi nuovi contagiosi insediamenti, ogni nuova creatura deve avere almeno tre genitori che possano praticare o meno vecchie o nuove appartenenze di genere. Le differenze corporee, con tutto il loro portato di percorsi storici inquieti, sono molto amate in queste comunità. I nuovi nati sono esseri rari e preziosi e devono essere circondati da vecchi e giovani appartenenti a molte specie diverse. I rapporti di parentela si possono formare in ogni momento della vita, aggiungendo o inventando genitori e altri tipi di parenti durante i momenti di transizione più significativi. Queste relazioni creano impegni molto forti e diversi tipi di doveri che li accompagnano per tutta la vita. Generare parentele per ridurre il numero di esseri umani sulla terra e le loro esigenze, lasciando allo stesso tempo prosperare gli umani e le altre creature, è un impegno che ha messo in gioco intense energie e passioni nei mondi emergenti sparpagliati sul pianeta. Ma generare parentele e riequilibrare il numero degli esseri umani è un processo che deve avvenire attraverso connessioni rischiose con luoghi, corridoi ecologici, posizioni storiche e lotte decoloniali e postcoloniali continue, e non in astratto, né per decreto esterno. Molti esperimenti di controllo della popolazione sono falliti, diventando un monito molto efficace”.
Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2016)

 

“Un’ecologia dell’intimità interspecie […] è una teoria della relazionalità ecologica che prende sul serio le pratiche degli organismi, le loro invenzioni e gli esperimenti che mettono in atto per modellare la vita e i mondi interspecie. È un’ecologia ispirata a un’etica femminista della ‘responso-abilità’ […] in cui le questioni sulla differenza di specie sono sempre unite all’attenzione verso l’affetto, il coinvolgimento e la rottura; un’ecologia affettiva in cui la creatività e la curiosità caratterizzano le forme sperimentali della vita per tutti i tipi di soggetti coinvolti, non solo gli esseri umani”.
Carla Hustak e Natasha Myers, Involutionary Momentum (2012)