LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

BACK

HOME

I Introduzione

Se, secondo la classificazione più condivisa, i sessi (SESSO/SESSUALITÀ) sono due, o comunque si muovono tra i due poli del maschile e del femminile, e gli orientamenti sessuali sono tre (eterosessuale, omosessuale, bisessuale), i generi sono potenzialmente infiniti.

Genere è l’interpretazione che può essere data, individualmente o socialmente, all’essere femmina, o maschio, o in transizione.

Parlare di genere implica sempre due importanti dimensioni dell’ESPERIENZA: il senso di sé in quanto femmina o maschio (IDENTITÀ di genere), cioè cosa individualmente mi è possibile in quanto femmina o maschio; la definizione sociale in quanto femmina o maschio (RUOLO di genere), cioè cosa socialmente mi è consentito in quanto femmina o maschio.

IDENTITÀ di genere e RUOLO di genere sono dimensioni fortemente correlate: il senso di sé influenza i comportamenti sociali; l’aspettativa sociale influenza il senso di sé. Il genere per questo è sempre un prodotto sociale, sia nel senso di “prodotto per” rappresentarsi (IDENTITÀ di genere), sia nel senso di “prodotto dal” contesto (RUOLO di genere).

 

II La prospettiva degli studi di genere

Il concetto di genere è stato introdotto nel discorso scientifico negli anni Settanta, all’interno degli studi femministi (FEMMINISMO), con riferimento a quei dispositivi di POTERE attraverso i quali le società patriarcali (PATRIARCATO) hanno trasformato il dato biologico della differenza sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) in ruoli (RUOLO di genere) contrapposti e tali da giustificare, e garantire, la supremazia degli uomini sulle donne.

La denuncia e la decostruzione di questo meccanismo discorsivo (RAPPRESENTAZIONE) ha aperto la riflessione sul genere alla tematizzazione del “sentirsi essere” e del “potersi rappresentare” di ogni donna e di ogni uomo (IDENTITÀ di genere), non solo oltre i ruoli predeterminati dal sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO), ma anche oltre gli stereotipi (STEREOTIPO) psicologici dei caratteri femminili e maschili da esso indotti.

Questa riflessione è rappresentata da due differenti interpretazioni: da un lato una concezione del genere fortemente ancorata al dato biofisiologico da cui conseguirebbero qualità esistenziali e sociali irriducibili le une alle altre; dall’altro una concezione in grado di sconvolgere le categorie dualistiche del femminile e del maschile e di riconoscere forme mobili e transitorie dell’ESPERIENZA e della RAPPRESENTAZIONE di sé, anche oltre il LIMITE dei vincoli biologici.

A conferma di questa seconda interpretazione le esperienze (ESPERIENZA) transessuali e transgender hanno dimostrato la possibilità reale di transitare da un corpo a un altro e da una attribuzione a un’altra, cioè di “fare e disfare il genere” attraverso la performance di sé e l’assunzione della trasformazione a nuovo ordine simbolico.

All’interno di questo dibattito il queer rappresenta un POSIZIONAMENTO critico nei confronti di identificazioni di genere rigidamente binarie e l’apertura del genere all’infinito/indefinito di tutte quelle trasgressioni in grado di sovvertirne la matrice dicotomica.

 

III La violenza maschile contro le donne

Il concetto di genere è stato introdotto ufficialmente nel discorso scientifico da Gayle Rubin in The traffic in women nel 1975. Nella sua riflessione il “gender system” è l’insieme delle disposizioni (processi, comportamenti, rapporti, ecc.) sulla base delle quali ogni società trasforma il fatto biologico della DIFFERENZA sessuale (SESSO/SESSUALITÀ) in prodotto dell’attività umana e organizza la divisione dei compiti (RUOLO) spettanti a ogni sesso. Se ci abituiamo a vedere che la realtà è doppia, sessuata, che esprime e sottintende continuamente concezioni del maschile e del femminile, il nostro sguardo si arricchisce e si estende. Secondo Gayle Rubin la categoria genere non deriva tanto dalla presa d’atto neutrale dell’esistenza della realtà sessuata, ma dalla constatazione dello squilibrio tra i sessi.

Joan Scott sostiene che il genere è il primo terreno sul quale il POTERE si manifesta, per cui nominando il genere lo si evoca immediatamente. Il FEMMINISMO, e in particolare il neofemminismo degli anni Settanta, è il soggetto politico che ha puntato il dito su questo squilibrio. È proprio a partire dagli anni Settanta che il movimento femminista ha posto in evidenza la diffusione e la gravità del fenomeno della VIOLENZA di genere, la VIOLENZA cioè come strumento di oppressione e assoggettamento di un genere, quello femminile, da parte di un altro genere, quello maschile. 

È proprio facendo riferimento a questa cultura, che vede la VIOLENZA contro le donne attraverso la chiave interpretativa della DIFFERENZA di genere, che vengono utilizzati i neologismi femicidio (termine che indica la morte di una donna con movente di genere) e femminicidio (che comprenda una gamma che va dalla VIOLENZA fisica, a quella sessuale, a quella psicologica, a quella economica) in quanto simboli brutali della discriminazione di genere. Il termine femicidio, coniato da Carol Orlock negli anni Settanta, è utilizzato per indicare i casi di donne uccise da uomini esclusivamente perché donne e può essere ascritto tra le molte forme della VIOLENZA di genere. I roghi delle streghe, l’uccisione di donne “per motivi d’onore”, gli omicidi di serial killer, quelli di prostitute, gli aborti selettivi (la soppressione degli embrioni e dei feti di sesso femminile nei paesi in cui i maschi continuano a essere preferiti a livello sociale), testimoniano, in tutta la loro drammaticità, che il femicidio perdura dai tempi più antichi. 

La VIOLENZA maschile contro le donne va letta e interpretata necessariamente attraverso la lente del genere; la sola capace di leggerne la complessità e l’unica efficace nel pensare percorsi possibili di cambiamento.

Quanto a una definizione chiara di questo fenomeno possiamo dire che la VIOLENZA maschile sulle donne riguarda le relazioni (RELAZIONE) e il CONFLITTO tra i sessi e la scena sociale su cui queste si strutturano. Si manifesta in forme molteplici e può essere rintracciata nei gangli essenziali della vita sociale e nella sua forma più diffusa e pervasiva all’interno delle famiglie.

Nel 2002 il Consiglio d’Europa riaffermava una definizione chiara e perentoria già enunciata nel 1993: “la VIOLENZA contro le donne è VIOLENZA di genere caratterizzata da qualsiasi azione di VIOLENZA fondata sull’appartenenza sessuale che comporta e potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere in atto simili azioni, la costrizione, la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata”.