LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“C’è un consenso generale su quali siano le tessere del puzzle del sesso biologico: cromosomi; marcatori genetici molecolari; dotti riproduttivi; gonadi; ormoni; organi riproduttivi (funzione); genitali (forma e funzione); pubertà (flusso ormonale secondario); funzioni riproduttive (incluse, ma non unicamente, la produzione del seme, l’inseminazione, la gestazione); caratteristiche sessuali secondarie (crescita dei capelli, rapporto tra massa grassa e muscolare, crescita mammaria, voce, ecc.)”.
Daniela Crocetti, Mutamenti del corpo di genere. Riflessioni sull’intersessualità (2014)

 

“Nel modello unisessuato, che dominò il pensiero anatomico per duemila anni, la donna era interpretata come un uomo invertito: l'utero era lo scroto femminile, le ovaie erano i testicoli, la vulva era un prepuzio e la vagina un pene. Scrive Laqueur: ‘Le donne erano essenzialmente uomini, nei quali una carenza di calore vitale di perfezione aveva dato luogo alla ritenzione, all'interno del corpo, di strutture che nel maschio erano visibili all'esterno’. Galeno usava addirittura le stesse parole per descrivere le strutture maschili e femminili, e chiamava le ovaie ‘orcheis’, servendosi cioè della parola greca riferita ai testicoli. Lo sperma era la versione maschile del sangue mestruale; il latte e le lacrime erano la stessa cosa. Gli antichi inoltre non vedevano differenze nella capacità di provare piacere sessuale da parte del maschio e della femmina e pensavano che, per il concepimento, fosse necessario un orgasmo reciproco”.
Natalie Angier, Donna. Una geografia intima (1999)

 

“Mentre il bambino ha forse l’assoluta certezza di essere un maschio solo che badi alla posizione e alla struttura del suo fallo e non si sofferma troppo sui problemi della paternità, che vanno oltre la sua immaginazione, la bimba deve “credere sulla parola” che un giorno sarà madre. La maternità è più facile a comprendersi della paternità, le soddisfazioni della pura mascolinità anatomica sono maggiori di quelle della femminilità anatomica”.
Margaret Mead, Maschio e femmina (1949)

 

“Se dopo aver rinunciato alla nostra corporeità potessimo, puri esseri pensanti, guardare con occhi nuovi le cose di questa terra, ad esempio da un altro pianeta, nulla colpirebbe forse maggiormente la nostra attenzione dell’esistenza di due sessi”.
Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905)

 

“Il sesso viene assunto come un ‘dato immediato’, ‘un dato sensibile’, come ‘caratteristiche fisiche’, come appartenente a un ordine naturale. Ma quella che riteniamo una percezione fisica e diretta è soltanto una costruzione sofisticata e mitica, una ‘formazione immaginaria’ che reinterpreta le caratteristiche fisiche (di per sé neutrali come le altre, però marcate da un sistema sociale) attraverso la rete di relazioni in cui sono percepite”.
Monique Wittig, One is Not Born a Woman (1981)

 

“[Il] fondamentalismo biologico […] riguardo alla distinzione maschio/femmina si esprime nell’affermazione che le distinzioni naturali, alla base, fondono o si manifestano nell’identità sessuale, formando un insieme di criteri comuni transculturali che disintiguono l’uomo dalla donna”.
Linda Nicholson, Per una interpretazione di “genere” (1996)

 

“Da un punto di vista sociale, essere femmina significa femminilità, che significa essere attraenti per l’uomo, che significa essere sessualmente attraenti, che significa essere sessualmente disponibili in termini maschili. Ciò che definisce la donna in quanto tale è ciò che eccita l’uomo. Le brave ragazze sono ‘attraenti’, le cattive ragazze sono ‘provocanti’. La socializzazione di genere è il processo per mezzo del quale le donne giungono a identificarsi quali esseri sessuali, esseri che esistono per l’uomo. È mediante questo processo che le donne interiorizzano (fanno propria) un’immagine maschile della loro sessualità come loro identità di donne. Non è solo un’illusione”.
Catharine Mackinnon, Feminism, Marxism, Method and the State: An Agenda for Theory (1982)

 

“Si potrebbe pensare di caratterizzare psicologicamente la femminilità con la preferenza per mete passive [...]. Forse succede che nella donna una predilezione per il comportamento passivo e per aspirazioni passive, derivante dal ruolo che le è riservato nella funzione sessuale, si protenda nella vita più o meno ampiamente, secondo i limiti, circoscritti o estesi, in cui la vita sessuale funge da modello”.
Sigmund Freud, La femminilità (1892)

 

“A distorcere lo stereotipo femminile concorre l’eguaglianza stabilita dalla nostra cultura tra femminilità e dipendenza passiva, giustificata dal fatto che sono gli spermatozoi a correre incontro alle uova e che il pene dell’uomo deve essere attivo per fecondare la donna, mentre l’uovo femminile può essere fecondato anche se clitoride e vagina sono completamente anestetizzate. Di fatto sebbene liquido seminale e uovo si incontrino nel corpo della donna, l’uovo scende per incontrare lo sperma attraverso le tube di Falloppio proprio come lo sperma scende per incontrare l’uovo attraverso i deferenti e l’uretra [...]. Dire che l’uovo feconda lo spermatozoo è logico quanto dire che lo spermatozoo feconda l’uovo”.
John Money e Patricia Tucker, Essere uomo, essere donna (1975)

 

“All'avvento del patriarcato, il maschio rivendica aspramente la propria posterità; certo, si deve accordare alla madre una funzione nella procreazione, ma il suo compito viene limitato al portare e alimentare in sé il seme vivente: solo il padre crea. Secondo Aristotele, il feto è prodotto dall'incontro dello sperma con il mestruo: in questa simbiosi, la donna non fornisce che una materia passiva, mentre il principio maschile dà forza, attività, movimento, vita. Anche la dottrina di Ippocrate pone due specie di semi, uno debole o femminile e uno forte o maschile. La teoria aristotelica si è tramandata attraverso tutto il Medioevo e fino all'epoca moderna”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“Gli antropologi e i medici dell'Ottocento pensavano la sessualità all'interno di un contesto teorico improntato ad un marcato naturalismo. Nel caso dell’uomo la sessualità era ritenuta anche, oltre che istinto di riproduzione, soddisfacimento dell'orgoglio, ricerca di piacere, manifestazione del caratteristico ‘egoismo’ maschile, espansione cioè, diremmo oggi, di un io che ha superato i rigidi confini della natura per diventare individuo. Viceversa nella donna la sessualità era lo strumento per realizzare l'unica e più vera identità attribuitale, quella di madre; solo per la donna, dunque la sessualità coincideva in pieno con il fine biologico della procreazione”.
Valeria Paola Babini, Fernanda Minuz, Anna Maria Tagliavini, La donna nelle scienze dell'uomo (1989)

 

“Le liberazioni sessuali delle epoche recenti non hanno dato vita ad una nuova etica della sessualità. Esse ci fanno però capire che la questione si pone, specialmente con il liberarsi di energie che non trovano modo di esercitarsi in maniera positiva. Esse ricadono nell’immediatezza naturale: l’obbligo di procreare, la violenza a stento incanalata in messe in scena sadomasochistiche, la regressione all’animalità (senza parto?) nell’atto erotico, la paura e la distruzione tra i sessi [...]. Non si tratta certo di ritornare ad una concezione più repressiva, moralizzatrice della sessualità. È necessario, al contrario, elaborare un’arte del sessuale, una cultura sessuata, e non soltanto un mettere a disposizione i corpi al fine di ridurre le tensioni neuropsichiche e di riprodurre”.
Luce Irigaray, Sessi e genealogie (1989)

 

“Di là dalle questioni psicologiche, sociologiche, o politiche, la differenza dei sessi rimanda a un solo problema, quello che lega la nascita e la morte. Parlo qui della morte come destino biologico, quella che i biologi associano alla riproduzione sessuata, dove l’una e l’altra appartengono alla stessa ‘logica del vivente’. Ecco perché non possiamo dissociare il senso e il valore della differenza dei sessi dalla questione della generazione anche se le espressioni della differenza ci portano ben oltre il campo della generazione, verso la politica”.
Sylviane Agacinski La politica dei sessi (1998)

 

“La prima scoperta sorprendente è che la differenza genitale tra i sessi è stata sempre, o prevalentemente, il punto cardine della concezione analitica, mentre non è stata presa in considerazione l’altra grande differenza biologica, cioè i diversi ruoli di maschi e femmine nella funzione riproduttiva. [...] Eppure dal punto di vista biologico la donna ha nella maternità e nella sua potenzialità in tal senso, una superiorità fisiologica indiscutibile e per niente trascurabile, che si riflette con estrema chiarezza nell’inconscio della psiche maschile, nell’intensa invidia rivelata dal ragazzo [...]. Rispetto all’invidia del pene nella bambina, l’invidia maschile ha chiaramente migliori prospettive di sublimazione ed è certo una, se non la fondamentale, forza pulsionale nel creare valori culturali [...]. La forza tremenda del lavoro maschile in ogni campo non è forse dovuta proprio al senso di avere un ruolo relativamente modesto nella creazione degli esseri viventi, che li costringe costantemente a una supercompensazione nelle realizzazioni?”.
Karen Horney, Fuga dalla femminilità (1926)

 

“Il complesso di evirazione della bambina è messo in moto dalla vista dell’altro genitale. Essa nota subito la differenza e - lo si deve ammettere - si rende conto del suo significato. Si sente gravemente danneggiata, dichiara spesso che anche lei ‘vorrebbe avere qualcosa di simile’ e cade quindi in balia dell’invidia del pene, che lascerà tracce incancellabili nel suo sviluppo e nella formazione del suo carattere e che, anche nel più favorevole dei casi, non sarà superata senza un grave dispendio psichico”.
Sigmund Freud, La femminilità (1892)

 

“Voler ricondurre i sessi alla sola natura è tanto ingenuo quanto voler vedere nelle loro differenze il semplice effetto di una costruzione storica arbitraria. La differenza dei sessi, è, sì, reale, dipende dai dati fisici naturali; semplicemente, nella sua naturalezza, essa è insignificante. Ha senso soltanto se coltivata. Dunque già interpretata, già travestita”.
Sylviane Agacinski, La politica dei sessi (1998)

 

“Come hanno partorito le donne, chi le ha aiutate, come e perché? Non sono semplicemente interrogativi che riguardano la storia dell’ostetricia: sono questioni politiche. La donna in attesa delle mestruazioni, o all’inizio del travaglio, la donna stesa su un tavolo che si sottopone a un aborto o spinge fuori il bambino, la donna che inserisce un diaframma o inghiotte la pillola quotidiana, è sotto l’influenza di secoli di condizionamento. Le sue scelte – quando ne ha – sono fatte o respinte nel contesto di leggi e di codici professionali, di sanzioni religiose, di tradizioni etniche, e dalla cui creazione le donne sono state storicamente escluse”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“La cultura occidentale contemporanea ha collocato ciò che essa stessa definisce ‘sessualità’ in una relazione sempre più privilegiata rispetto alle nostre più salde concezioni dell’identità individuale, della verità e della conoscenza, è indiscutibile che il linguaggio della sessualità non solo intersechi, ma addirittura condizioni tutte le relazioni e i linguaggi attraverso i quali noi conosciamo”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

                       

“Essendo relativo al discorso come anche alla percezione, il ‘sesso’ denota un regime epistemico storicamente contingente, un linguaggio che forma la percezione modellando forzatamente le interrelazioni attraverso le quali vengono percepiti i corpi fisici”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

Intersessualità

“Un buon 10% della popolazione presenta variazioni cromosomiche che non rientrano nettamente nella serie delle categorie XX-femminile e XY-maschile. Perciò la scoperta del ‘gene master regolatore’ viene considerata come una base più certa per comprendere la determinazione del sesso e, dunque, la differenza sessuale, rispetto a quando potevano offrire i precedenti criteri cromosomici”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“La maggior parte delle realtà che chiamiamo Intersex/DSD (Disorders/Divergence of Sex Development; Disturbi/Divergenze della Differenziazione Sessuale – termine medico in vigore dal 2006 in poi […]), o variazioni del corpo di genere, non si riferiscono a genitali cosiddetti ‘ambigui’, ma a variazioni corporee spesso invisibili a occhio nudo, e che sono portate alla luce solo dalla biotecnologia moderna. Nei casi invece in cui c’è una variazione della forma dei genitali, questi fenomeni nei bambini sono spesso ancora trattati (ed è così dagli anni Cinquanta) come emergenze mediche. L’équipe di John Money ha stabilito un protocollo di cura che imponeva la chirurgia estetica ai genitali di bambini prima dei tre anni […]. La sua premessa era che i bambini e la società sono crudeli, e che un bimbo con una forma dei genitali diversa sarebbe stato perciò deriso, o peggio ancora, avrebbe sofferto di una confusione rispetto alla sua identità di genere (ossia che sarebbe potuto diventare omosessuale o, addirittura, transgender!). L’attivista Ian Morland (2009) elabora l’ipotesi invece che lo stesso intervento chirurgico possa essere all’origine della creazione nel bambino di un senso di inadeguatezza, dell’idea di essere nato ‘sbagliato’, di essere un mostro”.
Daniela Crocetti, Mutamenti del corpo di genere. Riflessioni sull’intersessualità (2014)

 

“Quelli che alla nascita paiono maschietti, con la clitoride delle dimensioni di un pene o un vero pene con relativa uretra, e con le labbra che si sono fuse per trasformarsi in uno scroto, molto probabilmente, come è ovvio, verranno considerati maschi e come tali allevati, anche se lo scroto è vuoto. Se si interviene adeguatamente al momento della pubertà, questo ragazzo può avere una esistenza maschile normale, eccezion fatta per la fertilità. Se durante la pubertà la condizione femminile dei suoi genitali interni si evidenzia nello svilupparsi dei seni, nell’inizio delle mestruazioni e nella promessa di curve femminili, si renderanno allora necessari un intercento chirurgico onde asportare ovaie e utero, e una terapia a base di androgeni per mascolinizzare il corpo. Con questi accorgimenti il corpo assumerà un aspetto mascolino, la voce si farà più grave e comincerà a crescergli la barba. Il suo fallo, seppure non proprio della grandezza media, avrà capacità erettiva, e testicoli protetici di gomma al silicone possono venire inseriti all’interno dello scroto per normalizzare l’aspetto esterno dei genitali. Sebbene sterile la sua tendenza all’omosessualità […] non sarà più pronunciata che se fosse un individuo con cromosomi XY e con tanto di testicoli e prostata. In breve, nonostante i suoi cromosomi XX può diventare un uomo non molto diverso dagli altri”.
John Money e Patricia Tucker, Essere uomo, essere donna (1975)

 

“I sessi non sono numerabili […] Per questo si dice in modo confacente e che si con-fa, che siano due. La buona ragione è che il due non è un vero numero, placè nella sua linea di bordo tra Altro e immaginario, il due nel simbolico è sempre un altro numero, uno o tre. […] Questa non numerabilità, al livello del reale, non è una prerogativa del sessuato, ma del desiderio. […] Il dualismo – e lo stesso binarismo sessuale – sono puri sistemi di pensiero”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

“La maggior parte delle tribù australiane si suddivide in due metà o classi. Quelli che appartengono ad una delle due classi si considerano prevalentemente di sesso femminile-maschile; quelli che appartengono all’altra, di sesso prevalentemente maschile-femminile: in maniera tale che i primi valgono come donne anche quando siano effettivamente uomini; i secondi come uomini anche quando siano donne”.
Ernesto Buonaiuti, I rapporti sessuali nell’esperienza religiosa (1949)

 

“Le supposizioni che formuliamo sui corpi sessuati, sul loro essere l’uno o l’altro, sui significati che si presumono inerenti o derivanti dal loro essere sessuati, vengono ora improvvisamente e significativamente sconvolte da casi che non si adeguano a quelle categorie che naturalizzano e stabilizzano per noi il campo dei corpi secondo le convenzioni culturali. Così lo strano e l’incoerente, ciò che resta ‘fuori’ ci dà modo di comprendere che il mondo della categorizzazione sessuale, che viene dato per scontato, è in realtà una costruzione e che potrebbe addirittura essere costruito diversamente”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“Accettare l’ambiguità genitale come opzione naturale comporterebbe per i medici riconoscere anche che l’ambiguità genitale viene ‘corretta’ non perché costituisca una minaccia per la vita del bambino, ma perché è una minaccia per la cultura del bambino. […] I casi di intersessualità, invece di rivelare il fallimento della natura nel regolare il genere in questi ‘sfortunati’ casi isolati, indicano la mancanza di immaginazione dei medici e della società occidentale – l’incapacità di immaginare che ciascuna di queste decisioni gestionali è un momento in cui un esemplare specifico di ‘sesso’ biologico viene trasformato in un genere costruito culturalmente”.
Suzanne Kessler, La costruzione medica del genere: il caso dei bambini intersessuati (1996)

 

“La costruzione biologica del sesso ha scavato a fondo nel corpo, andando oltre la descrizione anatomica degli organi riproduttivi e delle gonadi e mettendo in luce entità molecolari come gli ormoni, i cromosomi e i geni. […] La differenziazione sessuale a livello biologico non agisce secondo una logica dicotomica e non produce due identità o comportamenti di genere uniformi. La nozione binaria del sesso sembra piuttosto essere un principio sociale che si afferma in prima battuta nel sistema riproduttivo. […] Le scoperte dei cromosomi e della natura chimica degli ormoni hanno fatto esplodere la complessità del corpo di genere dall’interno”.
Daniela Crocetti, Mutamenti del corpo di genere. Riflessioni sull’intersessualità (2014)

 

“È possibile immaginare un mondo in cui le persone sessualmente ibride possano essere accettate e amate senza doversi trasformare in una versione del genere conforme alla norma o socialmente più coerente? In questo senso, il movimento intersessuale ha cercato di analizzare il motivo per cui la società preservi un ideale dimorfismo di genere, quando una significativa percentuale di bambini presenta varietà cromosomiche, quando esiste un continuum tra maschio e femmina che indica l’arbitrarietà e la falsiatà del dimorfismo di genere come prerequisito dello sviluppo umano. In altre parole, vi sono esseri umani che vivono e respirano negli interstizi di questa relazione binaria, rivelando che essa non è esaustiva, né necessaria”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

“Il queer prende le cose dall’altra parte, più sul versante dell’amicizia che ri-sessualizza. Di qui una certa sua percezione come una pratica promiscua più che plurale. Ma invece, al di là di ogni forma di romanticizzazione dell’amore, il queer, infrangendo la regolazione binaria del sessuato, inventa qualcosa come un diverso ‘noi immaginario’, un’intimità degli esseri a cui l’intensità amorosa non potrebbe restare indifferente. Quello che viene rimesso in discussione è la cornice familistica o familiare del rapporto amoroso. Per tornare alla coppia sesso-genere che governa larga parte del discorso, si potrebbe dire che con il queer il sesso viene genericizzato, mentre il genere viene sessualizzato. La differenza prende su di sé i caratteri differenti dell’heteros, indifferente all’ordine naturale dei sessi, proprio a misura del fatto che il sesso stesso, e non il genere, venga riportato, nell’essere parlante, a ciò che è: cultura, senza resti”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

Desiderio e piacere

“Ci sono storicamente due grandi procedure per produrre la verità del sesso. Da un lato le società - e sono state numerose: la Cina, il Giappone, L’India, Roma, le società arabo- musulmane - che si sono date un’ars erotica. Nell’arte erotica la verità è estratta dal piacere stesso, considerato come pratica e raccolto come esperienza; non è in relazione ad una legge assoluta del lecito e del proibito non è facendo riferimento ad un criterio di utilità che il piacere viene preso in considerazione ma è innanzitutto rispetto a se stesso che deve essere conosciuto come piacere”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1970-1971)

 

“La nostra conoscenza erotica ci rende potenti, diventa una lente attraverso la quale osserviamo tutti gli aspetti della nostra esistenza, ci costringe a fare una valutazione onesta di quegli aspetti in termini del loro significato relativo all’interno delle nostre vite. E questa è una grossa responsabilità, che proviene dall’interno di ognuna di noi: la responsabilità di non accontentarsi di ciò che fa comodo, ciò che è scadente, ciò che risponde alle aspettative convenzionali, che non comporta rischio”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)


“Il desiderio, qualunque sia la causa sensoriale esogena che apparentemente lo provoca nelle varie circostanze, una volta significato ai sensi della donna si focalizza alla regione genitale. La donna prova una sensazione di erettilità clitoridea e di turgescenza umorale, di piacere eccitante la cui intensità cresce fino ad un massimo, l’orgasmo. Questo piacere invasivo è talvolta accompagnato da una emissione umorale ancora più netta che durante la fase ascendente del piacere [...]. I diversi tipi di orgasmo femminile sono riconoscibili tanto oggettivamente, attraverso la testimonianza maschile, che soggettivamente, attraverso la testimonianza femminile. Una grande varietà di testimonianze permette di avvicinarsi a una certa veracità e a un certo accordo in relazione al fenomeno dell’orgasmo femminile. Si possono distinguere: l’orgasmo clitorideo, l’orgasmo clitorido-vulvare, l’orgasmo vaginale, l’orgasmo uteroanessiale. Quest’ultimo è a torto confuso con gli orgasmi precedenti, soprattutto cono quelli clitorido-vulvare e vaginale, perché la donna non è consapevole di provarlo e dunque non ne parla mai. Ritengo che occorra distinguerlo, tanto per motivi di obiettività descrittiva che per ragioni che riguardano la teoria psicanalitica della libido. Questi orgasmi possono essere provati separatamente oppure a catena, quando uno crea le condizioni per il verificarsi dell’altro; ma può capitare che non siano distinguibili l’uno dall’altro nel piacere della donna. A ciascuno dei livelli progressivi del piacere, il processo può essere (come per i livelli di evoluzione della libido) interrotto, rimosso, negato, sostituito da un sintomo. La durata necessaria al verificarsi dell’orgasmo è molto variabile, anche per la stessa donna, così come variabili sono intensità e qualità del medesimo. Anche il tempo di riposo fra i coiti, perché siano soddisfacenti, è variabile. Tutti questi fattori non dipendono solo dalla donna, ma dalla coppia che essa forma con il suo partner, in generale e nella circostanza specifica”.
Françoise Dolto, Il desiderio femminile (1960)

 

“Il movimento della sessualità racconta, nella sua espressività fisica, un’esperienza conoscitiva molto particolare. Visto meccanicamente potrebbe essere rappresentato come una continuità di andate e ritorni susseguenti. Una tensione in cui la forza propulsiva provoca un rimbalzo di distanziamento, una sorta di avvertimento sulla necessità di fare ritorno in sé. Il corpo dell’altro dà misura all’esigenza di essere del mio. Nel suo accogliermi mi permette di guardarmi prospetticamente, ma perché questa visione sia fonte di cambiamento è necessario che io torni nella mia posizione e da lì guardi la distanza che sono in grado di percorrere. Quello che si produce è un’intermittenza di posizionamenti e deposizionamenti successivi. Un andirivieni in grado di illuminare, nell’alternanza di questo porre e deporre, l’esistenza di un posto nostro anche – o proprio? – nel momento in cui ne abbandoniamo, soggettivamente e oggettivamente, il luogo. Lo abbandoniamo in quanto soggetti, nella misura in cui desideriamo continuamente ritrovarlo, e lo abbandoniamo in quanto oggetti, nella misura in cui percepiamo di non coincidere totalmente con la sua misura, di non rappresentarne altro che una possibile variabile. Non è semplicemente il ribaltamento o l’intercambiabilità delle dimensioni di soggetto e oggetto. La sensazione che il nostro posto sia nell’altro/a, che la nostra soggettività abbia bisogno della sua oggettività o che, specularmente, la sua abbia bisogno della nostra, sono concretamente negate dall’esperienza della spazialità infinita di quell’oggetto, della sua indefinitezza e dal vissuto di dinamismo che rimanda alla nostra dimensione soggettiva, di metamorfosi altrettanto infinita. Un vissuto, non un’immaginazione, cioè qualcosa che ha a che fare con l’identità e non solamente con i ruoli. Sostenute/i dal piacere accettiamo di abbandonare l’ordinaria identificazione, di sconfinare nell’inammissibile e facciamo esperienza della possibilità, corporea e mentale, di poter assumere una forma altra da quella consueta. Di trasformarci. Io pongo il mio corpo come oggetto di incontro e depongo la sua idea (individuale e sociale) come soggetto di scontro. Nello stesso atto, senza soluzione di continuità, accolgo la posizione del corpo altro come soggetto che vuole incontrarmi e la deposizione del suo immaginario (individuale e sociale) come oggetto di impedimento alla relazione”.
Letizia Lambertini, Corpi sessuali e corpi sessuati. Prove erotiche di comunicazione (2010)

 

“L’esperienza del piacere [...] favorisce quel processo di integrazione che abbiamo chiamato Io, processo che consente di sostenere l’intensità emotiva delle esperienze a livelli sempre più elevati man mano che aumenta la sua coesione. L’esperienza del piacere sessuale, per esempio, soprattutto del suo livello più intenso, l’orgasmo, è possibile soltanto se una persona ha un vissuto di identità stabile: è questa stabilità che le consente, almeno per alcuni istanti, di abbandonarsi senza paura di disintegrarsi”.
Vezio Ruggieri e Anna Rita Ravenna, Transessualismo e identità di genere (1999)

 

“Le combinazioni sessuali e parasessuali ci trasportano fuori da noi stesse/i e ci trasformano in qualcosa di più di quello che siamo da sole/i”.
Lynn Margulis e Dorian Sagan, Origins of Sex: Three Billion Years of Genetic Recombination (1986)

 

“La sessualità rimane un luogo incerto. Ogni esperienza di sessualità infatti porta con sé la minaccia della dissoluzione del sé, della perdita dei confini e del controllo del corpo; è questo un tratto che la rigida regolamentazione della sessualità cerca di contenere. La ‘società del rischio’, così flessibile, è però inflessibile nell’imporci di governare l’incertezza. E se la sessualità è il luogo in cui l’incertezza si manifesta più pericolosamente, a maggior ragione una sessualità deviante è una pratica che può generare saperi trasformativi”.
Elisa AG Arfini, Lesbica. L’altra che altera (2012)

 

“L’erotico si colloca tra l’inizio del nostro senso di sé e il caos del nostro sentire più profondo. È un senso di soddisfazione interiore al quale, una volta sperimentato, sappiamo di poter aspirare. Perché dopo aver sperimentato la pienezza di questo sentire profondo e averne riconosciuto il potere, noi non possiamo, in onore e rispetto a noi, pretendere di meno da noi stesse. […] La tensione interna verso l’eccellenza che l’erotico ci insegna non deve essere scambiata con il chiedere l’impossibile a noi stesse e alle altre. Questa è una richiesta che finisce con il bloccare chiunque. Perché l’erotico non è solo questione di cosa facciamo, ma anche quanto intensamente e pienamente sentiamo nel farlo. Una volta che sappiamo fino a che punto siamo in grado di provare quel senso di soddisfazione e di completezza, allora siamo in grado di osservare quale, tra le varie attività in cui ci impegniamo nella vita, ci permette di avvicinarci maggiormente a quella pienezza”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)

 

“L’amore non è sessualità. Quest’ultima è certamente una nota fondamentale, ma le armoniche dell’amore sono molto più estese. D’altro lato, per arrivare alle armoniche, occorre innanzitutto saper trovare le note fondamentali. Se si chiede a qualcuno di sopprimere le note fondamentali e suonare solo le armoniche, ebbene ci sono persone nate per essere eroi, ma gli altri usciranno tutti fuori di testa. Il potere dell’educazione è molto importante: non si può sublimare qualcosa che è dipinto come cattivo: i rapporti sessuali sono colpevoli”.
Françoise Dolto, Il desiderio femminile (1960)

 

“I corpi sessuati implicano sempre […] almeno potenzialmente, l’espressione sessuale che, nella sua libertà, è sempre reciproca e reciprocamente riconoscitiva e trasformativa. Si tratta di una tensione alla trasmigrazione, un concreto andare verso l’altro/a da sé che richiede - perché il desiderio che lo muove sia sufficientemente soddisfatto da riprodursi in sensazioni sempre diverse - che questo altro/a sia per me realmente altro/a - e non solo suppostamente o prevaricatoriamente altro/a - e che io sia per lui/lei altrettanto altra/o. La sessuazione è, per questo, una delle più immediate difese contro i rischi del solipsismo, cioè dell’illusione di poter fare e disfare il mondo che ci contiene, negando, con l’assolutizzazione della nostra posizione, il principio relazionale che ci lega ad ogni alterità. È un avamposto contro il pericolo della scissione dell’esperienza dalla sua rappresentazione”.
Letizia Lambertini, Corpi sessuali e corpi sessuati. Prove erotiche di comunicazione (2010)

 

“La nostra conoscenza erotica ci rende potenti, diventa una lente attraverso la quale osserviamo tutti gli aspetti della nostra esistenza, ci costringe a fare una valutazione onesta di quegli aspetti in termini del loro significato relativo all’interno delle nostre vite. E questa è una grossa responsabilità, che proviene dall’interno di ognuna di noi: la responsabilità di non accontentarsi di ciò che fa comodo, ciò che è scadente, ciò che risponde alle aspettative convenzionali, che non comporta rischio”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)

 

“Perché ci sia mondo occorre in effetti passare dall’uno al due e ‘due’ è la via che apre al multiplo, alle migliaia, ai milioni. Due è per così dire l’uno del multiplo, l’apertura, la nascita”.
Jean Christophe Bailly, Le propre du langage (1997)

 

Repressione sessuale

“Il piacere derivato dai sensi di prossimità agisce sulle zone erogene del corpo - e lo fa soltanto per ragioni di piacere. Il loro sviluppo irrepresso erotizzerebbe l’organismo al punto da ostacolare quella desessualizzazione dell’organismo, che è necessaria per la sua utilizzazione sociale come strumento di lavoro [...]. La libido è stata deviata per consentire prestazioni socialmente utili, e l’individuo lavora per se stesso soltanto in quanto lavora per l’apparato, impegnato in attività che in massima parte non coincidono con le sue facoltà e i suoi desideri [...] L’individuo non va lasciato solo. Poiché se lasciato solo, e sostenuto da una libera intelligenza che non ignora le possibilità di liberazione da una società repressiva, l’energia libidica generata dall’Es si scaglierebbe contro le limitazioni che le sono sempre più estranee, e lotterebbe per assorbire un campo sempre maggiore di rapporti esistenziali, distruggendo in questo modo l’Io della realtà e le sue attività repressive. [...] L’organizzazione della sessualità rispecchia i tratti fondamentali del principio di prestazione e il suo modo di organizzare la società [...]. Essa riesce particolarmente efficace [...] nella costituzione della supremazia genitale [...]. Questo processo conclude la desessualizzazione socialmente necessaria del corpo: la libido si concentra su di una sola parte del corpo e buona parte del resto rimane libera per essere usata come strumento di lavoro”.
Herbert Marcuse, Eros e civiltà (1955)

 

“L’unità e la non contraddittorietà di cultura e natura, lavoro e amore, morale e sessualità, a cui si aspira da tanto tempo, rimarrà un sogno finché gli uomini non riconosceranno l’esigenza biologica della soddisfazione sessuale naturale. Il processo sessuale, che è poi il processo biologico espansivo di piacere, è semplicemente il processo vitale produttivo”.
Wilhelm Reich, La funzione dell’orgasmo (1927)

 

“La sessualità della donna - proprio in quanto enfatizzata ed esaltata come sua funzione essenziale - doveva dunque venire contemporaneamente repressa e circoscritta per poter essere controllata all’interno di limiti e confini che impedissero che sessualità e riproduzione fossero veramente ‘sue’. Valori come femminilità, bellezza, ricettività sono sempre stati enfatizzati come gli elementi su cui doveva fondarsi la vita della donna e, tuttavia, non si è mai trattato di elementi di vita per la donna (alcuni, fra gli altri, dei suoi modi di esprimersi e di rapportarsi alla realtà), ma di qualità che dovevano esistere in funzione della seduzione dell’uomo e della procreazione. L’essere corpo, nella donna non può esistere come fatto autonomo, proprio, personale, fonte di piacere e di vitalità, espressione di una sensualità realizzata che si esprime nei rapporti, nelle azioni, nella partecipazione alla vita collettiva, nel riso, nella lotta, ecc. Essa deve restringersi e ridursi alla sola sessualità, che esiste come oggetto della sessualità dell’uomo. Una donna sensualmente aperta alla vita (partecipe attraverso il corpo e i sensi), che non controlla il proprio corpo e non tiene presente ciò che esso può sessualmente suscitare nell’altro, è ‘sguaiata’, ‘scomposta’: il suo corpo non è mai un essere persona, è essenzialmente essere donna in quanto femmina, cioè come oggetto sessuale per il maschio”.
Françoise Dolto, Il desiderio femminile (1960)

 

“La biologia femminile comprende ovviamente la capacità di provare il piacere sessuale, di dimostrare prodezza fisica e di partorire. È irrilevante a questo punto dichiarare se partorire sia per le donne ‘il più grande piacere’, se sia un’attività ‘naturale’ o ‘appresa’. Quello che importa è che il prezzo che le donne sono costrette a pagare per questo piacere è la schiacciante mancanza di altri piaceri o diritti a loro disposizione. Le donne sono costrette a scegliere fra riproduzione e piacere (etero) sessuale, fra riproduzione e prodezza fisica; fra riproduzione e potere terreno o spirituale”.
Phyllis Chesler, Le donne e la pazzia (1972)

 

“Quali piaceri vivranno e quali moriranno è spesso una questione che dipende da quali tra di essi sono al servizio delle pratiche di legittimazione della formazione dell’identità, che hanno luogo all’interno della matrice delle norme di genere”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“L’esperienza della maternità e l’esperienza della sessualità sono state entrambe manipolate per favorire gli interessi maschili; qualsiasi comportamento che minacci le istituzioni, quali l’illegittimità, l’aborto, il lesbismo, viene considerato deviante o criminale. L’eterosessualità istituzionalizzata per secoli ha detto alle donne che eravamo pericolose, impure, l’incarnazione della lussuria; e poi che eravamo ‘poco appassionate’, frigide, passive; oggi nella cultura occidentale, prescrive la donna ‘sensuale’, ‘sessualmente liberata’, e in Cina la rivoluzionaria ascetica; e ovunque, condanna la realtà dell’amore tra donne. La maternità istituzionalizzata esige dalle donne l’‘istinto’ materno piuttosto che l’intelligenza, l’abnegazione piuttosto che la creazione di se stesse”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Ho ripetuto cento volte che la storia degli ultimi secoli nelle società occidentali non metterebbe quasi per niente in evidenza il funzionamento di un potere essenzialmente repressivo. Ho finalizzato il mio discorso all’eliminazione di questa nozione fingendo di ignorare che una critica era condotta altrove ed in modo probabilmente più radicale: critica che si è sviluppata a livello della teoria del desiderio. Che il sesso non sia ‘represso’, non è infatti un’asserzione molto nuova. È un bel po’ di tempo che alcuni psicanalisti l’hanno detto. Hanno rifiutato lo schemino semplice che s’immagina volentieri quando si parla di repressione; l’idea di un’energia ribelle che bisognerebbe soffocare è parsa loro inadeguata per decifrare il modo in cui potere e desiderio si articolano; li hanno immaginati legati in modo più complesso e più originario di questo gioco fra un’energia selvaggia, naturale e vivente, che sale incessantemente dal basso, ed un ordine proveniente dall’alto che cercherebbe di ostacolarla; non si dovrebbe immaginare che il desiderio sia represso, per la buona ragione che è la legge che è costitutiva del desiderio e della mancanza che lo instaura. Il rapporto di potere sarebbe presente già là dove è il desiderio: è illusorio dunque denunciarlo in una repressione che si eserciterebbe a posteriori, come è vano partire alla ricerca di un desiderio esterno al potere”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1970-1971)

 

Omosessualità

“È piuttosto sorprendente constatare che, tra le numerosissime dimensioni che distinguono l’attività genitale di una persona da quella di un’altra (dimensioni che includono la preferenza per certi atti, zone e sensazioni, tipi fisici, frequenza, investimenti simbolici, relazioni di età o di potere, specie, numero di partecipanti, ecc.) solo il genere dell’oggetto della scelta sia sopravissuto al volgere del secolo e si sia affermato come la dimensione definita dall’ormai onnipresente categoria dell’‘orientamento sessuale’”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

 

“La sessualità lesbica potrebbe costituire un caso eccellente, basato su dati anatomici, di esclusione dell’organo maschile. […] A parte le ragioni strettamente anatomiche per le quali le donne potrebbero cercare altre donne come amanti, vi è un timore da parte degli uomini che le donne cercheranno la compagnia di altre donne su una base piena, umana. Lo stabilirsi dell’orgasmo clitorideo come fatto minaccerebbe l’istituzione eterosessuale. Esso infatti starebbe a indicare che il piacere sessuale è ottenibile sia da uomini sia da donne, rendendo così l’eterosessualità non un assoluto ma un’opzione. Esso in tal modo porterebbe l’intera questione delle relazioni sessuali umane al di là dei confini dell’attuale sistema di ruoli maschile-femminile”.
Anne Koedt, The Myth of Vaginal Orgasm (1970)

 

“Per il lesbofemminismo degli anni Settanta, essere lesbiche significava liberarsi della maschilità in ogni sua forma, perché tutte le forme di maschilità sono problematiche, anche quelle appropriate dalle donne: è un paradigma quindi della similitudine, in cui la lesbica investe dal punto di vista erotico, affettivo, culturale e politico in altre donne, in quanto donna. Il paradigma dell’inversione invece prevede che al desiderio omoerotico si debba necessariamente accompagnare una qualche forma di inversione di genere: preserva l’eterosessualità del desiderio, e quindi può essere letto come paradigma derivativo, e perciò meno evoluto, non ancora emancipato. Per questo motivo le stesse lesbofemministe hanno guardato con sospetto la dinamica di coppia butch-femme, colpevole di riprodurre l’oppressivo modello eterosessuale e di contaminare con la maschilità uno spazio esclusivamente femminile”.
Elisa AG Arfini, Lesbica. L’altra che altera (2012)

 

“La dicotomia eterosessuale/omosessuale, com’è emersa nel discorso occidentale dell’Ottocento, si presta particolarmente bene ai metodi di analisi appresi nella fase decostruzionista della teoria femminista. Si potrebbe anche dire che, rispetto alla dicotomia uomo/donna, quella eterosessuale/omosessuale si adatti addirittura meglio al modello decostruzionista. La differenza più importante tra genere e orientamento sessuale – essendo noi tutti/e, o quasi, pubblicamente e inevitabilmente assegnati dalla nascita all’uno o all’altro genere – sembra per lo meno indicare che l’orientamento sessuale, con il suo ben più forte potenziale di riorganizzazione, di ambiguità e di duplicità rappresentazionale, sia, infatti, l’oggetto più adatto a essere decostruito. Un essenzialismo della scelta dell’oggetto sessuale è molto più difficile da difendere, rispetto a qualsiasi essenzialismo di genere, essendo il primo più manifestamente incoerente e apparentemente più rimesso in questione a tutti i livelli della cultura”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

 

Protezione degli omosessuali, morale permissiva, tolleranza, emancipazione politica conseguita entro certi limiti nei paesi a dominio reale del capitale, tutto ciò si rivela in sostanza funzionale al programma di mercificazione e sfruttamento dell’omosessualità da parte dell’impresa capitalistica. L’industria del ghetto è assai fruttifera: bar, club, alberghi, sale da ballo, saune, cinema, stampa pornografica per soli omosessuali costituiscono fonti di cospicui introiti per gli sfruttatori del cosiddetto ‘terzo sesso’. Il capitale opera una desublimazione repressiva dell’omosessualità. ‘La sessualità [scrive Marcuse] viene liberata (o meglio liberalizzata) in forme socialmente costruttive. Questa nozione implica che vi sono modi repressivi di desublimazione”.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale (1977)

 

“Lo scandalo di ogni vera omofobia non è certo il rapporto sessuale, ma l’amore fra persone dello stesso sesso. E ciò in forza della legge del genere, che pensa due enti generici – uomo e donna – come cofondative bipartizioni dell’essere. Perché in questa visione, solo chi trova la propria radice nell’essere ha legittimo accesso alla dimensione dell’amore”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

Transessualità

In genere si chiamano transessuali tutti gli adulti che vivono coscientemente il proprio ermafroditismo e che riconoscono in sé, nel proprio corpo e nella mente, la presenza dell’‘altro’ sesso. Attualmente i ‘casi’ di transessualità manifesta riflettono le problematiche relative alla contraddizione tra i sessi e alla repressione dell’Eros, che è repressione della universale disposizione transessuale (ovvero polimorfa ed ermafrodita) umana: i transessuali manifesti, perseguitati dalla società che non ammette confusione tra i sessi, tendono spesso a ridurre la propria effettiva transessualità a monosessualità apparente, cercando di identificarsi col sesso storico ‘normale’ opposto al loro sesso genitale; così la donna transessuale si sentirà uomo, scegliendo al virilità, mentre l’uomo transessuale si sentirà donna, scegliendo la femminilità. Un essere umano dal sesso ‘imprecisato’ circola per le strade del capitale molto meno facilmente di un uomo che sembri, a tutti gli effetti, esteriori, donna o di una donna che sembri un uomo”.
Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale (1977)

 

“Dopo secoli e secoli di silenzio, di negazione, di rimozione, costellati di carcere, manicomi, di mille e mille confini, negli anni Sessanta le persone trans si riprendono la loro vita. Bisognava cominciare da zero, trovare i luoghi, creare gli ambienti, ricercare le parole per dire e per dirsi, in un mondo in cui si era considerati dei mostri, dove la decodifica di tutto ciò che è estraneo o straniero resta ancora oggi stentata e misera”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

“La capacità e la possibilità di vedere, percepire, elaborare la nostra esperienza di vita come trans rappresentava la coscienza, la chiave per accedere a tutto quanto ci era fino a quel momento precluso. Eravamo finalmente noi che leggevamo il mondo e non il contrario, eravamo finalmente noi che ne costruivamo uno nostro, decisamente meno scomodo. Oggi mi appare chiaro, quasi del tutto scontato, che il ribaltamento da una condizione di vittime a un’esperienza da protagoniste parte da sé, passa dalla presa di parola, dalla narrazione di sé, dalla nostra lettura del mondo”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

“L’ipoteca della corrispondenza tra sesso e genere, rende l’amore completamente centrato e schiacciato sulla coppia, esclusivo ed escludente. Normalmente, (il termine ci sta tutto), il sogno d’amore viene coronato o piuttosto ‘fatto coronare’ nella relazione maschio femmina e di riflesso in quella uomo donna, è una tendenza/esigenza a riportare un moto dell’animo, libero per antonomasia, dentro le scomode gabbie di sesso e genere o quelle di attrazione e corrispondenza. Le persone transessuali trasformano il corpo, lo modellano e lo correggono, per bisogno, ma anche per piacere e piacersi. Alcune lo fanno perché sentono quel corpo estraneo, sbagliato, disforico e non sintonico con la percezione di sé, spesso non adatto ad avvicinarsi e fondersi all’oggetto del desiderio. Si intraprende un transito per dare forma all’amore, al proprio cuore, perché il ‘transito’ è soprattutto una questione di cuore! Sono esattamente le conseguenze dell’amore per se stessi e per l’altro/a: mi piaccio, mi amo quindi posso piacere ed essere amato/a”.
Porpora Marcasciano, Dell’amore trans (2014)

 

“La libbra di carne che [l’esperienza transessuale] paga al desiderio è il prezzo di un movimento impossibile-reale che accetta di sostenere, perdendole, entrambe quelle esigenze di identità e di disidentificazione che la (lo) costituiscono nella sua dimensione soggettiva”.
Fabrizia Di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer (2010)

 

“I transessuali spesso rivendicano una radicale discontinuità tra piaceri sessuali e parti del corpo. Molto spesso ciò che si vuole in termini di piacere implica una partecipazione immaginaria nelle parti del corpo, siano esse membra o orifizi, che non si potrebbero veramente possedere; o, analogamente, il piacere potrebbe richiedere di immaginare una serie di parti che vengono esagerate o diminuite. […] La natura fantasmatica del desiderio svela il corpo non come proprio fondamento o causa, ma come propri occasione e oggetto. La strategia del desiderio è in parte la trasfigurazione dello stesso corpo desiderante. Di più, per desiderare in sé potrebbe essere necessario credere in un Io-corpo alterato che, entro le regole di genere dell’immaginario, potrebbe corrispondere ai requisiti di un corpo capace di desiderio. Questa condizione immaginaria del desiderio eccede sempre il corpo fisico con cui o su cui funziona”.
Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1999)

 

“Sono rimasti in pochi coloro che riescono a dire che il cambiamento chirurgico del sesso maschile in una fessura femminile incisa in profondità nel perineo è un’evirazione. Ancora meno quelli che fanno sapere che questa forma di emasclazione (quale che sia la perfezione formale raggiunta dalla chirurgia plastica) non offre un organo di piacere alternativo né ricostituisce un qualsiasi centro della libido, dal momento che né la vagina né il clitoride di cui sono stati dotati gli individui evirati, per effetto dell’estirpazione del pene e dei testicoli, sono in grado di condurre all’orgasmo. Questo assunto (perdita definitiva del piacere fisico sostituito dal piacere mentale e coperto dal manto di un sentimento di appartenenza) va tenuto fermo per capirci qualcosa in quella che chiamerei - con un’ipotesi che so essere ardita ma non azzardata - la trasformazione, interna al genere maschile, dalla maschilità alla mascolinità. […] In coloro che sono approdati alla decisione ‘intellettuale’ di cambiare materialmente di sesso per cambiare vita fisica e psichica, sembra prevalere una concezione del ‘piacere’ legato al soddisfacimento di un’esigenza interiore. La transizione al genere femminile viene motivata sulla base di una serie complessa di modelli maschili della femminilità e orientata comunque dalla convinzione che esista un’identità di genere cui si possa anche sacrificare il piacere fisico”.
Valerio Marchetti, Fissazioni e transizioni (2000)


“La Scatulara dopo due mesi dalla sua operazione a Casablanca una mattina si era affacciata al balcone urlando ai quattro venti di avere finalmente goduto con la sua neo vagina: ‘Si gode, si gode… ho goduto da impazzire… tengo ‘na fessa esagerata!’ Sembra che si dimenasse sul balcone in un tale delirio di favolosità che le sue amiche, con gentile e profonda comprensione, ipotizzarono fosse un attacco di follia chiamando per questo il pronto intervento per un TSO. Messalina, che aveva fatto l’intervento in Inghilterra, molto più sobria, senza urlare, la mostrava su appuntamento a tutte le sue conoscenze chiedendo alle attente osservatrici di diffondere al mondo la lieta novella sulla perfezione della sua ‘fessa da impazzire’ […] La Pechinese aveva addirittura organizzato una grande festa con centinaia di invitati con visione collettiva della sua ‘fessa’ come momento clou della serata”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive
(2018)


Sex work

“[Le donne] dovrebbero indagare meglio per scoprire tutta la ricchezza dei talenti e dei desideri che in ciascuna donna è nascosta e fa fatica a venire alla luce [mentre gli uomini] non hanno bisogno di alzare un dito e hanno a disposizione un vero e proprio supermarket dell’accudimento sessuo-affettivo [che conferisce loro] il privilegio di creare figure o ruoli femminili incasellati e polarizzati e, quel che più conta, competitivi tra loro”.
Roberta Tatafiore, Sesso al lavoro - Da prostitute a sex workers (1994)

 

“Nell’esperienza trans la prostituzione era l’asse portante su cui poggiava l’esistenza, intorno alla quale ruotava tutto il resto. La prostituzione era lavoro, vocazione, spettacolo e dramma, mezzo e fine, rito, regola, segno. Era marchio di riconoscimento. Era luogo e tempo, nonostante restasse un luogo inserito in tempi non riconosciuti. Per una trans l’esistenza senza la prostituzione non era pensabile. […] Le favolose signore avevano trasformato quella condanna in straordinaria performance. E con essa trasmettevano una fierezza particolare del proprio essere trans. […] La riconoscibilità delle trans avveniva attraverso la prostituzione”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

“In tutti gli scambi sessuo-economici, compresa la prostituzione, l’elemento di sostegno materiale degli uomini verso le donne coesiste con quello di una sessualità non paritaria, tendenzialmente di servizio delle donne a vantaggio degli uomini. Ciò che sembra distinguere gli scambi che vengono stigmatizzati come prostituzione è che, rispetto agli altri, essi sono trasparenti, espliciti, e le donne possono negoziare apertamente. […] Queste caratteristiche vengono punite con lo stigma sociale e la criminalizzazione perché altrimenti potrebbero mettere in crisi un sistema in cui molti altri servizi forniti dalle donne, come quelli riproduttivi, domestici, psicologici, restano largamente informali, non riconosciuti e non pagati”.
Giulia Garofalo, Prostituzione. La fabbrica del sesso (2012)

 

“Le costruzioni sessuo-sociali fin qui operanti, la coppia, il matrimonio, la famiglia (sia pure cambiate, scelte, aperte, omosex e quant’altro) e, per contraltare la prostituzione (anch’essa cambiata: non più segregata, monolitica, solo forzata) sono nutrite, sorrette, puntellate dal tramandarsi di genealogie maschili, dalla solidarietà tra uomini, dal discorso fallologocentrico che domina i saperi e i poteri. Tra uomini esiste, ed è all’opera tutti i giorni, una autoreferenzialità di sesso, che ingloba anche la sessualità, che è produttrice di eros indirizzato verso i propri simili”.
Roberta Tatafiore, Sesso al lavoro - Da prostitute a sex workers (1994)

 

Quello che le trans non dicono sarebbe sicuramente il titolo perfetto di un manuale sui risvolti intimi della natura umana. Fin troppo semplice pensare a quel genere di rapporto come mercenario sfogo di sesso. E dove si inseriscono allora quelle migliaia di uomini dalla doppia vita, ufficialmente mariti, fidanzati, padri, figli e fratelli che arrivano con splendidi underwear da far invidia a Marilyn Monroe? Dove si colloca quella sessualità che, va detto, non è semplice sesso, ma sogno, desiderio, inclinazione, performance? Le grandi professioniste che vendono sesso, oltre a essere corpi sessuati (per citare B. Preciado), sono grandi attrici che recitano egregiamente la parte richiesta da lor signori, necessaria per far vivere loro il sogno proibito, quella parte di sé segreta e inconfessabile”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

Sex work funziona da termine ombrello anche per altri mestieri del sesso, quali lo strip-tease, exotic-dance, lap-dance, telefonia erotica, webcam, domination, e così via. Chi concepisce il sesso commerciale come una forma di violenza non dirà dunque ‘sex work’ ma userà piuttosto, per tutte queste attività, a parola prostituzione, o anche schiavitù sessuale, e parlerà di persone prostituite invece che di prostitute o sex workers. Inoltre indicherà con i termini di sfruttatori o papponi (in inglese pimps), quelli che altri chiamano managers, web-masters, capi, padroni o, qualora si tratti di relazioni affettive, semplicemente compagni o partners”.
Giulia Garofalo, Prostituzione. La fabbrica del sesso (2012)

 

“Le napoletane rappresentavano una vera e propria categoria della nascente scena trans italiana. [Le napoletane, insieme alle siciliane] davano forma a nuovi percorsi esperienziali, impartivano regole, supervisionavano, gestivano, o sarebbe più appropriato dire autogestivano, la vita notturna, specialmente il giro della prostituzione trans e tutto il mondo che ci girava intorno. Quelle forme oggi vengono ricondotte spesso al fenomeno dello sfruttamento ma, con i dovuti, opportuni distinguo, io non ho mai condiviso appieno questa ipotesi. Credo che un mondo a parte, o parallelo, abbia per forza di cose forme di sussistenza particolari, per cui quello che oggi definiremmo sfruttamento erano invece forme possibili o probabili di sopravvivenza, riconosciute e condivise all’interno della comunità trans. Uscire da una lettura etnocentrica, o coloniale che dir si voglia, distintiva dell’Occidente, significa anche la capacità di una lettura più profonda e articolata di fenomeni o esperienze considerate subalterne, micro culture o subculture”.
Porpora Marcasciano, L’aurora delle transcattive (2018)

 

“Contrattare meticolosamente il dare e l’avere, mettendo sempre l’avere al primo posto, i soldi, non considerare sessualità quello che si scambia nel rapporto mercificato, ma affitto del corpo nudo e crudo, e banale [...] autodifesa che fa parte di una cultura femminile nella prostituzione, radicata in corpi femminili, che consente di allontanare da sé il sospetto di un coinvolgimento profondo, che fa accettare la sospensione tra corpo e mente come una temporale sospensione di integrità”.
Roberta Tatafiore, Sesso al lavoro - Da prostitute a sex workers (1994)

 

“Le sex workers […] hanno sostenuto che l’interpretazione della sessualità come la più alta forma di intimità tra due persone presume una visione universalista del sesso ed ignora che la percezione, il valore e i significati che uomini e donne attribuiscono alla sessualità sono diversi a seconda dei contesti e dei concreti posizionamenti che vengono assunti nella relazione”.
Giulia Selmi, Sex work. Il farsi lavoro della sessualità (2016)

 

“O la prostituzione, se continuerà a costituire un disonore nonostante la sua utilità, finirà fatalmente per scomparire ed essere sostituita da qualche altra istituzione che meglio rimedierà ai difetti del matrimonio monogamico; oppure sopravviverà, ma diventando rispettabile, ossia facendosi rispettare per amore o per forza; il che potrà avvenire solo gradualmente, quando essa si sarà sindacalizzata, organizzata in una potente corporazione dove si entrerà solo se si offriranno certe garanzie, e dove saranno coltivate certe virtù professionali che innalzeranno il livello morale dei suoi esponenti”.
Roberta Tatafiore, Sesso al lavoro - Da prostitute a sex workers (1994)

 

“L’aspetto più interessante dei valori femministi abbracciati dalle lavoratrici del sesso è quello dell’autodeterminazione sessuale. Se, infatti, le femministe abolizioniste avevano utilizzato l’assenza a priori di qualunque forma di autodeterminazione come punta di diamante delle loro argomentazioni contro la prostituzione, le lavoratrici del sesso definiscono il loro femminismo esattamente in virtù del loro utilizzo della sessualità al di fuori dei percorsi tracciati dall’ordine patriarcale attraverso gli strumenti dell’eteronormatività (come il matrimonio o la monogamia): l’essere donne di tutti, e quindi donne di nessuno, e il godere di una libertà sessuale pari a quella degli uomini (e maggiore di quella delle femministe abolizioniste). In secondo luogo le lavoratrici del sesso invocano l’alleanza con il femminismo per sfidare le concettualizzazioni simboliche della femminilità prodotte dalla mascolinità egemonica: la vergine e la puttana, la madonna e la prostituta, la donna casta e la donna licenziosa”.
Giulia Selmi, Sex work. Il farsi lavoro della sessualità (2016)

 

Pornografia

“Non si può dimostrare che la violenza contro le donne nella pornografia conduca alla violenza contro le donne nella vita, come non si può dimostrare che il disprezzo per i neri e per gli ebrei, onnipresente nella cultura dell'Ottocento, abbia causato gli orrori della colonizzazione dell'Africa e dell'Olocausto. Ma solo il sospetto di una relazione possibile è considerato motivo sufficiente per rifiutare di legittimare l'odio per gruppi di persone. La nostra cultura sospende questa restrizione soltanto nel caso delle donne.”
Kate Millett, La politica del sesso (1969)

 

“La pornografia istituzionalizza la sessualità propria della supremazia maschile, che fonde l'erotizzazione della dominazione e della sottomissione con l'elaborazione sociale dei concetti di maschio o di femmina. [...] La moralità tratta del bene e del male; la politica, del potere e della mancanza di potere: l'oscenità è un concetto morale; la pornografia è una pratica politica. L'oscenità è astratta; la pornografia è concreta”.
Kate Millett, La politica del sesso (1969)

 

“Il postporno rompe con tutti quei binomi attraverso cui la sessualità viene rappresentata e performata, per enfatizzare il valore politico e farla uscire dalla sfera del privato in cui è stata relegata. […] La produzione della cultura postporno […] si caratterizza per il tentativo di sperimentare la soppressione del confine tra teoria e pratica, grazie anche al ‘Do it yourself’ che, in questo caso, rende possibile la liberazione dal giogo della citazione e della referenzialità. […] Il postporno, sulla scia del femminismo prosex, vuole raccontarsi dall’interno, far parlare i protagonisti, partire dalle esperienze, lasciando da parte, e talvolta perfino rifiutando, il discorso degli ‘esperti’. […] La portata dirompente del postporno nell’infrangere le categorie, nello scardinare la presunta neutralità dello spazio pubblico eteronormato, ma soprattutto il suo valore politico e di critica sociale, è ciò che fa affermare a molt*: ‘ecco perché ci piace il postporno’”.
Rachele Borghi, Postporno. Questo porno che non è un porno (2012)