LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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I Introduzione

La migrazione è un fenomeno globale la cui rilevanza ha assunto, negli ultimi decenni, un ruolo di primo piano nell’agenda politica di molti paesi del mondo.

Il movimento massiccio di intere popolazioni minacciate da cambiamenti climatici, guerre, repressioni, mancanza di diritti e povertà, ha provocato l’interazione, spesso conflittuale, tra modelli culturali e stili di vita che altre epoche storiche hanno risolto attraverso processi di assimilazione e di integrazione apparentemente meno problematici e più governabili.

Nei percorsi migratori le donne occupano due posizioni diverse e contrapposte: in alcuni casi si muovono al seguito degli uomini, per ricongiungimento familiare, seguendo in tutto il progetto migratorio di padri, mariti o fratelli; in altri casi scelgono e organizzano il progetto rimanendo a lungo sole nei paesi di migrazione o facendosi raggiungere solo successivamente da figlie/i e mariti/compagni o scegliendo di accompagnarsi o di sposarsi con un uomo del paese di migrazione.

 

II La prospettiva degli studi di genere

La denuncia del colonialismo come determinante delle massicce migrazioni degli ultimi decenni e, al loro interno, della doppia vulnerabilità delle donne (sia durante la migrazione, che una volta raggiunti i paesi di migrazione, dove sono facile preda di sfruttamento lavorativo, economico e sessuale, oltre che vittime di radicalizzazioni familistiche) è un punto fondamentale del FEMMINISMO contemporaneo.

Attorno a questa posizione, la costruzione diffusa di relazioni, via via sempre più concrete e significative, tra donne di diverse origini e provenienze, ha alimentato la riflessione sulla migrazione come ESPERIENZA di per sé critica della RAPPRESENTAZIONE egemone del modello culturale occidentale razzista e come metafora del nomadismo delle soggettività rispetto alla stabilità delle identità.

Il FEMMINISMO afroamericano è il primo a mettere a tema la marginalità, e in particolare la rappresentatività autoreferenziale del discorso femminista tutto costruito sul modello della donna bianca autoctona.

Attorno alla marginalità, e alla sua riflessione, si articolano le pratiche e le politiche del POSIZIONAMENTO e il loro obiettivo di destabilizzazione dell’universalismo razzista e, con esso, dei criteri inclusivi ed esclusivi che sono alla base, tra l’altro, dell’attuale sistema di governo delle migrazioni.

Dall’intreccio tra studi di GENERE e studi postcoloniali si sviluppano poi ulteriori fronti di riflessione: dalla critica della logica identificativa/esclusiva degli Stati-Nazione, come di determinazioni univoche del rapporto luogo-identità; alla scoperta e valorizzazione delle soggettività minoritarie come critica al sistema culturale patriarcale (PATRIARCATO) dell’idea astratta di un Soggetto universale disincarnato; fino alla elaborazione di modelli intersezionali di POSIZIONAMENTO in grado di sconvolgere le maglie strette di una concezione del GENERE fondamentalmente ripropositiva della dicotomia dei ruoli (RUOLO) sessuali/sociali; al dibattito tra le posizioni del relativismo culturale e quelle di una visione dei diritti delle donne poggiata su una concezione universalistica di libertà e di integrità fisica.

Un ulteriore ambito di applicazione degli studi di GENERE alla riflessione sulle migrazioni è quello che le legge anche in relazione alle persecuzioni omofobiche e transfobiche. La migrazione diventa, in questi casi, una modalità di emancipazione da modelli culturali che non ammettono esperienze e rappresentazioni di GENERE difformi dalla normatività dei ruoli sessuali tradizionali. Per molte persone omosessuali, transessuali, transgender e queer la migrazione verso altri paesi è l’unico modo per sfuggire alla persecuzione o alla repressione delle proprie identità.

 

III La violenza maschile contro le donne

L’IDENTITÀ culturale è qualcosa che si definisce dall’esterno e a posteriori. L’Europa rivela il suo vero volto quando notiamo la poca armonia nel miscuglio di gruppi presenti, diversi dal punto di vista culturale, linguistico ed etnico, gruppi peraltro storicamente in CONFLITTO tra loro, ma assimilati. Con un atteggiamento egemonico, in secoli di storia, l’identità europea è riuscita a imporsi come norma, ad assumere una posizione di centralità che confina tutti gli altri e le altre ai margini. Nascono per questo spazi di resistenza critica alle identità egemoniche, spazi in cui tutte possano parlare di sé, mettendosi al centro, con altre donne, donne che probabilmente al di fuori si sentono parte del margine, ma che lì hanno la possibilità di dire, scambiare, lamentarsi, piangere, bere un tè, prendersi un momento per sé. 

L’esperienza della migrazione segna la vita delle persone in transito. Si crea un soggetto fragile, scisso, che a tratti vorrebbe essere inserito, attraverso la subordinazione a un processo di codificazione culturale di certe funzioni e azioni significanti, accettabili, normali, desiderabili. La DIFFERENZA non è tra le culture, ma è in primis dentro la stessa cultura, dentro ogni sé. 

La VIOLENZA contro le donne e i minori è un problema endemico che attraversa tutto il mondo. Nessun popolo ne è esente. Popoli e culture si esprimono con diversa modalità, ma la agiscono comunque.

È importante precisare che la parola VIOLENZA per le donne migranti trova, a volte, declinazioni diverse rispetto alla VIOLENZA domestica: alcune di loro provengono da contesti socio-familiari in cui le donne sono fortemente valorizzate; altre incrociano la VIOLENZA sin dall’arrivo in Italia: sono donne della tratta, costrette a prostituirsi per pagare il loro viaggio e il loro soggiorno; altre sono costrette, per uscire dalla clandestinità o per rimanere nel Paese di immigrazione, a vivere relazioni (RELAZIONE) umilianti con uomini italiani o condizioni di “servitù” nei confronti dei nuclei ospitanti. Per molte migranti, quindi, la VIOLENZA diventa una sorta di balzello da pagare per realizzare il proprio progetto migratorio. A tutte loro, ovviamente, può capitare anche di vivere relazioni con partner violenti. Succede inoltre che la maggiore difficoltà che le donne straniere incontrano nel raggiungere una propria autonomia, le esponga, anche dopo la realizzazione di percorsi o segmenti di uscita dalla VIOLENZA, a rivivere nuove situazioni di VIOLENZA.

 

IV Approfondimenti

Come scrive Nadeesha Uyangoda, oggi il concetto di razza “è qualcosa che esiste e non esiste allo stesso tempo”. Per capire come questa categoria struttura il nostro presente, è necessario fare un breve excursus storico sulla parola. Il concetto di razza è un fenomeno storico occidentale profondamente legato alla politica. La nozione di “razza” inizia a svilupparsi durante l’Illuminismo, periodo nel quale vengono pubblicati numerosi testi in cui la parola “razza” indica una prima classificazione degli esseri umani basata su caratteristiche fisiche visibili. Con l’intensificazione dei processi coloniali dell’Ottocento, i diversi paesi europei iniziano a parlare di “missioni civilizzatrici” per giustificare le violente occupazioni dei territori di altri popoli, la schiavitù, la tratta di persone schiavizzate, i genocidi e lo sfruttamento della forza lavoro delle popolazioni oppresse dal giogo coloniale. L’idea di inferiorità razziale è, infatti, stata creata appositamente per giustificare l’assoggettamento e lo sfruttamento di intere popolazioni e culture. Successivamente, nel Novecento il concetto di “razza” viene collegato al montante spirito dei nazionalismi europei; il nazionalismo crea infatti il mito di una “razza superiore” da paragonare a una “razza inferiore”, facendo così della razza un simbolo prettamente politico.

Da categoria biologica (colonialismo) e politica (nazionalismo), si è passate oggi a interpretare la razza in un altro modo. È stato scientificamente dimostrato che la razza non esiste a livello biologico. Oggi la razza viene interpretata come categoria sociale. Ciò significa che a una certa appartenenza etnica corrisponde un certo status sociale ed economico. Sociologi/e, antropologi/e, filosofi/e ed esponenti dei femminismi (FEMMINISMO) decoloniali  tra i e le quali Stuart Hall, Paul Gilroy, Achille Mbembe, Françoise Vergès, Marielle Franco e bell hooks  hanno affermato che, a seguito dei processi di colonizzazione e decolonizzazione, la razza è oggi una categoria che ricorre in tutti i processi di costruzione sociale e dell’IDENTITÀ. La razza è una lente attraverso cui osservare la realtà. Non è una semplice sottocategoria perché l’intera società è costruita secondo gerarchie che il mondo e il pensiero occidentale e coloniale hanno creato. Dato che la razza continua a essere storicamente un prodotto del colonialismo, la sua diretta conseguenza è che, oggi, le vittime della razza (come costruzione) e del razzismo (come processo) sono principalmente quei soggetti la cui IDENTITÀ è stata forgiata dal passato coloniale. La costruzione di “razze” continua a esistere sotto forma di pratica sociale strettamente legata a tradizioni antiche (come il PATRIARCATO) e contemporanee (quali il neocolonialismo e il neoliberismo) che, a partire da pratiche di POTERE e dalle relative discriminazioni razziali, generano VIOLENZA, sfruttamento, segregazione, esclusione e povertà.

Oggi è di grande importanza parlare di razza come costruzione sociale e processo di emarginazione per comprendere le tendenze razziste della nostra società, fortemente impregnata di quello che viene definito come “razzismo strutturale” e coinvolta in un costante processo di razzializzazione degli individui. La razzializzazione è un processo che parte dal CORPO. Per razzializzazione si intende quel processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti, a un gruppo dominato, attraverso forme di VIOLENZA diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica.

Il concetto di razza, e tutti i processi ad esso connessi, varia e si trasforma nello spazio e nel tempo e viene costantemente tradotto da un sistema linguistico e culturale a un altro, ma rimane una categoria fondamentale su cui ragionare per comprendere nel profondo il perché di una struttura sociale tanto sbilanciata tra povertà e ricchezza, tra accesso ed esclusione, tra Nord e Sud, tra vita e morte.