LA CASA SUL FILO

suggerimenti per un percorso di educazione antiviolenta

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“L’intenzione del vero potente è infatti incredibilmente grottesca: egli vuole essere l’unico. Vuole sopravvivere a tutti affinché nessuno sopravviva a lui. A ogni costo vuole sfuggire la morte, e perciò non deve esserci nessuno, da nessuna parte, che possa dargli la morte. Finché ci sono uomini, qualsiasi uomo, egli non si sentirà al sicuro... E sempre nasce in lui la paura anche verso chi gli è più vicino”.
Elias Canetti, Potere e sopravvivenza (1962)

 

“Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte; gli appoggi che questi rapporti di forza trovano gli uni negli altri, in modo da formare una catena o un sistema, o, al contrario, le differenze, le contraddizioni che li isolano gli uni dagli altri; le strategie infine in cui realizzano i loro effetti, ed il cui disegno generale o la cui cristallizzazione istituzionale prendono corpo negli apparati statali, nella formulazione della legge, nelle egemonie sociali”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1976)

 

“La Creta minoica non era una società dominatrice, dove il potere veniva concepito come la capacità di dominare e di distruggere, simbolizzato dalla spada. In questa società profondamente creativa e pacifica, la mascolinità non era sinonimo di predominio e di conquista. Di conseguenza, non era necessario che le donne e i valori ‘teneri’ o ‘femminili’ del prendersi cura, della compassione e della non violenza venissero svalutati. Il potere era visto come potere che si realizza, vale a dire come la capacità di creare e di mantenere la vita. Era potere di, e non potere su: il potere di illuminare e di trasformare la coscienza umana (e con essa la realtà) di cui ancora nella nostra epoca è simbolo il ‘Vaso femminile’, il Calice, o Santo Graal”.
Joseph Campbell et al., I nomi della Dea. Il femminile nella divinità (1992)

 

“Il potere viene dal basso; cioè non c’è all’origine delle relazioni di potere, e come matrice generale, un’opposizione binaria e globale fra i dominanti e i dominati, dualità che si ripercuoterebbe dall’alto in basso, e su gruppi sempre più ristretti fin nelle profondità del corpo sociale. Bisogna piuttosto immaginare che i rapporti di forza molteplici che si formano e operano negli apparati di produzione, nelle famiglie, nei gruppi ristretti, nelle istituzioni, servono da supporto ad ampi effetti di divisione che percorrono l’insieme del corpo sociale”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1976)

 

“L’autonomia, il controllo, il dominio giacciono su una linea continua che però non basta a distinguere tra maschile e femminile: i soggetti tanto dell’uno quanto dell’altro sesso devono vedersela con il significato di identità personale, di autonomia, di interiorità, ma anche con il bisogno di conservare l’integrità dell’Io sotto la pressione dell’amore, della conflittualità e delle differenze di potere. E nello sforzo di conservare tale integrità dell’Io, le persone d’ambo i sessi possono benissimo finire per considerare il controllo di sé e degli altri un mezzo per consolidare i confini dell’Io e, contemporaneamente, l’autostima. […] La vigilanza e il controllo costantemente esercitati sono segni rivelatori di una concezione di autonomia che alla fine viene meno ai suoi stessi scopi: riflettono infatti, non tanto la fiducia nella propria differenza dagli altri quanto la resistenza (se non il ripudio) dell’affinità, non tanto la propria forza di volontà, quanto la forza della propria resistenza alla volontà altrui, non tanto il senso della stima di sé, quanto l’incertezza della durabilità dell’Io e, insomma, non tanto la sicurezza, quanto la vulnerabilità dei confini che delimitano il proprio Io”.
Evelyn Fox Keller, Sul Genere e la Scienza (1985)

 

“Qual è, secondo te, la causa principale della violenza sulle donne nelle relazioni affettive? - La disparità di potere a vantaggio del maschio nel rapporto uomo-donna: Maschi 49,7%, Femmine 54,6% - La sempre maggior libertà ed autonomia delle donne Maschi 15,9%, Femmine 14,9%. La disparità di potere può essere ricondotta [...] all’idea di maschio dominante, al ruolo maschile del capofamiglia a cui attribuiscono la responsabilità e il potere decisionale per la sopravvivenza e il mantenimento della famiglia stessa. La pervasività di questo immaginario ci è stata restituita in maniera significativa [...] ‘come maschio sai che ci si aspetta, tipo che vai a lavorare per la famiglia, per portare i soldi a casa e mantenere la propria famiglia’ (Matteo) ‘il fatto di rimanere in casa quando mia moglie esce e porta lei i soldi a casa, mi farebbe sentire uno scemo... perché mi toglie... mi toglie virilità’ (Leonardo)”.
Associazione Nondasola (a cura di), Cosa c’entra l’amore? (2014)

 

“La condizione di possibilità del potere... non bisogna cercarla nell’esistenza originaria di un punto centrale, in un centro unico di sovranità dal quale si irradierebbero delle forme derivate e discendenti; è la base mobile dei rapporti di forza che inducono senza posa, per la loro disparità, situazioni di potere, ma sempre locali e instabili”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1976)

 

“È certamente vero […] che lo status e il potere delle donne in famiglia varia fortemente di regione in regione e vi sono motivi fondati per credere che questi aspetti sociali siano collegati al ruolo economico e al grado di indipendenza delle donne. Lavorare fuori casa, a esempio, e possedere dei beni può essere rilevante per l’indipendenza economica e il potere delle donne; e questi fattori possono avere conseguenze di grande portata sulla divisione dei benefici e dei compiti al’interno della famiglia e possono condizionare fortemente quelli che sono implicitamente considerati i ‘diritti’ delle donne”.
Amartya Sen, Le donne sparite e la disuguaglianza di genere (1996)

 

“La rivendicazione della legittimità di sé (e di sé come altertipo) [è] il seme dell’autodeterminazione. E la libertà di autodeterminarci, di capire, di scegliere liberamente quello che desideriamo per la nostra vita, è contemporaneamente fonte e sorgente di potere. È chiaro, inoltre, che, almeno nella società in cui viviamo, la possibilità di autodeterminazione è strettamente connessa a quella di auto sostentamento. L’indipendenza economica, ma anche quella affettiva, sono dunque di fondamentale importanza. E qui sono il sistema di disuguaglianze, da un lato, e le logiche paternalistiche e familistiche, dall’altro, le impalcature socio-economiche e socio-culturali da demolire”.
Chiara Bassetti, Da Anna Bolena a Patrizia D’Addario. Appello per altertipi (2014)

 

“Potere è una parola primaria e un rapporto primario nel patriarcato. Attraverso il controllo della madre l’uomo si assicura il possesso dei figli; attraverso il controllo dei figli si garantisce la salvaguardia del suo patrimonio e il trapasso della sua anima dopo la morte. Sembra quindi che fin dai tempi più remoti l’identità, la personalità stessa dell’uomo dipendano dal potere, un potere molto specifico; quello sugli altri, a cominciare dalla donna e dai figli. La proprietà di esseri umani prolifera: dal matrimonio primitivo o prestabilito, al contratto matrimoniale con dote, al più recente matrimonio ‘d’amore’ in cui però la moglie è economicamente dipendente, dal sistema feudale allo schiavismo e alla servitù. I potenti (per lo più maschi) decidono per chi non ha potere: i sani per i malati, gli adulti per i vecchi, i ‘normali’ per i ‘pazzi’, i colti per gli analfabeti, gli influenti per gli emarginati”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Il proprietario aliena la propria esistenza nella proprietà; ci tiene più che alla vita stessa; essa va oltre gli stretti confini di questa vita temporale; sussiste oltre la distruzione del corpo, incarnazione terrestre e sensibile dell’anima immortale; ma tale sopravvivenza si realizza solo se la proprietà resta nelle mani del possessore: sarà ancora sua al di là della morte solo se appartiene a individui in cui egli si continua e si riconosce, che siano suoi”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“La ‘mascolinità egemonica’ denota tutte quelle espressioni di mascolinità – come l’eterosessualità esclusiva o la doppia morale o la convinzione che il lavoro retribuito sia un diritto maschile per nascita – la cui funzione è essenzialmente quella di rafforzare il potere sulla donna nella società in generale. Viste da questa prospettiva, le forme dominanti della mascolinità mettono in riga uomini con interessi molto diversi dietro la difesa del patriarcato”.
John Tosh, Come dovrebbero affrontare la mascolinità gli storici? (1996)

 

“Si possono citare casi, nei quali, durante un tempo più o meno lungo, una categoria è riuscita a dominare assolutamente un'altra. Spesso è l'ineguaglianza numerica a conferire tale privilegio: la maggioranza impone la sua legge alla minoranza, oppure la perseguita. Ma le donne non sono una minoranza come i Negri d'America o gli Ebrei: ci sono tante donne quanti uomini sulla terra. Spesso i due gruppi in contrasto sono stati inizialmente indipendenti: un tempo si ignoravano, oppure ciascuno tollerava l'autonomia dell'altro; poi è sopravvenuto un avvenimento storico che ha subordinato il più debole al più forte; la diaspora giudaica, l'introduzione dello schiavismo in America, le conquiste coloniali sono avvenimenti che hanno una data”.
Simone De Beauvoir, Il secondo sesso (1949)

 

“Poiché il sistema sesso/genere […] è un insieme di relazioni sociali che pervade l’esistenza sociale, allora il genere è davvero una forma dell’ideologia, e ovviamente non solo per le donne. E lo è a prescindere dal fatto che certe persone si sentano principalmente definite (e oppresse) dal genere, per esempio le donne bianche, e altre dai rapporti di classe e di razza, per esempio le donne di colore”.
Teresa De Lauretis, Sui generis. Scritti di teoria femminista (1996)

 

“Le donne vengono spesso trattate come semplici parti di una unità organica, come si ritiene che siano la famiglia o la comunità, e i loro interessi vengono subordinati agli scopi più ampi di questa unità, il che significa, di solito, agli interessi delle sue componenti maschili”.
Martha Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana (2002)

 

“Quando la politica è intesa come antagonismo muscolare – come nella metafora amico/nemico – sembra che le donne possano entrare nel Kampfplatz [campo di battaglia] solo per ricoprire il ruolo ancillare di infermiere per i soldati feriti, o per figurare come il bottino di guerra del maschio vincitore che umilia così il suo avversario maschio sconfitto prendendo le ‘sue’ donne. […] La centralità iconografica e simbolica delle donne nella nazione […] è ingannevole perché, mentre viene costantemente affermata, allo stesso tempo le donne sono rimaste ‘relegate ai margini del sistema di governo’ […] L’importanza simbolica attribuita alle donne dai discorsi nazionalisti infatti non si riferisce alla donna come parte di un insieme organico la cui soggettività e il cui ruolo sociale sono stabiliti sulla base delle funzioni del corpo femminile. Per l’ideologia nazionalista e la sua classificazione dei costumi le donne ‘venivano omogeneizzate, considerate non come individui ma come tipi’. Il tipo di femminilità ideale, intesa come costruzione estetica e sociale votata alla riproduzione, divenne un potente stereotipo normativo a partire dal diciottesimo secolo. Ciò coincise con l’ascesa dello stato-nazione e con lo sviluppo della retorica nazionalista, insieme all’istituzione della famiglia come centro della comunità nazionale e della casa come allegoria della sfera privata dove le donne avrebbero trovato il proprio ruolo”.
Sara Rita Farris, Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne (2019)

 

“Se, dal punto di vista storico, molte nazioni moderne sono piuttosto il prodotto che non il presupposto dello stato, esse vengono invece vissute come ciò che le legittima. In linea di principio lo stato è inclusivo: chiunque può aderire al patto. La nazione invece è esclusiva. Vi si appartiene per nascita. Lo stato prescinde dai corpi, la nazione ne è costituita. Lo stato non ha un corpo, la nazione invece sì. Quali corpi, quale corpo? I corpi degli uomini votati al sacrificio supremo per difenderla, i corpi delle donne da cui dipende il suo futuro. Il corpo della nazione è invece femminile, così come, è ovvio, la mente è maschile”.
Tamar Pich, Il corpo delle donne non è nella Nazione (2011)

 

“Il corpo della donna, con il suo potenziale per la gestazione, la procreazione e il nutrimento della nuova vita, è stato nei secoli un capo di contraddizioni: uno spazio investito di potere, e una profonda vulnerabilità; una figura sacra e l’incarnazione del male; un ribollire di ambivalenze che per lo più hanno contribuito a escludere le donne dall’atto collettivo di dar forma alla cultura. Questa sua capacità riproduttiva ha avuto un’importanza fondamentale nella prima divisione del lavoro; ma d’altra parte, come ha fatto notare Bruno Bettelheim, in ogni cultura i maschi hanno cercato di imitare, investirsi e condividere magicamente i poteri della femmina”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Per produrre la vita, simbolicamente e realmente, non è forse necessario che l’uno si metta in rapporto con l’Altro? Gli apostoli del gran Neutro, che occupano in questo mondo la scena mediatica occidentale, amalgamano di proposito la rivendicazione di un riconoscimento della differenza dei sessi e le manifestazioni dei nazionalismi separatisti e di altri integralismi che emergono un po’ dappertutto, nel mondo. Invece la storia di ieri e di oggi mostra che il nazionalismo non è il contrario, ma piuttosto il corollario, il rovescio speculare, dell’individualismo universalista. L’aspirazione alla sovranità indivisa, fonte dei conflitti e delle guerre odierne, deriva dalla stessa logica narcisista, immune da qualsiasi divisione, della pretesa repubblicana di ridurre ogni altro all’uno, in una comunità una e indivisibile. Infine, l’affermazione, che disconosce la realtà e l’inconscio, secondo la quale la categoria del sesso non esiste (o non esiste più) e che ci sono soltanto individui, tutti simili e ognuno per sé, rinvia ciascuna e ciascuno alla forma dell’individualismo più rigida e più egoista, e priva le donne della capacità di riconoscere la misoginia e di lottare insieme, cioè politicamente, contro di essa”.
Antoinette Fouque, I sessi sono due (1995)

 

“Per uguaglianza della donna si intende il suo diritto a partecipare alla gestione del potere nella società mediante il riconoscimento che essa possiede capacità uguali a quelle dell’uomo. Ma il chiarimento che l’esperienza femminile più genuina di questi anni ha portato sta in un processo di svalutazione globale del mondo maschile. Ci siamo accorte che, sul piano della gestione del potere, non occorrono delle capacità ma una particolare forma di alienazione molto efficace. Il porsi della donna non implica una partecipazione al potere maschile, ma una messa in questione del concetto di potere. È per sventare questo possibile attentato della donna che oggi ci viene riconosciuto l’inserimento a titolo di uguaglianza”.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel (1974)

 

“Là dove c’è potere c’è resistenza e tuttavia, o piuttosto proprio per questo, essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere”.
Michel Foucault, La volontà di sapere (1976)

 

“Il soggetto è un composto spazio-temporale che elabora i confini dei processi del divenire. Per farlo occorre trasformare le passioni negative in positive, per mezzo di una consapevolezza che non è più incentrata su una serie di modelli fallogocentrici, bensì nomade e affettiva. Questo capovolgimento della negatività è il processo trasformativo dell’acquisizione della libertà di interpretazione attraverso la consapevolezza dei nostri limiti e dei nostri vincoli. Ciò che ne deriva è la libertà di affermare la propria assenza come piacere attraverso l’incontrarsi e mescolarsi con gli altri corpi, entità, esseri e forze. L’etica è fedeltà a questa potentia, al desiderio del divenire”.
Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade (2006)

 

“Se l’efficienza sembra essere la via che porta al potere e il metodo con cui questo conserva la presa, la crescita sembra essere la prova del potere. Nel gergo terapeutico si parla della crescita interiore che porta alla maturità psicologica e che passa a significare essere padroni di sé, farsi carico della propria vita, avere potere”.
James Hillman, Forme del potere (1995)

 

“Una visione non-unitaria del soggetto costituisce la premessa necessaria alla produzione di più adeguati resoconti della nostra collocazione. […] le posizioni del soggetto non-unitario producono sistemi di valori alternativi e forme specifiche di assunzione di responsabilità. La chiave per comprendere entrambe queste affermazioni sta nella definizione di ‘non-unitario’. I soggetti nomadi non sono pluralità quantitative ma molteplicità qualitative. Le prime sono soltanto un multiplo di Uno – moltiplicato attraverso uno spazio esteso. È questo il caso dell’economia politica del capitalismo globale come sistema che genera le differenze allo scopo di mercificarle. Le molteplicità qualitative, invece, fanno parte di una logica completamente diversa. Esprimono cambiamenti non di scala ma di intensità, di forza, o potentia (potere positivo d’espressione): cambiamenti che tracciano modelli in divenire”.
Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade (2006)

 

“In ognuna di noi vive un deposito d’oro puro da consegnare. Esso traluce e ciò ci attrae come una forza. Desideriamo farlo affiorare e dargli forma in parole che comunichino”.
Chiara Zamboni, Autorità femminile, autorità maschile nel lavoro filosofico (1989)

 

“È il legame, l’affinità, il vincolo della potentia e il riconoscimento reciproco di essere molteplicità complesse, ciò che emerge quando si mette in piedi una struttura che permette l’affermazione della gioiosa potenza del desiderio”.
Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade (2006)

 

“Ci sono molti tipi di potere, usati o non usati, riconosciuti o no. L’erotico è una risorsa che si trova dentro di noi, su un piano profondamente femminile e spirituale, fermamente radicata nel potere dei nostri sentimenti inespressi o non riconosciuti. Allo scopo di perpetuarsi, ogni oppressione deve corrompere o distorcere le varie fonti di potere che all’interno della cultura degli oppressi, possono fornire loro l’energia per il cambiamento. Per le donne ciò ha significato la soppressione dell’erotico come fonte consapevole di potere e di informazione all’interno delle nostre vite. Ci hanno insegnato a sospettare di questa risorsa, che all’interno della società occidentale è svilita, usata male e svalutata. Da un lato l’erotico è stato incoraggiato a un livello superficiale, come segno dell’inferiorità femminile; dall’altro lato, si è fatto sì che le donne soffrissero e si ritenessero disprezzabili e sospette proprio a causa della sua esistenza. Da qui alla falsa convinzione che solo sopprimendo l’erotico nelle nostre vite e nelle nostre coscienze noi donne possiamo veramente essere forti, il passo è breve. Ma si tratta di una forza illusoria, perché costruita nel contesto dei modelli maschili di potere”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)

 

“Fino a che non esisterà un forte filo ininterrotto di amore, approvazione ed esempio, da madre a figlia, da donna a donna, di generazione in generazione, le donne continueranno a vagare in un territorio ostile”.
Adrienne Rich, Nato di donna (1976)

 

“Riconoscere il potere dell’erotico all’interno delle nostre vite può darci l’energia per intraprendere il cambiamento autentico dentro il nostro mondo, invece di accontentarci di uno scambio delle parti nella stessa logora commedia”.
Audre Lorde, Usi dell’erotico: l’erotico come potere (1978)

 

“Essere capaci di reggere, provocare, registrare e restituire la vita che è in Vita, amplificata all’ennesima potenza. Tale è il compito della potentia”.
Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull’etica nomade (2006)

 

Sapere e potere

“Il sapere è costruito socialmente in modo funzionale alla divisione del lavoro, perché sia di sostegno allo status quo in termini economici e politici; lo stesso si può dire riguardo alla supremazia di genere e razziale di cui la scienza è prodotto e portatrice. Secondo questo approccio critico, le classi più basse e le categorie oppresse non devono semplicemente sostituirsi all’élite nell’uso della scienza dominante: avrebbero il compito storico di reinventare il mondo della conoscenza e della scienza – cambiando priorità e direzioni della ricerca – non limitandosi quindi a mettere in discussione gli utilizzi e le norme. Scienza e tecnologia non sono mai neutre: sono relazioni sociali inscritte all’interno di strutture di potere di genere, di classe, di razza”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Non si tratta perciò di descrivere ciò che è sapere e ciò che è potere e come uno reprimerebbe l’altro o come l’altro abuserebbe dell’uno; ma piuttosto di individuare il nesso di sapere-potere che permette di cogliere le condizioni di accettabilità di un sistema”.
Michel Foucault, Illuminismo e critica (1978)

 

“Conoscenza non è sinonimo di potere, sebbene ne costituisca il campo magnetico. L’ignoranza e l’opacità, invero, cospirano contro e rivaleggiano con la conoscenza nel mobilitare flussi di energia, di desiderio, di risorse, di significati e di persone. […] Nella misura in cui l’ignoranza è ignoranza di una conoscenza – che può essere intesa, inutile dirlo, come vera o come falsa secondo certi regimi di verità -, queste ignoranze, lontane dall’essere frammenti residuali di un’oscurità originaria, sono prodotte da e corrispondono a particolari conoscenze e si diffondono come brandelli di particolari regimi di verità”.
Eve Kosofsky Sedgwick, Nelle segrete stanze (1990)

 

“Non è possibile separare il sapere e il potere in maniera definitiva, in quanto essi agiscono congiuntamente nella creazione di un insieme di sottili ed espliciti criteri attraverso i quali giudichiamo il mondo”.
Judith Butler, Fare e disfare il genere (2004)

 

“Emersi da una cultura dominante e colonizzatrice, i sistemi contemporanei della conoscenza sono essi stessi colonizzanti”.
Vandana Shiva, Monoculture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica (1993)

 

“La natura non è un luogo fisico in cui recarsi, non è un tesoro da custodire o conservare in banca, non è un'essenza da proteggere. La natura non è un testo da decifrarsi in base ai codici della matematica o della biomedicina. Non è l'alterità che offre origine, materie prime e servizi. Né madre né curatrice, né schiava né matrice,  la natura non è risorsa o mezzo per la riproduzione dell'uomo. La natura è, strettamente, un luogo comune”.
Donna Haraway, Le promesse dei mostri (2019)

 

“La necessità di decolonizzare il sapere, la scienza, le metodologie della ricerca è parte del dibattito internazionale nelle scienze sociali e nel femminismo. Studi rilevanti sono stati prodotti da femministe di colore ed eco-femministe in diverse parti del mondo con l’obiettivo di decolonizzare e risignificare la produzione di conoscenza. Tali contributi suggeriscono la possiblità di un sapere che non sia il prodotto di relazioni di dominio e la necessità di comunità di studiosi e studiose che lavorino per la liberazione culturale e scientifica”.
Laura Corradi, Nel ventre di un’altra (2017)

 

“Sono le donne, in particolare, che più hanno da perdere quando ci si limita a promuovere il bene del gruppo in quanto tale, senza rimettere in discussione le sue gerarchie interne di potere e di opportunità”.
Martha Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana (2002)